I ragazzi, soprattutto grazie al movimento Fridaysforfuture, ci stanno dicendo cose nuove sulla politica, sull’economia, sul presente e sul futuro del pianeta. Ascoltiamoli.
di Luigino Bruni
pubblicato sul Messaggero di Sant'Antonio il 05/11/2019
Votare o non votare è sempre stata una questione di potere: chi lo aveva decideva chi poteva e chi non poteva votare.
Non solo nell’antica Grecia, ma anche nell’Europa cristiana il voto era riservato agli aristocratici e agli uomini benestanti. Si votava per sesso, censo e per istruzione – gli analfabeti erano quasi ovunque esclusi –. Solo in brevissimi periodi durante le rivoluzioni (francese o romana) si realizzarono dei suffragi estesi ai poveri e alle donne. E anche nella seconda metà del Novecento, quando quasi tutti i Paesi hanno conosciuto il suffragio universale, in realtà il suffragio non è mai stato veramente universale, perché restavano e ancora restano esseri umani, che potenzialmente avrebbero il diritto di voto ma che di fatto non votano. Si pensi ai residenti senza cittadinanza, e si pensi ai minorenni. Gli allargamenti del diritto di voto sono stati frutto di cambiamenti epocali di paradigma socio-economico-politico, e sempre accompagnati da grandi dibattiti e tensioni tra chi era «dentro» e chi era «fuori».
Oggi stiamo vivendo una stagione di cambiamento di paradigma, e gli «esclusi» che ci chiedono di entrare nel club dei votanti sono i ragazzi e i bambini. Si riparla, anche in Italia, del voto ai sedicenni. Ma, in realtà, la vera sfida – distinta e legata a questa: l’abbassamento della soglia della maggiore età lascia aperta la questione più ampia della rappresentanza politica dei minori – riguarda il voto ai bambini di ogni età.
Tra la fine del XX e l’inizio del XXI secolo, alcuni filosofi ed economisti, come il belga Philippe Van Parijs e Luigi Campiglio della Cattolica di Milano avevano posto la questione del voto ai bambini. Proposte che hanno suscitato dibattiti tra alcuni addetti ai lavori, ma che non hanno mai raggiunto il grande pubblico perché il voto ai bambini diventasse effettivo. L’urgenza della questione ambientale, e la conseguente entrata sulla scena pubblica del pensiero dei ragazzi grazie al movimento FridaysForFuture, che rappresenta l’evento politico globale più importante del nuovo millennio, stanno creando oggi le condizioni affinché la proposta di estendere il voto ai bambini venga presa molto sul serio. Chiaramente si tratta di un voto espresso tramite un adulto.
È evidente che quanto sta avvenendo nel mondo sta mostrando una nuova soggettività politica dei ragazzi. Essi ci stanno dicendo cose nuove sulla politica, sull’economia, e soprattutto sul presente e sul futuro del pianeta. E stanno, a loro volta, dando voce al pianeta, agli animali e alle altre specie viventi. Possiamo continuare a trattarli in modo paternalistico da bambini, e continuare tutto come prima; oppure possiamo prendere molto sul serio questo kairos della storia, e allargare la democrazia includendoli. Come abbiamo fatto con i poveri, con gli analfabeti, con le donne.
Estendere, in qualche modo, il voto ai bambini significa spostare il baricentro della politica verso il futuro, che è la vera e forse unica soluzione agli enormi problemi del pianeta creati da adulti che si sono comportati da «bambini». Certo, ci sono molte ragioni per evitare questo allargamento, e alcune anche serie e importanti. Ma ce n’è una buona in più per farlo: nella Bibbia i bambini sono presi molto sul serio. Davide, Geremia, Samuele erano ragazzi quando ricevettero la loro vocazione. Gesù a dodici anni ammaestrava i dottori nel tempio, che (forse) capirono che un dodicenne aveva cose importanti ed essenziali da dire. I nostri dodicenni ci stanno dicendo cose essenziali, le cose più importanti da molti decenni. Ascoltiamoli davvero.
Credits immagine: © Giuliano Dinon / Archivio MSA