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Covid-19. L'immunità di gregge? Costa 3mila miliardi in vite umane

Vale la pena fermare l’economia per salvare tante esistenze? Anche una fredda contabilità indica che la scelta italiana risulta quella più efficace e condivisibile

di Matteo Rizzolli

pubblicato su Avvenire il 26/03/2020

I terribili giorni che stiamo vivendo hanno fatto emergere delle domande a cui mai avremmo pensato di dover dare risposta. Chi dobbiamo curare? Quanti danni economici siamo disposti a tollerare per salvare una vita in più? Quanto vale – insomma – una vita umana? L’idea che si possa attribuire un valore economico a una vita umana e che sulla base di questo valore si possano prendere delle decisioni politiche che utilizzino il famoso mantra economico dell’«analisi costi-benefici» disturba il senso comune. Non ci può essere un mercato per tutto: rifiutiamo (quasi) tutti l’idea che si possano vendere organi, che si possano comperare bambini; ci fa orrore l’idea che si possa dare un prezzo alla propria verginità o che qualcuno si faccia, anche volontariamente, schiavo di qualcun altro. Questi e altri vengono chiamati dagli economisti 'mercati ripugnanti' perché la nostra civiltà non concepisce che ci possano essere transazioni di questi beni. Eppure, l’emergenza del Covid-19, la necessità di decidere come utilizzare le poche risorse a disposizione e come pianificare un intervento di politica sanitaria ed economica ci rimette di fronte all’indicibile e ci obbliga a ragionare di quanto valga una vita umana e di cosa siamo disposti a fare per salvarne una in più.

Il 26 febbraio sulle colonne di questo giornale Leonardo Becchetti riconosceva che al di là delle affermazioni ideali sul valore inalienabile della vita ciascuno di noi accetta dei rischi, quali il decidere di fumare o il guidare un motorino per le strade di Roma; tutti insomma prendiamo decisioni che ci espongono a un rischio di perdere la vita e pertanto riconosciamo implicitamente che il suo valore non è infinito. Guido Calabresi, un famoso giudice e giurista americano, nel suo libro Scelte Tragiche mise in luce come anche le determinazioni del decisore politico, specialmente quando hanno a che fare con la sicurezza delle persone, implicano una valutazione continua anche se implicita del valore della vita. Per fare un esempio, consideriamo l’obbligo di installare il dispositivo anti-abbandono nei seggiolini auto recentemente introdotto. Il suo costo è di almeno 30 euro e dal momento che si stima che verranno acquistati 300mila nuovi dispositivi ogni anno, questa norma impone un costo annuo per la collettività pari a 9 milioni di euro. Auspicabilmente questa spesa eliminerà totalmente le morti per abbandono in auto che sono circa 0,66 all’anno (8 morti negli ultimi 12 anni). Ecco, che quindi la decisione del legislatore rivela implicitamente di attribuire alla vita di un bambino un valore economico equivalente di 13,5 milioni di euro, perché spendendo questa cifra ogni anno e mezzo si potrà evitare una morte per abbandono in auto. Si noti che non è stato l’economista ad attribuire un prezzo alla vita dei bambini, perché l’economista ha semplicemente svelato il valore implicito nella decisione presa dal decisore pubblico. Procedendo ad analizzare sistematicamente molte decisioni politiche come questa, gli economisti Kip Viscusi e Clayton Masterman nel 2017 hanno stimato che il valore di una vita statistica (così viene definito nel gergo) è pari a circa 10 milioni di dollari negli Stati Uniti e poco più di 5 milioni di euro in Italia.

E' bene ripetere che questo 'valore' è semplicemente derivato osservando le scelte compiute collettivamente dai decisori politici. Ma usando questo valore di riferimento, possiamo provare a dare delle risposte alle drammatiche domande che il governo italiano ha dovuto affrontare nelle settimane scorse quando per primo in Occidente ha dovuto valutare l’opportunità di mettere il Paese in quarantena sospendendo buona parte dell’attività economica per tentare di frenare e, speriamo, azzerare nel tempo i contagi. Consapevoli dei danni economici che la serrata comporta, la domanda a cui hanno implicitamente risposto le autorità è stata la seguente: quali costi economici siamo disposti a sopportare per avere il beneficio di salvare centinaia di migliaia di persone? È molto probabile, e forse persino auspicabile, che tali decisioni siano state prese sulla base di considerazioni culturali e valoriali diverse dall’«analisi costi-benefici» qui illustrata; tale convinzione ci deriva anche dal fatto che negli stessi giorni della stretta italiana, in Gran Bretagna si discuteva molto della possibilità di 'lasciar correre' il contagio pur di non impattare troppo negativamente sull’economia. Alcuni osservatori si sono spinti a descrivere l’approccio britannico come quello più razionale ed economicamente sostenibile, indicando invece le decisioni italiane come impulsive e ignare di un attenta analisi costi benefici. Ma è davvero così? 'Vale la pena' bloccare l’economia italiana per evitare la congestione delle terapie intensive? Quanti morti valgono un punto di Pil? Proviamo a rispondere precisando che i calcoli che qui seguono sono speculativi e dipendono dalle assunzioni in gioco, che quindi tenteremo di rendere il più esplicite possibile.

La popolazione italiana è di circa 60 milioni di abitanti e secondo molti epidemiologi questo virus, se non arriviamo prima a un vaccino, finirà con l’infettare tra il 25 ed il 75% della popolazione prima che la cosiddetta «immunità di gregge» porti l’epidemia a estinguersi. Prendiamo il valore più ottimista e ipotizziamo che potrebbe essere infettato il 25% della popolazione. Secondo i dati Oms basati sull’esperienza cinese, il 5% dei malati ha bisogno di cure in terapia intensiva e i decessi tra coloro che accedono alla terapia intensiva sono il 20%, ovvero l’1% del totale degli infettati. Se quindi l’epidemia investisse tutta la popolazione ma, grazie al rallentamento del contagio dovuto ai provvedimenti di blocco delle attività, tutti i pazienti che ne necessitano fossero gestiti in terapia intensiva, ci dovremmo comunque aspettare 150mila decessi. Se invece, per non 'frenare' l’economia, dovessimo lasciar correre l’epidemia come aveva inizialmente ipotizzato di fare la Gran Bretagna, le terapie intensive andrebbero ben presto in saturazione e, sempre basandosi sull’esperienza cinese, ci dovremmo attendere che possa morire il 90% di quel 5% di pazienti bisognosi di cure in terapia intensiva. Significherebbe, quindi, aspettarsi circa 675 mila decessi.

Quanto vale la vita persa di questo mezzo milione e passa di decessi addizionali? Se usiamo il valore statistico calcolato da Viscousi e colleghi, il 'lasciar andare' l’epidemia finirebbe con il costare quasi 3mila miliardi di euro, ovvero una volta e mezzo il Pil italiano. Qualcuno potrebbe obbiettare che la maggior parte dei decessi dovuti al Covid 19 riguarda la vita di persone anziane e il valore statistico di una vita anziana potrebbe essere inferiore a quello medio della popolazione. È una valutazione che può lasciare sgomenti, ma anche in questo caso la realtà ci pone di fronte al fatto che le scelte che vengono suggerite in campo medico, per esempio, dalle 'Raccomandazioni di etica clinica per l’ammissione a trattamenti intensivi e per la loro sospensione, in condizioni eccezionali di squilibrio tra necessità e risorse disponibili' proposto di recente dagli anestesisti e rianimatori della Siaart indicano di garantire i trattamenti di carattere intensivo ai pazienti con «maggior speranza di vita», anche fissando – se la scarsità di risorse fosse talmente elevata – criteri generali di età per l’accesso alle cure intensive. Così come la medicina delle catastrofi ritiene possibile dare priorità alla cura di una vita giovane, anche la valutazione statistica della vita prevede di applicare uno 'sconto' per il valore della vita degli anziani: ad esempio, l’Agenzia americana per la protezione ambientale applica una riduzione del valore pari al 37%.

Ecco, anche accettando questo ulteriore deprezzamento, ci troveremmo di fronte a un costo del lasciar correre l’epidemia pari a al valore del Pil annuale italiano. In altre parole, sarebbe ragionevole rinunciare a un anno di produzione pur di evitare la morte di oltre mezzo milione di cittadini italiani. Altro che 'lasciar correre' per non fermare l’economia. Questi calcoli sono molto grezzi e certo non tengono conto da una parte dai costi ulteriori derivanti dal sostanziale collasso del sistema sanitario che si avrebbe se saturassimo tutte le risorse disponibili per curare il Covid-19 e dall’altro non tengono conto dei costi economici, sociali ma anche in termini di salute e di vite umane che il blocco completo di un’economia può comportare. Ciononostante ci sembra di poter concludere che la decisione italiana di mettere il paese in stallo pur di contrastare il virus sia non solo la scelta eticamente più vicina al sentire comune ma sia anche quella che è economicamente la più sensata.

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