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Azionisti «contro» manager: le scalate ostili evitano l’azzardo morale?

I Commenti de "Il Sole 24 Ore" - Mind the Economy, la serie di articoli di Vittorio Pelligra sul Sole 24 ore

di Vittorio Pelligra

pubblicato su Il Sole 24 ore del 12/12/2021

Nei corsi base di microeconomia si descrive il funzionamento dell'impresa come una sorta di “scatola nera”. C'è una tecnologia, gli input della produzione – capitale e lavoro – e un output che scambiato sul mercato produce, dati i costi di produzione, un certo profitto. Il funzionamento dell'impresa è descritto dalla sua funzione di produzione e l'obiettivo della sua esistenza è la massimizzazione del profitto.

Una prima approssimazione, certo. In realtà le imprese sono istituzioni complesse che devono risolvere non solo problemi “esterni” come la sopravvivenza in un mercato concorrenziale, ma anche interni come, per esempio, la motivazione dei loro membri, azionisti, management e lavoratori, a cooperare tra di loro per perseguire le finalità dell'impresa stessa. Il tema è complesso perché gli interessi di questi gruppi di soggetti sono in genere in conflitto tra di loro.

Il conflitto nascosto tra azionisti e management

Se questo è palese nel caso degli azionisti e dei lavoratori – i primi sono interessati al profitto che deriva dal lavoro dei secondi che, a sua volta, rappresenta un costo da minimizzare proprio per massimizzare il profitto dei primi – esiste anche un conflitto che è più nascosto, ma non per questo meno reale, tra gli azionisti ed il management.

La combinazione della necessità di delegare la tutela dei propri interessi ad altri più esperti, assieme ad un imperfetto allineamento di questi interessi, con l'aggiunta dell'impossibilità di controllare in maniera precisa l'operato di questi ultimi, crea spazio per l'azzardo morale, il rischio dell'opportunismo e, in definitiva, di accordi inefficienti incapaci di generare mutua soddisfazione per tutte le parti coinvolte.

Il caso della relazione tra manager e azionisti è, in questo senso, paradigmatico. Chiediamoci innanzitutto perché tra la proprietà di un'impresa, gli azionisti, e la gestione della stessa impresa, il management, possano esserci interessi divergenti.

Divergenze su spese, impegno, gestione del rischio e tempo

Possono esserci, innanzitutto, divergenze per quanto riguarda le spese che i manager ritengono “necessarie” per l'adempimento del loro compito: un ufficio prestigioso, le spese di rappresentanza, i viaggi, l'autista, le residenze, etc. Non di rado sono queste le ragioni – forse più simboliche che economiche - che creano attrito tra la proprietà e la gestione di un'impresa. Basti pensare ad alcuni recenti casi di cronaca relativi all'uso spregiudicato della carta di credito aziendale.

Una seconda classe di conflitti tra proprietà e management può riguardare il livello di impegno profuso nell'adempimento dei compiti gestionali, non solo in termini di tempo, ma anche di efficacia, collaborazione coi colleghi, creatività, solo per fare qualche esempio. Tutti elementi che rappresentano un di più per la proprietà e un costo per il manager.

C'è anche una terza classe di possibili conflitti, quelli legati alla gestione del rischio: mentre gli azionisti, con molta probabilità, avranno implementato nel loro portafoglio titoli una gestione diversificata del rischio, i manager vedono il loro destino finanziario più strettamente collegato a quello della singola impresa che sono chiamati a gestire in quel dato momento. Questo fa sì che l'atteggiamento nei confronti del rischio possa essere più aggressivo da parte degli azionisti e più prudente per quanto riguarda i manager. Questo può portare a divergenze di vedute circa le strategie aziendali da attuare, quali progetti promuovere, quali investimenti effettuare.

Un quarto genere di conflitti può originare da una differente considerazione del tempo. Per gli azionisti, per esempio, l'obiettivo preminente è, in genere, costituito dalla massimizzazione del valore delle azioni nel medio-lungo periodo. Per i manager, invece, che sanno di non spendere tutta la loro vita lavorativa nella stessa impresa, l'orizzonte temporale di riferimento può essere anche molto più breve. Anche in questo caso, quindi, differenze nelle preferenze temporali possono portare a scelte conflittuali tra proprietà e gestione.

Le possibili soluzioni

Appurato, dunque, questo imperfetto allineamento degli interessi, il passo successivo riguarda le possibili soluzioni che possono mitigare questo conflitto e rendere le scelte del management più in linea con gli interessi della proprietà. Esistono vari meccanismi che possono concorrere a questo scopo.  Alcuni sono interni e riguardano principalmente i vari schemi di incentivazione che possono essere adottati . Ci sono però anche dei meccanismi esterni, dei vincoli contestuali e ambientali che possono ridurre il rischio di azzardo morale da parte del management nei confronti della proprietà.

I meccanismi esterni

Discuteremo in primo luogo alcuni di questi. Il primo elemento che può esercitare un effetto deterrente rispetto alla tentazione dei manager di porre in essere scelte contrarie agli interessi della proprietà per perseguire finalità personali risiede nel rischio, sempre presente per le grandi organizzazioni, di una scalata ostile. Nel momento in cui i mercati realizzano che, a causa di una gestione discutibile, una certa impresa produce meno ricchezza di quella che potrebbe produrre se gestita in maniera efficiente, si crea un incentivo per investitori lungimiranti a valutare la possibilità di una acquisizione. Questa operazione avrebbe come conseguenza non solo la sostituzione della proprietà, a causa dell'acquisto dei pacchetti azionari, ma anche la sostituzione, questa non remunerata, del vecchio management responsabile della gestione improduttiva.

Effetto deterrente

La semplice possibilità di una scalata di questo tipo con la relativa sostituzione del management dovrebbe rappresentare, si è affermato da più parti, un deterrente all'azzardo morale insito nella relazione tra azionisti e manager. In realtà questo effetto deterrente è soggetto a numerose qualificazioni che tendono a ridurne l'efficacia. Il primo aspetto riguarda i cosiddetti “costi di ricerca”. L'individuazione di quelle imprese che sono attualmente sottovalutate perché gestite male, ma che mostrano potenzialità di crescita nel caso di una sostituzione del management può essere, infatti, un'attività decisamente costosa e non sempre porta a scoperte promettenti. A volte, infatti, le imprese possono rendere poco anche se sono gestite in maniera ottimale. Questo rende tali obiettivi non interessanti e le risorse utilizzate nell'individuazione di queste imprese non più recuperabili.

Investitori scoraggiati dai costi

Un secondo problema che può ridurre l'effetto deterrente delle scalate ostili riguarda il fatto che non solo le ricerche hanno dei costi, ma anche le campagne di acquisizione possono essere molto dispendiose. Anche una volta individuata un'interessante “impresa obiettivo” l'investitore dovrà sostenere costi addizionali relativi alla diffusione delle informazioni relative all'intenzione di acquisto, alle relazioni con i precedenti azionisti, spese legali, spesso anche costi di immagine legati alle mosse difensive che la precedente proprietà può mettere in atto. Anche questi costi vanno a sommarsi a quelli di ricerca riducendo così i margini di guadagno dell'intera operazione e rendendo la sua esecuzione meno probabile.

Le offerte rivali

C'è un terzo fattore che può scoraggiare gli investitori dal lanciare una campagna di acquisizione. Una volta, infatti, che le notizie circa l'interesse verso una certa impresa scalabile iniziano a trapelare, possono affacciarsi sul mercato offerte rivali. I promotori di queste offerte avranno il vantaggio di non aver dovuto sostenere i costi di ricerca – qualcun altro li ha sostenuti per loro – e di poter godere, quindi, di margini di guadagno maggiori. La possibilità di questa forma di free-riding può scoraggiare l'operazione già nelle sue fasi iniziali. C'è anche un'altra forma di free-riding che può limitare l'effetto deterrente del rischio di scalata.Si tratta della possibilità che i vecchi azionisti sfruttino le azioni della nuova proprietà volte alla sostituzione del management e al conseguente incremento del valore dell'impresa e quindi delle azioni. Perché dovrei venderti oggi le mie azioni alla cifra x se posso anticipare che grazie alla tua operazione di acquisizione le mie azioni varranno domani x+y? Ma se la quota di azionisti che fanno questo stesso ragionamento è sufficientemente alta, allora l'acquisizione non avrà nessuna possibilità di riuscita. Questi sono solo alcuni degli elementi che possono ridurre l'effetto deterrente, rispetto al rischio di azzardo morale, delle scalate ostili.

Azzardo morale, rischio centrale per le imprese

Concludendo possiamo affermare che nonostante diversi vincoli esogeni e ambientali il rischio dell'azzardo morale nella relazione tra azionisti e management rimane centrale nella vita di ogni organizzazione complessa. Un problema che la teoria del contratto ottimo ha risolto solo in parte e che non potrà essere affrontata in maniera efficace se non riusciremo a introdurre nella teoria e nelle pratiche elementi di natura culturale ed etica. In primis, il ruolo di controllo dei cittadini che si coordinano per votare con il portafoglio, quando, cioè, decidono di esercitare la sacrosanta sovranità del consumatore.

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