I Commenti de "Il Sole 24 Ore" - Mind the Economy, la serie di articoli di Vittorio Pelligra sul Sole 24 ore
di Vittorio Pelligra
pubblicato su Il Sole 24 ore del 19/12/2021
Nei rapporti non sempre idilliaci tra gli azionisti di un'impresa e i manager che la governano un ruolo cruciale è giocato dal rischio di azzardo morale. La necessità di delegare, da parte della proprietà, la gestione dell'impresa a manager esterni crea di per sé un'asimmetria informativa rispetto alle azioni e alle scelte di chi ogni giorno deve gestire l'impresa; decisioni e scelte, spesso opache e mai perfettamente controllabili o verificabili da parte degli azionisti.
Se a questa distribuzione asimmetrica delle informazioni si aggiunge il conflitto di interessi almeno parziale che esiste tra i due gruppi di soggetti, relativo, tra le altre cose, come abbiamo visto la settimana scorsa, alla rischiosità della gestione, all'orizzonte temporale e alla considerazione dei vari costi, si capisce come la possibilità di azzardo morale e di comportamenti opportunistici diventi concreta e potenzialmente pericolosa.
I meccanismi che mitigano il rischio d’azzardo morale
Oltre a meccanismi interni, legati principalmente alla contrattazione incentivante, il rischio di azzardo morale è, però, mitigato da alcuni altri meccanismi che caratterizzano l'ambiente esterno nel quale l'impresa opera. Abbiamo iniziato a vedere la settimana scorsa come, per esempio, il rischio di scalate ostili possa rappresentare un forte incentivo per i manager a gestire in maniera efficiente l'impresa che, una volta scalata, potrebbe venire affidata ad altra gestione.
L'effetto deterrente di questa possibilità è mitigato da vari fattori: i costi di ricerca, i costi di campagna, il rischio di free-riding da parte di altri investitori o degli azionisti stessi, di cui abbiamo trattato nel «Mind the Economy» della settimana scorsa. Oggi, sempre in questa linea, identificheremo ancora un altro elemento capace di ridurre il rischio di scalata e di far crescere, di conseguenza, quello di azzardo morale.
La «maledizione del vincitore»
Brillante come sempre, il premio Nobel Richard Thaler comincia uno dei suoi articoli dedicati alle anomalie del comportamento economico in questo modo: rivolgendosi ai colleghi suggerisce «La prossima volta che vi troverete a corto di soldi per il pranzo, provate il seguente esperimento coi vostri studenti. Prendete un barattolo e riempitelo di monete, annotando il valore totale del contenuto. Poi mettete all'asta il barattolo. È molto probabile che otterrete i seguenti risultati: (1) l'offerta media da parte degli studenti sarà significativamente inferiore al valore delle monete; (2) l'offerta vincente supererà, invece, il valore del barattolo. Alla fine voi avrete recuperato un po' di soldi per il pranzo e i vostri studenti avranno sperimentato in prima persona il significato della cosiddetta ‘maledizione del vincitore' (the winner's curse)».
Questo fenomeno venne discusso formalmente per la prima volta da Capen, Clapp e Campbell, tre ingegneri della compagnia petrolifera Atlantic Richfield («Competitive Bidding in High-Risk Situations». Journal of Petroleum Technology, 1971, 23, pp. 641-653). L'idea è semplice. Supponiamo che diverse compagnie petrolifere siano interessate ad acquistare i diritti di trivellazione su un particolare appezzamento di terreno. Supponiamo che i diritti valgano lo stesso importo per tutti gli offerenti, cioè l’asta è di quelle che viene definita a “valore comune”.
Supponiamo inoltre che ciascuna impresa offerente ottenga una stima del valore dei diritti dai propri esperti. Se le stime sono affidabili allora la loro media dovrà essere approssimativamente uguale al valore reale dei diritti di trivellazione. Ma data l'incertezza rispetto a questo valore vero, ci sarà molto «rumore» nelle stime che differiranno tra loro anche in maniera significativa. Alcune sottovaluteranno il valore reale del bene, altre lo sopravvaluteranno. Nell'asta, però, si sa, vince chi offre di più. Questa regola assieme alle stime «rumorose», faranno sì che il vincitore sarà colui che avrà offerto più di una impresa che con buona probabilità aveva già offerto un prezzo troppo alto rispetto al valore vero dei diritti.
«Se ciò accade – conclude Thaler – allora il vincitore dell'asta avrà perso. Si potrà dire che il vincitore è “maledetto” (cursed) in due accezioni differenti: (1) l'offerta vincente supera il valore effettivo dei diritti, quindi l'impresa che se li aggiudica perderà denaro; o (2) il valore dei diritti si rivelerà, alla fine, inferiore alla stima dell'esperto», quindi l’impresa vincitrice avrà perso denaro, anche in questo caso.
Perché non siamo esseri logici
La «maledizione del vincitore» è un fenomeno estremamente interessante perché, così come il volo del calabrone, non dovrebbe mai verificarsi. Soggetti razionali, infatti, dovrebbero anticipare il rischio della sua evenienza e modificare congiuntamente le loro offerte al ribasso. Ma noi non siamo esseri logici, siamo piuttosto, (psico)logici e quindi la maledizione appare in molte forme differenti e in molti campi differenti. Max Bazerman e William Samuelson, rispettivamente psicologo ed economista di Harvard, sono gli ideatori dell'esperimento con il barattolo di monete («I Won the Auction but Don't Want the Prize». Journal of Conflict Resolution, 1983, 27, pp. 618-634).
Nel 1983 condussero, utilizzando questo protocollo, un esperimento controllato di laboratorio con il coinvolgimento di centinaia di partecipanti (studenti di Mba) e l'utilizzo di denaro sonante. Nel barattolo erano contenuti 8 dollari. La media delle offerte vincenti si rivelò essere pari a 10,01 dollari, sistematicamente superiore al valore reale del bene. Esperimenti successivi mostrarono che il fenomeno si ripeteva anche con manager esperti e non scompariva con la ripetizione, quando, cioè, i soggetti avevano la possibilità di apprendere dai loro sbagli.
Fuori dal laboratorio la «maledizione del vincitore è stata osservata in molti altri contesti differenti, dal mercato dei giocatori professionisti di baseball al già citato mercato dei diritti di trivellazione. A questo proposito, nel loro studio, Capen, Clapp e Campbell notano come «Negli ultimi anni, diverse grandi aziende hanno esaminato piuttosto attentamente i loro risultati e quelli del settore in aree in cui le aste sono il metodo per acquisire i contratti di trivellazione. La più notevole di queste aree, e forse la più interessante, è il Golfo del Messico. La maggior parte degli analisti si è scontrata con il risultato piuttosto scioccante che, mentre sembra che ci sia molto petrolio e gas nella regione, l'industria non ha realizzato, dati gli investimenti, i guadagni attesi. Infatti, se si ignora il periodo anteriore al 1950, quando la terra era molto più economica, si trova che il rendimento dell'attività estrattiva nella regione del Golfo è inferiore all'interesse pagato sui depositi dalle cooperative di credito locale».
L’esempio delle grandi acquisizioni
C'è, poi, il settore delle acquisizioni aziendali, il nostro principale tema di interesse. Uno dei primi studi ad occuparsi della questione è stato pubblicato nel 1986 da Richard Roll («The Hubris Hypothesis of Corporate Takeovers». Journal of Business, 1986, 59, pp. 197-216). La finalità dello studio era quella di spiegare perché, dati alla mano, le imprese sembrano essere disposte a pagare valori significativamente superiori al prezzo di mercato per acquisire altre imprese. L'evidenza, infatti, mostra che, mentre gli azionisti delle aziende che vengono scalate realizzano profitti ingenti, per l'acquirente c'è poco o nessun guadagno.
Perché allora si verificano queste acquisizioni? Roll è convinto che alla base ci sia quella che definisce «l'ipotesi dell'arroganza» (the hubris hypothesis). Quello che si verifica, in genere, è che le imprese offerenti identificano le potenziali imprese target, ne stimano il valore e fanno un'offerta solo se il valore stimato supera l'effettivo valore di mercato. Alla base di questa sistematica sopravalutazione, dunque, ci sarebbe, secondo Roll, l'eccessiva convinzione da parte dei manager che guidano l'acquisizione di poter stimare il valore dell'impresa meglio dei mercati. Alla luce dei dati sembra, al contrario, che ci sia ben poco supporto per tale convinzione.
Ne dobbiamo concludere che siamo davanti a comportamenti sistematicamente irrazionali? Non è una conclusione da scartare, anzi forse è la spiegazione più logica. Questo fatto potrebbe risultare sorprendente solo perché l'economia è una scienza strana. Come affermava il Nobel Kenneth Arrow, infatti, la teoria economica si trova nella bizzarra situazione nella quale: «l'analisi scientifica imputa un comportamento scientifico ai suoi soggetti. Questa non è necessariamente una contraddizione, ma sembra comunque portare ad un regresso infinito».
Come si può sfuggire (forse) alla maledizione
Come sfuggire alla “maledizione del vincitore”, dunque? È un problema decisamente complesso. Immaginate di essere il manager di una di quelle imprese di estrazione che deve competere con altre imprese per l'acquisizione dei diritti (oggi una situazione simile si ha nelle aste per l'acquisto degli spazi pubblicitari sui motori di ricerca). Anche supponendo di essere coscienti della vulnerabilità alla “maledizione del vincitore” quale sarebbe la condotta ottimale?
Certo potreste tenerne conto nell'elaborazione delle vostre stime e delle offerte che saranno, per questo, generalmente più moderate. Questo però, se da una parte vi potrà evitare si “strapagare” certi diritti, dall'altra, vi farà vincere ben poche aste e quindi impedirà la vostra attività. Del resto, comportarsi in maniera razionale in un mondo popolato da persone irrazionali è una condotta suicida, come era solito ripetere John Maynard Keynes.
Ma al di là di queste considerazioni che ci porterebbero su una strada di grande interesse, ma divergente rispetto ai nostri obiettivi, il dato importante è questo: se la “maledizione del vincitore” è un fatto accertato, questo può ridurre la probabilità di scalate ostili e quindi il rischio che corre il management di un'impresa gestita in maniera inefficiente.
L'azzardo morale, dunque, è ancora lì, a minacciare gli interessi degli azionisti e il buon funzionamento delle imprese. Come ne possiamo uscire? Forse la strada indicata dalle scienze comportamentali che considerano anche gli agenti economici come appartenenti alla specie “homo sapiens” e non alieni iper-razionali, può rivelarsi feconda. Ne parleremo diffusamente nelle prossime settimane.