Mind the economy

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Davvero l’interesse individuale e il senso morale sono in conflitto tra loro?

I Commenti de «Il Sole 24 Ore» - Mind the Economy, la serie di articoli di Vittorio Pelligra sul Sole 24 ore.

di Vittorio Pelligra

Pubblicato su Il Sole 24 Ore il 18/06/2023

Scrive a proposito di David Hume, il grande storico delle idee Isaiah Berlin, che “Nessun uomo ha influito sulla storia del pensiero filosofico in misura più profonda e perturbante” (The Age of Enlightenment: The 18th Century Philosophers, 1956, p. 163.).

Una delle grandi intuizioni del filosofo scozzese riguardo al tema della giustizia è quella secondo cui tale concetto ha carattere convenzionale, “artificiale”, direbbe lui. Ciò significa due cose. La prima è che la giustizia funziona solo se tutti sono d'accordo a seguire le norme che essa prescrive. Come coloro che costruiscono una volta sanno che, ponendo progressivamente dei mattoni uno sopra l'altro, tali mattoni si reggeranno l'uno sulla pressione esercitata dall'altro, allo stesso modo ogni azione giusta sarà giusta e definita come tale in quanto imitata e riconosciuta dagli altri.

La seconda questione e correlata alla prima e riguarda il fatto che, sempre secondo Hume, la giustizia serve un bisogno superiore, quello della stabilità della proprietà, condizione necessaria affinché una comunità possa vivere in pace e in prosperità. Affinché tale condizione venga rispettata è necessario che ogni membro della comunità sia convinto che essa vada rispettata e tale consenso potrà basarsi esclusivamente sull'interesse a rispettare la norma, proprio perché ci si aspetta che tutti gli altri rispetteranno la stessa norma.

Giustizia come virtù “artificiale”

La giustizia è una virtù “artificiale”, dice Hume, perché dipende da un accordo implicito. Come guidare a destra o a sinistra non è buono o malvagio in sé, lo diventa in relazione a ciò che decidono di fare tutti gli altri, guidare a destra diventa giusto nel momento in cui mi aspetto che tutti gli altri guideranno a destra perché solo così si potrà promuovere l'interesse congiunto di ogni membro della comunità. Non ci sarà bisogno di nessun Leviatano hobbesiano per spingere gli automobilisti a guidare a destra se questi si aspettano che tutti gli altri faranno lo stesso.

Allo stesso modo la regola di giustizia si afferma spontaneamente nel momento in cui tutti sceglieranno volontariamente di comportarsi giustamente attendendosi da tutti gli altri membri il rispetto della giustizia. La loro volontà sarà dettata dal riconoscimento del vantaggio individuale e non solo sociale, che deriva da tale comportamento. La regola, dunque, trae la sua normatività dalla natura convenzionale dell'accordo tra le parti.

Il fondamento della giustizia, dunque, come abbiamo visto nelle settimane precedenti, è l'interesse personale di natura strategica e questo si fonda, a sua volta, sulla necessità di fissare degli stabili diritti di proprietà. “La proprietà di un uomo è un oggetto di relazione con lui – scrive Hume nel Trattato – questa relazione non è naturale, ma morale e basata sulla giustizia: è del tutto assurdo, quindi, immaginare che si possa avere un'idea della proprietà senza comprendere appieno la natura della giustizia, e senza mostrare la sua origine nell'artificio e nell'invenzione degli uomini. L'origine della giustizia spiega quella di proprietà; è lo stesso artificio che dà vita a entrambe”.

Perché la giustizia è una virtù?

Giustizia come virtù “artificiale”, dunque, pragmatica e necessaria. Ma come arriviamo ad assegnare all'idea e alle pratiche di giustizia la qualità di “virtù”? Questo è il secondo aspetto che Hume affronta nel Trattato. L'idea di fondo è che l'approvazione morale della giustizia derivi dall'utilità sociale della sua applicazione. «L'interesse egoistico è il motivo originario per il sorgere della giustizia: e invece una simpatia per l'interesse pubblico è l'origine dell'approvazione morale, che accompagna quella virtù». Mentre la giustizia sorge come conseguenza dell'interesse individuale illuminato, la sua natura virtuosa viene generata dalla sympathy verso i sentimenti degli altri.

L'argomento è complesso ed articolato. Al crescere delle dimensioni dei gruppi sociali che si allargano dai primi nuclei familiari ai clan alle tribù fino a diventare un popolo, afferma Hume, la scelta di darsi delle regole di convivenza e di rispettarle reciprocamente, originariamente un “motivo sufficientemente forte ed efficace per il formarsi della società”, diventa ora via via più instabile; questo interesse, infatti, “risulta più remoto”. Accade che, con il crescere della dimensione dei gruppi sociali, i rapporti personali si allentano e diventa più difficile rendersi conto delle conseguenze negative delle possibili violazioni delle regole di giustizia. Per questa ragione, continua Hume, “possiamo perdere di vista frequentemente l'interesse che abbiamo a mantenere l'ordine” e, di conseguenza possiamo essere indotti a “seguire un interesse minore ma più immediato”.

La tendenza dell’uomo a condividere

Ma c'è un'asimmetria interessante a questo riguardo. Mentre siamo soggetti all'indifferenza quando le ingiustizie riguardano gli altri, quando siamo noi a subire, direttamente o indirettamente, un danno dalle ingiustizie altrui queste non passano di certo inosservate. Come non passano inosservati neanche quei comportamenti ingiusti che riguardano altri, a cui noi assistiamo ma che non ci toccano personalmente in alcun modo. Anche questi, afferma Hume, ci risultano sgradevoli perché li riteniamo pregiudizievoli per la società. La ragione di questa partecipazione al dolore che l'ingiustizia provoca in altri risiede, come abbiamo detto, nella nostra capacità di sympathy: l'umana tendenza a condividere i sentimenti, le impressioni e le opinioni altrui. E poiché, continua Hume “Ogni cosa che nelle azioni umane provoca dolore viene, da un punto di vista generale, chiamata vizio, e qualsiasi cosa che produce soddisfazione viene allo stesso modo denominata virtù: questa è la ragione per cui il senso del bene e del male morale deriva dalla giustizia e dall'ingiustizia”.

La giustizia acquista la natura di virtù perché siamo capace di “simpatizzare” e di condividere con le vittime dell'ingiustizia il loro dolore. L'aggressività dell'autointeresse viene mitigata dalla natura “riflessiva” degli uomini, nella capacità di “riflettersi l'uno nell'altro”, di rimandarsi, cioè, a vicenda l'immagine che ognuno di noi proietta all'esterno. La sympathy ci mette in comunicazione e, contemporaneamente, ci pone alla mercé del giudizio altrui. E, infatti, continua Hume, sebbene il senso di giustizia derivi solo dalla contemplazione delle azioni altrui “tuttavia non manchiamo di estenderlo anche alle nostre stesse azioni”. Simpatizziamo con gli altri e simpatizziamo anche con i sentimenti che gli altri provano nei nostri confronti proprio in virtù della loro capacità di simpatizzare. Ancora la natura strategica della giustizia. Ma poi questi sentimenti vengono ulteriormente rafforzati dalla politica e dall'educazione che, attraverso la lode e il biasimo, rafforzano “la naturale spinta stima per la giustizia e l'avversione per l'ingiustizia”. Si aggiunge, poi, il nostro desiderio di mantenere una buona reputazione che dipende, secondo Hume, primariamente “dalla nostra condotta relativamente alla proprietà altrui”.

Le convenzioni umane

C'è un ulteriore elemento che rafforza e rende decisivo il ruolo della sympathy nel vincolare gli uomini alla cooperazione e al rispetto delle regole di giustizia. “Una promessa non è intelligibile- scrive Hume - se non è inserita nel quadro delle convezioni umane (…). Un uomo non avvezzo alla vita sociale non potrebbe mai stringere accordi con i suoi simili anche se potesse percepirne i pensieri attraverso l'intuizione”. Cosa significa? Che solo la combinazione della sympathy e della pressione evolutiva, “l'essere avvezzo alla vita sociale”, è in grado di produrre un sistema di norme e di convenzioni che è nell'interesse del singolo rispettare. Si tratta sempre, ricordiamolo, di un interesse condizionale: io rispetto le norme perché anche gli altri le rispettano, e solo se anche gli altri si conformano ad esse allora il mio rispetto promuoverà il mio interesse. L'equilibrio sociale emerge dal coordinamento delle azioni dei singoli sulla base delle informazioni circa le aspettative degli altri. Tali aspettative sono intelligibili solo perché derivano dall'esistenza di un sistema condiviso di norme e convenzioni e perché l'azione della sympathy fornisce informazioni circa gli stati mentali presenti o ipotetici degli altri.

Supponiamo che una persona mi abbia prestato una somma di denaro – immagina Hume – alla condizione che le venga restituita in pochi giorni e supponiamo inoltre che alla scadenza del termine convenuto mi richieda la somma: quale ragione o quale motivo ho di restituire il denaro?” Perché dovrei restituirti il denaro anche se sarebbe mio interesse tenermelo? Non esiste nessuna ragione “naturale” che possa giustificare siffatta condotta. Infatti, continua sempre Hume, benché non possa essere rintracciata alcuna ragione originaria, che preceda l'insorgere della società, tale da giustificare un comportamento che definiremmo “onesto”, quella giustificazione si crea artificialmente nell'interazione sociale che si genera dalla vita in comune. Il mio desiderio di conformarmi alla regola dell'onestà evolve di pari passo con la mia consapevolezza che tale desiderio è diffuso e rispettato nella società nella quale sono inserito. “Non occorre altro che un po' di pratica del mondo – scrive Hume – per farci percepire tutte le conseguenze e i vantaggi [derivanti dal rispetto delle promesse]; e quando ogni individuo percepisce lo stesso senso di interesse in ogni suo simile, egli immediatamente è disposto a fare la sua parte in ogni contratto, e non c'è nessun requisito per formare questo accordo o convenzione se non quello che ognuno abbia un senso di interesse nel fedele rispetto degli impegni e che manifesti tale interesse agli altri membri della società. Questo immediatamente fa in modo che tale interesse operi in loro. L'interesse è la prima obbligazione per il rispetto delle promesse”. Questa mossa rappresenta una deviazione originalissima e anticipatrice di molti altri sviluppi futuri, quelli avanzati dal suo amico e allievo Adam Smith, tra tutti. Viene, infatti, superata in questo modo la separazione tra interesse individuale e agire morale che diventano, in questo modo, non opposti inconciliabili quanto, piuttosto, correlati logici.

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