Nuove forme di relazione - Lo smart working e la scuola a distanza hanno allargato le nostre opportunità, ma aumentato le diseguaglianze, ridotto la socialità e la creatività del lavoro
di Luigino Bruni
pubblicato su Avvenire il 15/05/2020
Che cosa abbiamo imparato in questi due mesi sul lavoro e sulla scuola? Le cose positive sono sotto gli occhi di tutti, e non sono poche. Scoprire che molte cose che prima facevamo solo 'in presenza' si possono fare anche da casa, è stato emozionante e incoraggiante. Lo smart working ha allargato le nostre opportunità, ha arricchito il nostro set di offerta lavorativa, ha ridotto l’inquinamento e il traffico di cui non abbiamo certo alcuna nostalgia. Abbiamo parlato e collaborato con persone lontane che non avremmo mai raggiunto senza questi nuovi strumenti.
Dei limiti e dei danni di queste innovazioni si parla, invece, meno. Il primo di essi ha a che fare con il rapporto tra l’insegnamento a distanza e la diseguaglianza. Chi, come me, sta facendo molte lezioni online, anche usando le piattaforme più evolute, si è accorto che gli studenti più abili e motivati partecipano e apprendono, quelli meno motivati e con qualche problema pregresso di apprendimento fanno invece molta fatica. È molto difficile capire da casa che cosa accade dietro uno schermo con telecamera disattivata perché, dicono, 'non funziona'. In aula un docente attento guarda, capisce, motiva, sprona; fare tutto questo online, soprattutto con aule numerose, è molto, molto più difficile. Per non parlare dei bambini e dei ragazzi figli di immigrati di prima generazione, che dopo questi mesi rischiano seriamente di regredire alla conoscenza della lingua italiana che avevano nel 2019. Il virus lascerà una scuola – non solo un’economia – più diseguale; e questa è davvero una brutta notizia, perché le diseguaglianze nell’infanzia e nell’adolescenza si moltiplicano nella vita adulta.
Sui ragazzi e ragazze in lockdown c’è ancora molto da dire. Siamo rimasti tutti sorpresi positivamente da come hanno resistito alla clausura domestica. Sono stati più virtuosi di quanto, quasi tutti, pensavamo all’inizio. E dobbiamo esserne molto grati. Ma, se vogliamo essere anche onesti (e un poco 'politicamente scorretti'), sappiamo che c’è anche un lato meno luminoso della medaglia. I ragazzi e le ragazze hanno resistito a casa anche perché gran parte di essi erano già confinati nelle camere da ben prima della pandemia. Da anni i nostri adolescenti (e ormai anche i bambini) hanno rinunciato a molte ore all’aria aperta e ai giochi comunitari 'in presenza' perché troppo sedotti e incantati dagli smartphone e dai loro meravigliosi passatempo solitari. Stavano già molto bene nelle loro camerette da soli, e così hanno sofferto meno per la mancanza del gioco con gli amici. Giocavano già molto poco insieme, dopo la scuola, e hanno continuato a non giocare. Si 'incontravano' già dentro le loro macchine e hanno continuato a incontrarsi così. Vent’anni fa avrebbero sofferto molto di più per non uscire di casa, perché il paese dei balocchi era fuori, perché il sogno dei sogni era giocare con gli amici.
Nel Novecento abbiamo generato miracoli economici e civili perché abbiamo imparato a cooperare giocando insieme, molte ore tutti i giorni, e poi abbiamo 'continuato a giocare' lavorando insieme. La quotidiana lotta dei genitori per provare a ridurre il numero di ore che i figli trascorrono incollati ai telefoni si è necessariamente rilassata molto durante la pandemia. Anche per questa ragione la chiusura della scuola è un fatto grave sebbene necessario, perché era la principale (a volte quasi l’unica) attività veramente sociale e comunitaria dei nostri ragazzi e ragazze; chiudendola abbiamo perso formazione e apprendimento, ma abbiamo anche perso abilità relazionale e comunitaria. Quando finirà l’emergenza sarà ancora più difficile far uscire tanti ragazzi e ragazze dalle loro stanze – lo stiamo già vedendo. La didattica online, nonostante tutti gli sforzi, sta aumentando il confinamento solitario dei nostri figli.
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