In vista del prossimo "Black Friday", proponiamo ai nostri lettori un brano di Luigino Bruni tratto dal suo nuovo libro "Il capitalismo e il sacro", Vita e Pensiero editore
di Luigino Bruni - tratto da "Il capitalismo e il sacro", Vita e Pensiero, novembre 2019
Diversamente da quanto pensassero Saint-Simon, Marx e Weber, il dio del capitalismo non è il capitalista né il profitto. O almeno non lo è più. La predestinazione (della cultura calvinista) che per almeno due secoli era stata una esperienza elitaria di un ristretto numero di imprenditori e banchieri, nel corso del XX secolo è progressivamente diventata una religione di massa, grazie allo spostamento del baricentro etico del capitalismo dalla sfera della produzione a quella del consumo. A essere “benedetto da Dio” non è più l’imprenditore ma il consumatore, che è lodato e invidiato perché e se ha i mezzi per consumare. Più consumo, più benedizione. La figura sacrale dell’imprenditore-costruttore ha così lasciato il posto al nuovo sacerdote-consumatore. È la sovranità del consumatore la sola sovranità riconosciuta ai cittadini-fedeli del mono-culto consumista, che sta seriamente minando la cittadinanza politica.
Si comprende allora che il primo idolo, il capo del pantheon dell’idolatria capitalista non è l’imprenditore; non è neanche la merce e il suo feticismo (Marx), ma il consumatore.
Pensiamo ad un aspetto che può apparire secondario: gli sconti, che sono il centro attorno al quale ruotano liturgie collettive come i saldi di fine stagione o, ancor più, al nuovo culto del Black friday. Anche se ogni anno vengono sollevati dubbi sulla loro ‘verità’, in realtà gli sconti sono e devono essere reali. Lo sono perché lo sconto vero è un elemento essenziale del culto. Gli sconti devono essere reali, perché non c’è una religione senza una qualche forma di dono, di grazia e di sacrificio. Con una differenza fondamentale però, che ci svela molto della sua natura sacrale. Nelle religioni tradizionali è il fedele che fa doni al suo Dio, nella idolatria capitalistica è invece l’impresa-dio che fa ‘doni’ ai suoi fedeli. La direzione cambia perché opposto è il senso del culto. Infatti, nella religione del consumo la divinità è il consumatore, che le imprese cercano di fidelizzare (altra parola religiosa) con il loro sacrificio-sconto. Dono senza gratuità - e quindi non religione ma idolatria.
Se, dunque, il dio della religione capitalista è il consumatore, chi è il superuomo o oltre-uomo nietzschiano del capitalismo? Se spingiamo fino in fondo questa analogia potremmo dire che il superuomo del capitalismo è colui che riesce a vivere senza il suo consumo; arrivando così al paradosso che chi esce dal sistema rinunciando ai suoi consumi e dogmi è il superuomo della religione capitalista, colui, sovraumanamente, capace di vivere in un mondo senza più il suo dio.Qualcosa di analogo lo aveva (forse) intuito Benjamin quando scriveva una frase sibillina: “L’idea del superuomo disloca il ‘balzo’ apocalittico non nell’inversione, nell’espiazione, nella purificazione, nella penitenza, bensì in un potenziamento apparentemente costante, ma che nell’ultimo tratto è dirompente e discontinuo”1
1 - Benjamin Walter (1921), Il capitalismo come religione, in La politica ed altri scritti, Mimesis, Milano, 2016.p. 53
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