La gratuità giunge nel mondo nel nostro manifestarci per ciò che siamo
di Luigino Bruni
pubblicato su Messaggero Capuccino di gennaio-febbraio 2024
Gratuità è diventata una parola difficile. Viene confusa, soprattutto quando è usata come aggettivo (gratuito, gratuita), con il gratis, qualche volta con l’inutile o il dannoso - ad esempio: una affermazione o cattiveria “gratuita”.
Negli USA è usata nei ristoranti come sinonimo di mancia (gratuity). Per capire che cosa sia gratuità, è allora necessario tornare alla radice della parola. Gratuità deriva dal latino gratia, grazia, che a sua volta è la traduzione latina della parola greca charis. Charis in origine indicava tutto ciò che è piacevole, che dà gioia, che è leggiadro, affascinante, bello (da cui l’aggettivo grazioso). Nell’umanesimo cristiano grazia si è caricato di nuovi significati, tutti belli. La grazia si riceve (da Dio), non la produciamo noi. Essa è dono gratuito, che Paolo chiama charisma, facendolo derivare da charis, grazia.
Alcuni distinguo
La gratuità non coincide con l’altruismo. È un atteggiamento, una dimensione dell’azione, che dice qualcosa sulla natura e anche sulle motivazioni di chi agisce. Gli esseri umani sono capaci di gratuità, quindi di amore puro e incondizionato, sebbene aiutati, per la fede cristiana, dalla charis donata loro da Dio. La gratuità, allora, è quella dimensione dell’agire che porta ad avvicinarsi agli altri, a sé stessi, alla natura, o a Dio non in modo puramente strumentale, ma attribuendo all’azione un valore intrinseco, e in vista del bene.
Occorre poi distinguere tra gratuità e due parole che le sono confinanti: dono e incondizionalità. Se la gratuità non è un contenuto dell’azione ma una modalità di agirla, si capisce che ci può essere un dono gratuito e un dono non-gratuito (che i latini chiamavano munus), che include obblighi o pratiche sociali legate a norme. Non tutti i doni sono gratuità, ed è la presenza della gratuità che fa di un regalo un dono.
Più complesso è il rapporto tra gratuità e incondizionalità. Certamente chi agisce con gratuità vive una certa incondizionalità, perché non decide di fare un atto di gratuità a condizione che gli altri facciano altrettanto. Al tempo stesso, l’incondizionalità non va intesa come se la gratuità si misurasse dall’assenza di qualsiasi condizione. Se così fosse, la gratuità sarebbe un sinonimo di disinteresse, ma il disinteresse non è a sua volta un sinonimo di agape né di charis. Essendo, invece, la gratuità una modalità di azione, essa può esprimersi in varie forme concrete, dove possiamo ritrovare anche elementi di condizionalità e di interesse per l’altro, come ben sanno i genitori nei confronti dei figli, o come ci mostra la Bibbia quando ci mostra la charis di Dio o di Gesù Cristo, che spesso si traducevano in richieste e patti caratterizzati da molta condizionalità: basti pensare alla stessa categoria di Alleanza, o alla parabola del servo spietato.
La prima gratuità
La gratuità, così intesa, è poi essenziale in ogni mercato, in ogni professione e lavoro, in ogni rapporto, perché è la dimensione antropologica che più dice l’eccedenza degli esseri umani sugli incentivi e suoi controlli, e quindi la loro libertà. La gratuità arriva nel mondo, trasformandolo ogni mattina, attraverso due grandi vie. La prima si trova dentro di noi, poiché ogni essere umano ha una capacità naturale di gratuità. La vita stessa, il nostro venire al mondo, è la prima grande esperienza di gratuità. Ci ritroviamo chiamati all’esistenza senza averlo scelto, perché qualcuno ci genera e poi ci accoglie senza porci nessuna condizione nel suo atto di accoglienza. È questo dono primigenio e fondativo la radice di ogni altra gratuità. Questa nostra vocazione naturale alla gratuità è ciò che ci fa attribuire un immenso valore alla gratuità degli altri, e ci fa soffrire molto quando la nostra gratuità non è riconosciuta, apprezzata, ringraziata, e forse non c’è dolore spirituale più acuto di chi vede la propria gratuità calpestata dagli altri, offesa, fraintesa.
L’homo sapiens è animale capace di gratuità. Perché se la gratuità non fosse già in noi, non potremmo riconoscere né apprezzare la gratuità degli altri, resteremmo intrappolati dentro il nostro narcisismo, e saremmo incapaci di vera bellezza e di ogni virtù. Per questa ragione la gratuità è dimensione costitutiva dell’umano, di tutto l’umano, di ogni umano, anche dell’homo oeconomicus, che oggi invece viene generalmente definito come qualcosa che inizia quando termina il territorio della gratuità.
La via dei carismi
La seconda via maestra di gratuità sono i carismi. Ogni tanto, e molto più spesso di quanto si pensi, arrivano nel mondo persone con una vocazione speciale di gratuità. Tra queste persone ci sono gli artisti, che si ritrovano dentro un dono, di cui non sono i proprietari, che costituisce l’essenza della loro vocazione artistica. In passato molti portatori di carismi operavano soprattutto all’interno delle religioni, o delle grandi filosofie. Oggi si trovano anche in altri luoghi dell’umano: dall’economia alla politica, dall’ambientalismo ai diritti umani. Ce ne sono molti, ma raramente abbiamo la capacità culturale e spirituale per riconoscerli. I carismi aumentano e potenziano la gratuità sulla terra, e la fanno risvegliare o risuscitare in quelli che li incontrano. Trovano il “già” della nostra gratuità e fanno fiorire il “non ancora”. Ogni incontro vero con un carisma è l’incontro con una voce che interpella la nostra gratuità, e se sembra morta le dice: «Talitha kum».
Una dimensione dei carismi e della gratuità-charis è la loro “naturalezza”, che li affratella alla terra e ai bambini e ci rivela la gratuità nascosta, misteriosamente ma realmente, nella natura. Quando si incontra un autentico portatore di carisma, sia esso un cooperatore sociale o una fondatrice di una comunità religiosa, la prima e più radicale esperienza che si fa è la sensazione fisica di incontrare persone che ti vogliono bene, e fanno bene al mondo, solo con il loro esserci. Non ci colpisce il loro volontarismo ma il loro essere semplicemente sé stessi. Non vedi persone più buone o altruiste di altre, ma gente che è e fa ciò che è.
Perché il carisma non è primariamente una faccenda etica, ma antropologica e ontologica: è l’essere che si manifesta e splende, e la gratuità è esercizio ordinario della vita quotidiana (anche se sono necessarie molte virtù per non perderla lungo il cammino). Così i carismi sono, a un tempo, la pura spiritualità e la pura laicità. Questa dimensione naturale dei carismi, ad esempio, fa sì che chi si sente beneficiato da questa gratuità non si senta debitore, ed è liberato dal debito della riconoscenza che quando arriva è tutta libertà e gratuità.
La charis arriva nel mondo per il bene di tutti, anche di chi i carismi non li vede, o li disprezza. Ma vengono soprattutto per i poveri. Se non ci fossero i carismi, i poveri non sarebbero visti, amati, curati, salvati, stimati: sarebbero solo gestiti o nascosti per non vederli. È lo sguardo diverso dei carismi che dona ai poveri speranza, gioia, e spesso li risorge. Ed è lo sguardo dei poveri che rende viva la charis del carisma.