Il gas naturale liquefatto è una delle possibili soluzioni per sopperire alle necessità energetiche del continente, anche alla luce dello stop alle forniture "convenzionali" dalla Russia. Ma i costi ambientali "nascosti" devono essere conteggiati
di Alberto Ferrucci
pubblicato su Città Nuova il 04/01/2025
La improvvisa riduzione di fornitura di gas naturale dalla Russia a seguito della invasione dell’Ucraina, ha indotto la Comunità Europea a diversificare le fonti di approvvigionamento di gas naturale incrementando forniture alternative tramite gasdotti e attrezzandosi con nuove stazioni di rigassificazione del LNG [liquefied natural gas, gas naturale liquefatto, ndr], che giunge in forma liquida per nave da Medio Oriente, Africa e Stati Uniti.
In merito, sembrerebbe che ultimamente la presidente della Commissione Europea si sia dichiarata propensa a rispondere positivamente all’invito del nuovo presidente USA ad aumentare l’importazione di LNG dagli USA, sostituendo l’LNG importato dalla Russia.
L’invito di Donald Trump è più che comprensibile, considerato che il suo programma elettorale prevede un aumento della produzione di LNG, un prodotto che nel caso si concludesse la guerra in Ucraina difficilmente troverebbe ulteriore mercato in Europa.
Meno comprensibile la reazione della signora Von der Layen, forse dettata dal fatto che a partire dal 2025 alle nazioni europee dell’Est non arriverà più dalla Russia il gas naturale trasportato dal gasdotto che attraversa l’Ucraina, oppure dettata dal voler negoziare dazi meno pesanti sui prodotti europei esportati negli Stati Uniti.
In ogni caso è una risposta che contraddice la linea politica del suo scorso mandato, quella che ha reso la Comunità Europea leader mondiale nella lotta al cambiamento climatico. Infatti, se il gas serra emesso nella combustione del gas naturale è sempre lo stesso, quello che si sviluppa per produrre l’energia necessaria ad estrarlo e trasportarlo varia grandemente: emissioni che non importa dove si sviluppano, finiscono comunque nella atmosfera del pianeta.
Queste emissioni pre-fornitura sono ridotte se il gas naturale si estrae da giacimenti convenzionali ed esso viene utilizzato in zone prossime a quelle di estrazione: sono invece molto più rilevanti quando il gas viene trasportato da zone remote e quando il gas viene estratto fratturando rocce profonde con la tecnica del fracking, come nel caso degli USA ed ultimamente anche dell’Argentina.
In questi casi uno degli effetti collaterali è la emissione incontrollata di metano nell’atmosfera ormai certificata dai rilevatori ad infrarosso dei satelliti: emissione molto negativa, perché la dispersione di una tonnellata di metano ha lo stesso effetto serra di 25 tonnellate di anidride carbonica, il gas che si produce bruciando i combustibili fossili.
L’Unione europea sta legiferando per contenere la importazione di combustibili con rilevante emissione di metano, ma sono leggi che entreranno in vigore solo nel 2030: non ci possiamo permettere altri 5 anni senza regole. Le industrie che utilizzano combustibili fossili sono già soggette alla “carbon tax”, pagata in base alle tonnellate di anidride carbonica emesse nelle loro attività: occorrerebbe estendere subito questa tassa alle emissioni pre fornitura superiori alle minime, in modo che sia il mercato a far scegliere le importazioni tenendo conto dell’obiettivo europeo di contenere la emissioni di gas serra.
Mediando dati della Agenzia Internazionale dell’Energia ed assumendo che l’effetto serra del metano sia pari a 25 volte quello della CO2, si è tentato un calcolo delle “emissioni pre fornitura” del gas naturale giunto in Italia da diverse fonti; e si è calcolata la eventuale carbon tax aggiuntiva per le emissioni superiori alle minime, per un valore di 55 $ per tonnellata di CO2 emessa.
Le emissioni minime, mediando quelle dei gasdotti dalla Norvegia, dall’Olanda, dal gasdotti Mattei dall’Algeria e dal gasdotto TAP dall’Azerbajan, sono state calcolate pari al 12.2% di quelle che teoricamente si producono nella combustione del metano.
Le emissioni correlate alla importazione di LNG dal Mozambico sono state valutate pari al 32,6%, quelle di LNG dalla Russia del 35.1%, quelle di LNG del Qatar del 38.4% e quelle per il gasdotto Russo di oltre 4000 km dalla Siberia del 54%.
Molto superiori risultano le emissioni correlate con la fornitura di LNG da fracking degli USA, addirittura del 88.7%: probabilmente ancora maggiori quelle di forniture di LNG dall’Argentina.
La scelta di importare LNG dagli USA anziché dalla Russia significherebbe quindi importare un gas naturale che comporta una emissione quasi doppia di quella dovuta alla sua combustione: una emissione molto vicina a quella provocata bruciando carbone, quello che in Europa ancora si usa in Polonia, ma che si tenta di eliminare.
La carbon tax sulle emissioni pre-fornitura significherebbe caricare di 35 $/ton l’importazione di gas naturale LNG prodotto in modo convenzionale in Russia, in Qatar ed in Mozambico: di 63 $/ton il gas del gasdotto siberiano, al momento non disponibile, di 116 $/ton l’LNG da fracking americano o argentino.
La risposta dell’Unione europea lascerebbe così al mercato la scelta delle importazioni, orientandole però a privilegiare le forniture meno inquinanti: l’Europa non si può far condizionare da minacce di dazi più severi, sa che incideranno soprattutto sulle esportazioni di prodotti di bassa qualità, solo in parte su quelli delle industrie europee che sono importati per la loro qualità.
Porre un limite alla fornitura di LNG da fracking avrebbe un effetto positivo per i molti cittadini americani che già lamentano l’aumento dei prezzi interni dell’energia, causato dal fatto che il LNG è vendibile all’estero a prezzi molto più alti di quelli realizzati all’interno.
Le risorse finanziarie raccolte con la “carbon tax pre fornitura” potrebbero essere poi utilizzate dai governi europei per ridurre l’importo della carbon tax applicata al consumo di idrocarburi, e per finanziare tecnologie di risparmio energetico ed il passaggio a fonti rinnovabili.
Credit Foto: © Image by Cristabelle Baranay from Flickr [lic. CC BY 2.0]