Editoriali Avvenire

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Giorgio Fuà, il mestiere civile dell'economista

Protagonisti - Dalla tesi fino all’ultima lezione, mise al centro della ricerca il benessere della popolazione Il maestro di uno studio più umanistico che matematico nella biografia di Roberto Giulianelli

di Luigino Bruni

pubblicato su Avvenire Agorà il 28/07/2020

«Il mercato dà una misura di quanto valgono le cose, ma non di quanto vale esso stesso come sistema di misura dei valori delle cose». Così il giovane Giorgio Fuà terminava nel 1946 il suo editoriale ( Bisogna dar retta agli economisti?) del primo numero di “Comunità”. Questo editoriale è una sorta di manifesto della sua visione dell’economia, che svilupperà in tutto il resto della sua vita: «Si può dire benissimo che entro un dato ordinamento ogni individuo, se cerca il proprio interesse, raggiungerà il massimo di benessere cui può aspirare nell’ambito di quell’ordinamento… Ma quale massimo? Quale benessere? ». Il “benessere della popolazione”, oggetto della sua tesi di laurea scritta a Losanna nel 1940, dove il giovane ebreo anconetano si era dovuto rifugiare per fuggire alle leggi razziali, resterà il grande tema della sua ricerca, fino al suo ultimo libro Crescita economica. L’insidia delle cifre (1993), dove leggiamo: «Oggi dobbiamo smettere di privilegiare il tradizionale tema della quantità di merce prodotta e dedicare maggiore attenzione ad altri temi… quali la soddisfazione o insoddisfazione che il lavoro procura a chi lo fa». Ripercorrere, grazie al buon e “utile” saggio di Roberto Giulianelli L’economista utile. Vita di Giorgio Fuà (Il Mulino, pagine 374, euro 25,00), l’esistenza uno dei più importanti economisti italiani del secondo Novecento, significa toccare la carne di alcuni passaggi decisivi della vita dell’Italia e dell’Europa, e non solo di quella economica. Giorgio nasce nel 1919 dal matrimonio tra Riccardo Fuà, medico anconetano di una importante e benestante famiglia ebrea, ed Elena Serge, torinese, ebrea anch’ella. Crescere nell’Italia fascista, iniziare l’università a Pisa con le leggi razziali del 1938, segneranno per sempre la visione del mondo di Giorgio, quella economica e insieme quella etica e politica. Emigrato in quello stesso anno a Losanna, lì studiò economia, statistica e demografia in quella scuola resa celebre due generazioni prima, da un altro grande italiano: Vilfredo Pareto.

Il tema della popolazione ha caratterizzato gli studi italiani di economia da Antonio Genovesi ad Achille Loria, perché profondamente legato alla “pubblica felicità”, l’altro nome della tradizione italiana della scienza economica. Sebbene Fuà avesse fin da giovanissimo una chiara e forte vocazione didattica e accademica (fece le sue prime lezioni nel 1941 nella scuola ebraica di via Eupili di Milano), arrivò ad una cattedra universitaria in età matura, solo nel 1966. Prima aveva esercitato il mestiere di economista in varie istituzioni protagoniste dell’Italia e dell’Europa del dopoguerra. Decisiva fu la bocciatura nel concorso per la libera docenza nel 1948. Molto vivace e rivelativa della sua vocazione scientifica e umana è la descrizione che Giorgio, e sua moglie Erika Rosenthal, danno di quella bocciatura da parte della commissione composta da tre importanti professori di economia (Amoroso, Vito e Dominedò): «Mi hanno combattuto sia sviando grottescamente certe mie affermazioni, sia abbeverandomi di ideologia liberista (Amoroso) e cattolica ( Vito)». E sua moglie Erika così commentava: «Giorgio era naturalmente in gran tensione, ma è stato bravissimo». Come lui fu bocciato in quel concorso il suo amico Ernesto Rossi, e qualche anno dopo Paolo Sylos Labini, compagno di bocciatura e di molte battaglie culturali. L’antifascismo e la sua prima formazione avvenuta tra Italia, Ginevra e Losanna lo portarono a maturare una visione critica del liberismo economico, e vicina alla teoria della pianificazione, al socialismo e per qualche anno al comunismo (che verrà meno dopo i fatti d’Ungheria), senza mai essersi iscritto a nessun partito politico («Non son nato con la vocazione del traffico politico»). La sua vocazione era invece un’altra, come lui stesso ci dice raccontando l’incontro, nel 1952 a Losanna, con il giovane economista toscano Giacomo Becattini, che Fuà descrive come «un tipo entusiasta e bravo ». E aggiunge: «Ho piantato il lavoro per una o due ore per dargli spiegazioni e mi dicevo che questo è il mestiere che ci vuole per me». Becattini, l’inventore della teoria dei distretti industriali, ebbe da Fuà l’incarico di cercare libri di economia antica nelle (molte e ricche) librerie antiquarie di Firenze. Molti anni dopo Becattini dirà: «È probabile che, almeno in parte, il mio interesse per la storia del pensiero economico abbia avuto origine da quel rovistare».

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