L'esilio e la promessa

L'esilio e la promessa/7 - Non nei “centri” dei potenti falsi profeti, ma nelle periferie e tra gli ultimi

di Luigino Bruni

pubblicato su Avvenire il 23/12/2018

Ezechiele 07 rid«Io ti supplico: Dio, mio sognatore, continua a sognarmi»

J. L. Borges, Storia della notte

La Bibbia è narrazione di migrazioni, di esili, di popoli nomadi e di tende mobili, è la stupenda storia di un arameo errante che insegue una voce dentro un orizzonte infinito. In un villaggio di esuli nei pressi di Babilonia, per ordine di YHWH, la profezia prese la forma del migrante, e l’homo migrans divenne parola biblica nella carne di uno dei profeti più grandi. E vi è rimasta per sempre. In Ezechiele, profeta povero e esiliato, sacerdote senza tempio di un Dio sconfitto, ogni emigrato della terra può leggere la propria storia, può pregare con le sue parole se ha esaurito le proprie, può sentirlo compagno di bagaglio e di fughe notturne per terra e per mare, sotto lo stesso velo che oscura gli occhi per non morire di dolore.

L’esilio e la promessa/28 - C’è sempre un pezzo di terra sacra non in vendita, dunque senza prezzo

di Luigino Bruni

pubblicato su Avvenire il 19/05/2019

«Il prezzo della vita proviene da cose senza prezzo. Nella sfera dell’atto gratuito, del dono di ciò che possiede e di ciò che è, l’uomo raggiunge la sua più alta dignità»

François Perroux, Le capitalisme

Siamo giunti alla fine del commento del libro di Ezechiele. La sua ultima parola è sulla città, a ricordarci che il senso della profezia è parlarci di cielo per fare migliore la terra.

Chi teme la gratuità e il dono non cerca, in genere, di eliminarli. Più intelligentemente li ricolma di parole di stima e di lodi, e poi li chiude in un ambito angusto e separato perché, legati e imprigionati, non disturbino il normale commercio che si svolge al di fuori del recinto. I nomi di questi tentativi di recinzioni ideologiche oggi sono: non profit, volontariato, Terzo settore, religione. Ci sono falsi profeti che fanno di tutto per convincerci che il dono e la fraternità sono buoni e utili solo se restano docili dentro un territorio definito e limitato, perché sanno che se si liberassero e uscissero metterebbero in profonda crisi i loro affari. Le grandi innovazioni avvengono quando, grazie a qualche profeta onesto, la gratuità oltrepassa il suo confine e fa irruzione in città, trasformandola e cambiandola per sempre.

L'esilio e la promessa/1 - Nella Bibbia più si tocca la terra, più facile è udire il cielo

di Luigino Bruni

Pubblicato su Avvenireil 11/11/2018

Ezechiele 01 ridÈ Pasqua. Mio padre, levando in alto il bicchiere, mi dice d’andare ad aprire la porta. A un’ora così tarda aprire la porta per fare entrare il profeta Elia? Ma dov’è Elia, e il suo carro bianco? Forse sotto le spoglie di un misero vecchio, d’un mendicante ricurvo, con un sacco sulle spalle e un bastone in mano, sta per entrare in casa? «Eccomi! Dov’è il mio bicchiere di vino?»

Marc Chagall, La mia vita

L’esilio è una dimensione della condizione umana. Nascendo lasciamo un luogo familiare e sicuro per entrare in un altro sconosciuto, e senza due mani che ci accolgono e un corpo che ci riscalda e nutre non inizieremmo la nostra avventura sulla terra. I profeti sono la madre che ci accoglie, ci nutre e ci accompagna negli esili della vita; fino alla fine, quando lasceremo questo luogo per un altro. E se ascolteremo ancora una parola diversa, quell’ultimo viaggio sarà più buono. Tutti i profeti sono così, ma soprattutto Ezechiele. Lui è profeta che riceve la vocazione nell’esilio di Babilonia, durante la prova più grande del suo popolo, e dirà le sue parole più alte per mantenere vivi la promessa e il patto quando attorno tutto parlerà di dolore e di morte. La profezia è dono sempre, ma diventa bene essenziale quando la vita ci deporta in terre straniere, dopo che il grande sogno si è infranto, quando la speranza e la fede rischiano di spegnersi. Tanti, troppi esili restano disperati e sconsolati perché non riusciamo a viverli insieme ai profeti.

L'esilio e la promessa/6 - La nuova e vera festa è là dove non sembra esserci alcun "merito"

di Luigino Bruni

pubblicato su Avvenire il 16/12/2018

Ezechiele 06 rid«E forse pace avremo
quando tutto sarà perduto
e inutili sentiremo le parole
e questi incontri che ci illudono.

Allora l'angoscia sarà
d'avere scoperto ― troppo tardi ―
questa smarrita esistenza …»

David Maria Turoldo, da O sensi miei

Le vigilie segnano il ritmo delle feste e della loro attesa. È il tempo nel quale il giorno diverso si prepara e matura, quando si forma e cresce il desiderio. I bambini sono i grandi esperti delle vigilie – dei compleanni, del primo giorno di scuola, della gita. Loro sanno che nel “villaggio” il sabato è un giorno bello perché sarà seguito da un giorno ancora più bello. Perché sanno che le feste sono vere, che non sono soltanto l’illusione di un desiderio strozzato nel momento in cui si compie, perché veri sono i genitori, i maestri, i compagni, perché sono veri i doni. È la verità della festa che rende veri il desiderio e l’attesa nella sua vigilia. Una innovazione del nostro tempo è l’invenzione di vigilie senza festa, perché nell’era delle feste scandite dal business ci restano solo le vigilie. Non sapendo, collettivamente, chi e che cosa festeggeremo veramente, restiamo in una successione continua di “sabati del villaggio”. Alla viglia di Natale seguirà la vigilia dei saldi, e poi quella di san Valentino, e così via per tutto l’anno, dove nuove vigilie ci faranno dimenticare la tristezza della festa negata. E l’anno volerà via velocissimo, perché derubato del tempo diverso della festa, che starebbe lì per farci gustare un boccone di eternità – anche se vivremo più anni dei nostri nonni, stiamo vivendo giorni molto più brevi dei loro.

L'esilio e la promessa/19 - Speciale, e davanti a Dio piena, è la solidarietà con la propria comunità

di Luigino Bruni

pubblicato su Avvenire il 17/03/2019

«Abbiamo perso la capacità di cantare. L’uomo nella sua angoscia è un messaggero che ha dimenticato il messaggio. La Bibbia non è un libro su Dio: è un libro sull’uomo. Nella prospettiva della Bibbia: Chi è l’uomo? Un essere posto nel travaglio, ma che ha i sogni e i disegni di Dio»

Abraham Heschel, Chi è l’uomo?

Esiste una grande amicizia tra il compito del profeta e quello della sentinella. I profeti amano moltissimo questa immagine che faceva parte della vita quotidiana e laica delle loro città, e vi ricorrono spesso – il canto notturno della sentinella di Isaia (cap.21) è tra i passi più intensi e profondi di tutta la Bibbia. Della sentinella i profeti condividono il compito, la fedeltà assoluta al posto di guardia, l’essere maestri della vista e dell’udito, il saper stare sulla frontiera tra il dentro e il fuori, guardiani della soglia che separa un regno da un altro. La sentinella ha una missione molto chiara: deve suonare il corno, avvisare, allertare. Deve fare solo questo, ma quando non lo fa le conseguenze sono gravissime. Ed ecco che giunti nel mezzo del dramma vocazionale di Ezechiele, mentre Gerusalemme cade, torna la sentinella: «O figlio dell’uomo, io ti ho posto come sentinella per la casa d’Israele. Quando sentirai dalla mia bocca una parola, tu dovrai avvertirli da parte mia... Se tu non parli perché il malvagio desista dalla sua condotta, egli, il malvagio, morirà per la sua iniquità, ma della sua morte io domanderò conto a te» (Ezechiele 33,7-9). 

L'esilio e la promessa/22 - Parole per questi tempi di templi distrutti e di terre promesse scomparse

di Luigino Bruni

pubblicato su Avvenire il 07/04/2019

«Disse a Gesù Nicodemo: «Come può nascere un uomo quando è vecchio? Può forse entrare una seconda volta nel grembo di sua madre e rinascere?».»

Vangelo di Giovanni, capitolo 3

I profeti sono esperti e maestri dello spirito. Lo riconoscono quando soffia sulla terra, fuori e dentro di loro. Tra i molti vènti, sanno intercettarlo come vento diverso. Ne hanno un bisogno vitale per rispondere alla loro vocazione. Senza lo spirito i profeti non sarebbero capaci di capire le parole che ascoltano e riferiscono. È l’esegeta della parola che ricevono. Lo attendono, lo pregano, lo implorano, e sanno stare in silenzio quando pur ricevendo le parole non ricevono anche lo spirito. Nella Bibbia lo spirito è affratellato con la parola. Entrambi danno la vita, entrambi creano, trasformano, fecondano, bagnano, generano e rigenerano. Elohim, Parola, Ruah; Padre, Logos, Pneuma. L’unità e la molteplicità del Dio biblico erano già presenti nella Bibbia e nell’esperienza storica di quella fede. I profeti, poi, sono essenziali per discernere gli spiriti, per distinguere il vento della vanità, l’havel, dal vento dello spirito, la ruah. La Bibbia li conosce bene entrambi, i profeti li conoscono e riconoscono benissimo. 

L’esilio e la promessa/27 - Il tempio è troppo piccolo per contenere l’Amore e l’acqua della sapienza

di Luigino Bruni

pubblicato su Avvenire il 12/05/2019

«Alioscia stava ritto e guardava, e all’improvviso, come abbattuto, si gettò a terra. Non sapeva perché l’abbracciasse così, non sapeva spiegare quel suo irresistibile desiderio di baciarla tutta, ma la baciava piangendo, singhiozzando e irrorandola delle sue lacrime e giurava, nella sua esaltazione, di amarla per sempre… Dopo tre giorni uscì dal monastero, il che era in accordo con le parole del suo defunto stàrets, il quale gli aveva ordinato di "dimorare nel mondo"»

Fëdor Dostoevskij,I Fratelli Karamazov - Cana di Galilea

La pagina del luogo sacro circondato dalle acque che irrorano la terra è una delle più grandi di Ezechiele e della Bibbia. Vi è contenuta l’immagine di una fede autenticamente laica, dove il tempio di Dio diventa la terra intera.

L’acqua è uno dei grandi simboli della Bibbia. Ne è l’alfa e l’omega. Pison, Tigri, Eufrate, Nilo, Giordano, Yabbok, Noè, Abramo, Agar, Rachele, Mosè, Mara, il Battista, la donna Samaritana, il Golgota. Fiumi, pozzi, donne. L’acqua e la vita, l’acqua è la vita. Sempre e ovunque, soprattutto in quelle regioni semi-aride del Vicino Oriente, o nella nostra terra inaridita e ridesertificata dalla non-custodia degli eredi di Adam e di Caino.

L'esilio e la promessa/12 - Neanche Dio può far a meno di uomini e donne che accettino i suoi doni

di Luigino Bruni

pubblicato su Avvenire il 27/01/2019

«La solitudine è venuta... Gli uomini si sono ritirati; le amicizie smorte, gli interessi finiti. Ingratitudine? Vanità? Illusione?... Certo. Ma è sopra tutto la logica dell’esistenza che irrompe sino ad una certa età dell’uomo; e poi, sulla cresta degrada dall’altro versante, per tuffarsi nel mistero. Solo: dunque libero»

Igino Giordani, Diario di Fuoco

Nelle esperienze di dono, il primo dono non basta. C’è bisogno di un secondo atto co-essenziale di accoglienza. Perché il dono è un discorso che si svolge nel tempo, è una sintassi sociale di atti liberi. Molte patologie relazionali nascono da rapporti nei quali il donatore è talmente preoccupato di fare il proprio dono da impedire all’altro di pronunciare liberamente il suo sì. In molti rapporti, la parte più debole non è chi accetta ma chi fa il dono, perché il rifiuto è fonte di molto dolore e frustrazione (come quella provata da Caino per il suo dono non accolto). Tutti noi abbiamo paura che i nostri doni più importanti non vengano accolti (da un figlio, dal nostro capoufficio), e così siamo tentati di togliere all’altro la libertà di rifiutare il nostro dono, e, se possiamo, lo facciamo spesso. Il Dio biblico non ha voluto privarci della libertà di rifiutare il suo dono più grande, l’Alleanza e la Legge, e così ha esaltato la nostra dignità proprio mentre registrava le nostre infedeltà - e continua a farlo.

L'esilio e la promessa/21 - È la straordinaria alchimia dello Spirito a cambiare la pietra in carne

di Luigino Bruni

pubblicato su Avvenire il 31/03/2019

«E l'anima mia si è addolorata per i figli dell'uomo, perché essi sono ciechi nel cuore, e poiché sono venuti al mondo nudi, essi cercano di uscire di nuovo nudi dal mondo»

Vangelo  di Tommaso

I bambini che imparano le parole sono uno degli spettacoli più belli sulla terra. Nel giro di qualche settimana il loro vocabolario esplode, e le pochissime parole dei primi due anni di vita si moltiplicano, diventano centinaia e poi migliaia. Ogni giorno porta con sé la sua dote di parole nuove, che il bambino apprende tutte assieme. Una volta divenuti adulti, però, le parole si reimparano solo una alla volta, quando un incontro, una malattia, una grande crisi diventano levatrici di parole. All’improvviso una parola-suono pronunciata migliaia di volte diventa parola-carne. Chissà che cosa sapeva Abramo della parola altare finché non ci distese sopra un figlio; o che cosa pensasse del mare Mosè prima di vederlo aperto davanti ai suoi occhi. Era cresciuto in mezzo ai legni nell’officina di suo padre, ma forse il senso della parola legnoGesù lo capì veramente sul Golgota. La Bibbia è anche una grande mappa per orientarsi nell’universo e nel mistero della parola e delle parole. Molte persone, dopo decenni di mutismo spirituale e morale, un giorno l’hanno incontrata e hanno reimparato a parlare, e con quelle parole donate hanno iniziato a pregare, senza accorgersene.

L'esilio e la promessa/15 - La parola può farci scorgere Dio e, prima ancora, le donne e gli uomini

di Luigino Bruni

pubblicato su Avvenireil 17/02/2019

In capo a tutti c’è Dio, padrone del cielo. Questo ognuno lo sa. Poi viene il principe Torlonia, padrone della terra. Poi vengono le guardie del principe. Poi vengono i cani delle guardie del principe. Poi, nulla. Poi, ancora nulla. Poi, ancora nulla. Poi vengono i cafoni. E si può dire ch’è finito

Ignazio Silone, Fontamara

Paternità, figliolanza e matrimonio sono immagini presenti in molte religioni per esprimere il rapporto tra i popoli e le loro divinità. Anche la Bibbia le conosce, ma le usa con molta parsimonia. Perché l’urgenza di segnare la differenza tra YHWH e gli idoli ha generato una forte diffidenza verso le immagini umane per poter parlare di Dio. Il Cristianesimo ha poi generato forse l’innovazione religiosa più grande quando ci ha mostrato un uomo-Dio che chiamava YHWH con l’appellativo familiare di Abbà: babbo. Ma cadremmo nello stesso errore dei cananei e dei caldei se pensassimo che la paternità di Dio mostrataci da Gesù Cristo sia una copia della paternità umana. Le somiglia soltanto, come noi somigliamo a Dio di cui siamo "immagine e somiglianza"; una formula che dice vicinanza e distanza, entrambe massime. Molte malattie religiose si sono sviluppate da una distanza troppo grande che ha annullato la vicinanza, e altre da una eccessiva vicinanza che ha fatto di Dio qualcosa di talmente simile a noi da renderlo banale o inutile.

L'esilio e la promessa/8 - Non si “tradisce” solo per tornaconto, ma anche per amore senza verità

di Luigino Bruni

pubblicato su Avvenire il 30/12/2018

Ezechiele 08 rid«La parola è essenziale ed efficace solo quando nasce dal silenzio. Il silenzio schiude la fonte interiore da cui sgorga la parola»

Romano Guardini, Il testamento di Gesù

La lotta tra profezia e falsa profezia è una costante della storia umana. La ritroviamo al centro della politica, dell’economia, delle religioni, delle organizzazioni. Nelle comunità esistono persone alle quali viene riconosciuto un ruolo di "visione" perché portatori di un carisma, di una capacità di vedere diversamente e più lontano, di tracciare scenari presenti e futuri, di indicare vie di salvezza, di benessere, di crescita umana ed etica. I "profeti", però, non sono tutti uguali. Le sorti delle realtà sociali dipendono decisamente dalla capacità di individuare e seguire le voci oneste e vere e di diffidare di quelle false. La Bibbia ha individuato alcuni indicatori di vera e falsa profezia. Li ha raffinati nel tempo, li ha testati, poi li ha custoditi per noi perché li potessimo usare nei nostri discernimenti.

L'esilio e la promessa/14 - Un'altra mano, non la nostra, chiuderà per l'ultima volta i nostri occhi

di Luigino Bruni

pubblicato su Avvenireil 10/02/2019

Anche quando l’anima è angosciata, anche quando nessuna preghiera può uscirci di gola nel dolore, il puro riposo silente dello Shabbat ci porta nel regno di una pace senza fine. L’eternità indica un giorno. Shabbat

A.J. Heschel, Lo Shabbat

I disordini morali sono espressione di disordini spirituali. L’etica è seconda. Dietro una cattiveria verso l’altro si cela un malessere più radicale e profondo dentro l’anima. Offendere e oltraggiare il nome dell’altro è figlio di un oltraggio e di un’offesa al proprio nome. Ogni crisi morale si cura al centro, rimettendo il proprio cuore nell’unico luogo dove può riposare, ritrovarsi, sentirsi chiamare. Il primo movimento della cura delle malattie profonde della vita è teologico, perché riguarda la natura del nostro nome che non può chiamarsi ma può solo essere chiamato; come da bambini, quando scopriamo qual è il nostro nome perché lo sentiamo chiamare da chi ci vuole bene. Diventiamo cattivi quando non ci giriamo più se sentiamo pronunciare il nostro nome – o perché lo abbiamo dimenticato, o perché nessuno lo chiama più con sufficiente agape per poterlo riconoscere.

L'esilio e la promessa/5 - Mestiere del profeta è pure la "seconda preghiera"

di Luigino Bruni

pubblicato su Avvenire il 09/12/2018

Ezechiele 05 rid«La maldicenza uccide tre persone: colui che la diffonde, colui che l’ascolta e colui di cui si parla; ma chi l’ascolta ancor più di colui che la diffonde»

Mosé Maimonide, Norme di vita morale

Le religioni e le fedi sono anche luoghi di soddisfazione dei bisogni umani, perché nessuna religione ha trascurato la dimensione materiale e corporea della vita. Pesci, pane, manna, quaglie, acqua, focacce, schiacciate d’uva: la Bibbia potrebbe anche essere letta come una storia del cibo, della convivialità, dei beni. La terra promessa è una terra dove scorrono latte e miele. Ma anche per questa loro dimensione concreta e intera, le fedi hanno una tendenza intrinseca a rimpicciolirsi e ridursi a un mercato dove ogni bene domandato incontra la sua offerta pagando il relativo prezzo, trasformandosi così in idolatrie o magie. La preghiera autentica può vivere e crescere solo dentro un incontro di gratuità. La provvidenza non si compra, arriva come eccedenza sopra il nostro piccolo registro contrattuale. Il Dio biblico è il Dio del Patto, dove il vero bene offerto è una prossimità, una presenza. Come nelle comunità, che soddisfano bisogni essenziali (la sicurezza affettiva, il calore, anche bisogni concreti ed economici) se ciascuno sa attingere a una interiorità più profonda dei bisogni, dove si genera la parte più intima e bella delle comunità. I profeti sono gelosi custodi di questa bellezza più grande, che sa convivere con una indigenza che nutre il sogno e il bisogno di Dio.

L'esilio e la promessa/11 - La profezia su debito e interesse fonda un’etica altra da quella dell’ "impero"

di Luigino Bruni

pubblicato su Avvenire il 20/01/2019

«Io detesto, respingo le vostre feste solenni e non gradisco le vostre riunioni sacre. Lontano da me il frastuono dei vostri canti: il suono delle vostre arpe non posso sentirlo! Piuttosto come le acque scorra il diritto e la giustizia come un torrente perenne

Amos, 5,21-24

Nella Bibbia l’economia è qualcosa di tremendamente serio. È posta, non a caso, accanto al peccato di idolatria. La sua teologia diventa immediatamente antropologia, e quindi denaro, prestiti, interesse. È questa la bella laicità della Bibbia, dove Dio per parlarci di sé usa anche le parole dei nostri affari, innalzandoli fino a far loro bucare il cielo. E non dovremmo stupirci se quando qualcuno di noi giungerà in paradiso rivedrà in mezzo alla danza delle persone divine e dei beati il tornio, il cacciavite, mobili e vestiti. Se perdiamo questa co-essenzialità dell’asse verticale e di quello orizzontale non capiamo nulla dell’umanesimo biblico e di quello dei Vangeli. L’economia è parte della vita, e dobbiamo ricordarlo ancora di più oggi quando vuole debordare e diventare la vita intera. Ma, al tempo stesso, le relazioni economiche determinano la qualità e la giustizia di tutte le altre, e quindi sbagliare il rapporto con l’economia e con la finanza significa sbagliare anche il rapporto con Dio. La Bibbia ha voluto, ha dovuto tenere radicalmente legate l’oikonomia della salvezza con l’economia quotidiana degli affari e del denaro, e nel far questo ci ha lasciato un’eredità senza prezzo perché dal valore infinito.

L'esilio e la promessa/20 - La salvezza (anche politica ed economica) non può non venire

di Luigino Bruni

pubblicato su Avvenire il 24/03/2019

«Dopo aver pregato in casa sedevo sul divano, quando entra un uomo di magnifico aspetto, in abbigliamento da pastore. Mi saluta e io rispondo al suo saluto. Si mette subito a sedere accanto a me e mi dice: ‘Sono stato inviato dal più venerabile degli angeli per abitare con te i restanti giorni della mia vita’»

Il pastore di Erma, Rivelazione V

“Guai ai pastori d'Israele, che pascono se stessi! I pastori non dovrebbero forse pascere il gregge? Vi nutrite di latte, vi rivestite di lana, ammazzate le pecore più grasse, ma non pascolate il gregge” (Ezechiele 34,2-3).

Gerusalemme è caduta. Ezechiele, il profeta-sentinella, nella sua terra desolata dell’esilio avvista un gregge disperso per l’incuria dei suoi pastori: “Non avete reso forti le pecore deboli, non avete curato le inferme, non avete fasciato quelle ferite, non avete riportato le disperse. Non siete andati in cerca delle smarrite, ma le avete guidate con crudeltà e violenza. Per colpa del pastore si sono disperse e sono preda di tutte le bestie selvatiche: sono sbandate” (34,4-5). Non sono pastori ma ‘mercenari’ (Gv 10,12), perché sfruttano le pecore più grasse per trarne profitto.

L’esilio e la promessa/24 - Senza luoghi né recinti si impara ad adorare Dio "in spirito e verità"

di Luigino Bruni

pubblicato su Avvenire il 21/04/2019

«Per l’uomo religioso lo spazio non è omogeneo. Questa non omogeneità dello spazio si manifesta in una pratica contrapposizione tra lo spazio sacro, l’unica cosa reale, realmente esistente, e tutta la restante informe distesa che lo circonda

Mircea Eliade, Il sacro e il profano

Le grandi prove della vita sono spesso una purificazione della spiritualità e della morale, perché ci insegnano che le cose veramente necessarie per continuare a vivere e crescere sono poche e molto semplici. Nella buona evoluzione della vita spirituale, si parte semplici, si diventa complicati, si termina tornando di nuovo semplici, quando la saggezza del vecchio che siamo diventati si incontra con la purezza del giovane che eravamo, e in mezzo resta solo tanta riconoscenza. Nei lunghi attraversamenti dei deserti si impara che, oltre all’acqua e al pane, le cose davvero essenziali sono poche – è invece nei viaggi brevi e comodi che ci carichiamo di equipaggiamenti pesanti e in massima parte inutili. Il profeta Elia dovette ritrovarsi nel deserto, con in cuore il desiderio di morire, per scoprire che la voce di Dio si trovava in una «brezza leggera», dopo averlo immaginato e cercato invano nel terremoto e nel fuoco (1 Re 19,12). Assetati di vita e di paradiso, trascorriamo molti anni a cercare Dio nei templi e nei luoghi del sacro, per accorgerci, alla fine, che quanto cercavamo era, semplicemente, sotto casa.

L'esilio e la promessa/10 - Liberamente ci esponiamo, diventando vulnerabili, alla libertà dell'altro

di Luigino Bruni

pubblicato su Avvenire il 13/01/2019

«Se la donna non si fosse separata dall’uomo non sarebbe morta con l’uomo. La sua separazione segnò l’inizio della morte. Per questo è venuto il Cristo, per porre riparo alla separazione che vi era dal principio e per unirli nuovamente tutti e due, uomo e donna.»

Il vangelo di Filippo, 78-79

 L'amore umano è una realtà complessa. Nei rapporti più importanti, l’amore conosce dimensioni di incondizionalità, ha cioè la capacità di amare anche senza reciprocità. Una capacità essenziale per superare le crisi, per resistere nelle carestie di ritorni, per ricominciare davvero dopo i grandi tradimenti. Questa capacità, però, convive con il bisogno altrettanto radicale di mutualità e di comunione, di essere amati mentre si ama o dopo aver amato. Perché gli amori più importanti si svolgono all’interno di patti, che sono impegni collettivi e mutui. "Ama il prossimo tuo" fiorisce in "amatevi gli uni e gli altri", dove il comandamento all’io e al tu si allea con il comando al voi e al noi. E anche quando l’amore matura e raggiunge le note paradisiache dell’agape, non smette mai di essere anche eros e philia (amicizia), perché, fino alla fine, resta indigente dell’altro come l’eros e libero come la philia (l’agape può elevare soltanto "viscere" mosse e commosse da tutti gli amori umani). È in questa dinamica di libertà e di legame dove si incontrano le esperienze umane più sublimi e tremende. Ai patti affidiamo liberamente una parte di libertà, e una volta donata ne perdiamo la proprietà privata. Liberamente decidiamo di esporci alla libertà dell’altro, di diventare vulnerabili ai suoi cambiamenti del cuore, di legare la nostra vita a una corda di cui controlliamo soltanto un capo, e non quello più robusto.
La Bibbia, in alcune delle sue pagine più alte, ha preso le parole dell’amore umano più grande e serio e le ha donate a Dio perché potesse parlarci del suo amore: ahavah, hesed, dodim e, infine, agape. Perché nell’amore sponsale il primo dono è la reciprocità di parole meravigliose.

L'esilio e la promessa/2 -È l’intero corpo lo strumento con il quale il profeta suona le sue melodie di cielo e di terra. E il primo mutismo di Ezechiele ci dice cose importanti sulla vita e sulle vocazione.  

Di Luigino Bruni

Pubblicato su Avvenireil 17/11/2018

Ezechiele"Non ci sono più profeti? Non possiamo dirlo; l’importante è distinguere i falsi dai veri profeti, e questo vale per tutte le epoche. Forse l’elemento fondamentale per distinguerli è questo: il falso profeta si sente profeta e il vero profeta non si sente profeta"

Paolo De Benedetti, Elia

Chiunque si ritrova a scrivere per rispondere a una chiamata interiore ha sperimentato, almeno una volta nella vita, che quelle parole che scrive sono state prima ricevute e "mangiate". Le parole scritte che non sono vanitas nascono dal sangue e dalla carne, e così riescono a raggiungere il sangue e la carne di chi le legge, e lasciare il segno (in-segnano). Quando, ogni tanto, sentiamo che una parola diversa ci tocca, ci insegna e ci cambia (e se non ci è mai capitato non abbiamo ancora iniziato veramente a leggere), quella parola aveva già toccato e segnato il corpo di chi l’aveva scritta, perché era uscita da una ferita. La profezia è un evento di parola, di parole e di corpo. Perché tra la parola ricevuta e quella detta e scritta c’è il corpo del profeta. È l’intero suo corpo lo strumento con il quale il profeta suona le sue melodie di cielo e di terra. Tutti i profeti, soprattutto Ezechiele.

L'esilio e la promessa/13 - Quando ritroviamo muti, ci resta la parola estrema: la nostra carne

di Luigino Bruni

pubblicato su Avvenire il 03/02/2019

«Sono da secoli, o da un momento
fermo in un vuoto in cui tutto tace,
non so più dire da quanto sento
angoscia o pace»

Francesco Guccini Shomèr ma Mi-llailah

 In ogni autentico dialogo le parole di chi ci parla riescono a nascere se trovano in noi fiducia, in quelle parole e quindi e ancor prima nella persona che le dice. Nessuno parla in un dialogo senza che qualcun altro lo accolga, e quindi in questa sua dimensione originaria la fiducia è essenzialmente una faccenda di dono. Anche Dio ha avuto bisogno della fiducia dei profeti per poterci parlare – chissà quante parole profetiche autentiche si sono perse e si perdono perché chi le ha ascoltate non ha dato loro fiducia e non le ha credute e capite per quelle che erano. I profeti, però, mentre danno fiducia a YHWH e così facendo lo fanno parlare nel mondo, hanno bisogno anche della nostra fiducia affinché la loro parola trasmessa non cada nel nulla. Ogni parola vera è dialogo, è incontro di parole donate e ricevute. Il profeta è sentinella, e se nessuno raccoglie il suo allarme lanciato dalle mura di cinta, quel grido si spegne e diventa soffio di vento. Allora le prove "empiriche" della verità delle loro parole non si trovano né in cielo né in terra, ma nella fragile forza della fiducia, della fides, della fede. Ezechiele può continuare a parlarci se noi continuiamo a dargli credito, a credere in lui.

L'esilio e la promessa/23 - La vera (e biblica) energia alternativa: riscaldarsi con le armi bruciate

di Luigino Bruni

pubblicato su Avvenire il 14/04/2019

«Ecco che cos’è difficile in quest’epoca: gli ideali, i sogni e le belle aspettative non fanno neppure in tempo a nascere che già vengono colpiti e completamente devastati dalla realtà più crudele. È molto strano che io non abbia abbandonato tutti i miei sogni perché sembrano assurdi e irrealizzabili. Invece me li tengo stretti, nonostante tutto, perché credo tuttora all’intima bontà dell’uomo»

Anna Frank,Diario, Luglio 1944

 L’altro che ci attrae e ci fa paura è una costante che segna tutte le civiltà umane fin dai loro albori. Una ambivalenza radicale e tenace, espressione di quella “socievole insocievolezza” che per Kant caratterizza gli esseri umani. L’altro ci affascina in quanto diverso e portatore di un mondo sconosciuto, ma queste stesse diversità e non-conoscenza generano timore e diffidenza, che in molti momenti della storia umana hanno vinto e vincono il fascino e la bellezza dell’incontro con il diverso. L’altro è stato amato e combattuto, ma i combattimenti sono stati più frequenti e lunghi degli amori. Le grandi tradizioni religiose possono anche essere lette come dei sistemi etici e sociali per gestire questa ambivalenza antropologica fondamentale. Anche nella Bibbia l’altro è il nemico da cui proteggersi e il forestiero che la Torah comanda di accogliere come ospite sacro. In alcuni brani biblici il popolo straniero è portatore di una benedizione, in altri è immagine di dèi e di idoli nemici, che viene per distruggere il popolo eletto e il suo Dio vero. I primi due fratelli, l’uno mite e l’altro fratricida, dicono anche le due facce dell’umanesimo biblico e occidentale. Il cristianesimo, poi, alla morale fondata su “nessuno tocchi Caino” ha aggiunto “nessuno tocchi Abele”. Il segno di Caino, il commerciante e il cittadino, ha limitato la violenza come vendetta mimetica, e il segno di Abele, il buon pastore e l’uomo vulnerabile, ha posto l’etica delle mitezza e dell’amore-agape a fondamento di una civiltà diversa – che ancora attendiamo e non ci stanchiamo di attendere e di desiderare. Nonostante tutto.

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