I Commenti de «Il Sole 24 Ore» - Mind the Economy, la serie di articoli di Vittorio Pelligra sul Sole 24 ore.
di Vittorio Pelligra
Pubblicato su Il Sole 24 Ore il 14/07/2024
“Wittgenstein, Elizabeth Taylor, Bertrand Russell, Thomas Merton, Yogi Berra, Allen Ginsberg, Harry Wolfson, Thoreau, Casey Stengel, il rabbino dei Lubavitch, Picasso, Mose, Einstein, Hugh Heffner, Socrate, Henry Ford, Lenny Bruce, Babà Ram Dass, Gandhi, Sir Edmund Hillary, Raymond Lubitz, Buddha, Frank Sinatra, Colombo, Freud, Norman Mailer, Ayn Rand, il barone Rothschild, Ted Williams, Thomas Edison, H.L. Mencken, Thomas Jefferson, Ralph Ellison, Bobby Fischer, Emma Goldman, Piotr Kropotkin, voi e i vostri genitori”. Considerate tutte queste persone, ci chiede Robert Nozick, e poi provate a chiedervi se davvero possa esistere una società, un’ideale di vita, una visione di ciò che è giusto e di ciò che è sbagliato che possa mettere tutte queste persone d’accordo, capace di andare incontro a tutte le loro aspirazioni, di soddisfare i loro desideri, rispecchiare le loro preferenze, alimentare i loro ideali.
Ognuno ha la propria utopia
Che caratteristiche avrebbe questa utopia? Si vivrebbe in città o in campagna? Promuoverebbe uno stile di vita opulento o austero? Esisterebbe qualcosa di simile al matrimonio e come verrebbero concepiti i rapporti tra i sessi? La proprietà privata sarebbe ammessa, vietata o tollerata solo in qualche caso? Quante religioni ci sarebbero e che natura avrebbero? In base a quali valori verrebbero educati i bambini e che posto avrebbe la tecnologia e come ci si rapporterebbe nei confronti della morte? Queste sono solo alcune delle domande sulle quali Nozick ci invita a riflettere prima di metterci a parte della sua posizione: “L’idea che ci sia un’unica articolata risposta migliore a tutte queste domande, una società che sia per ognuno la migliore in cui vivere, mi sembra qualcosa d’incredibile” (Anarchia, Stato e Utopia, Il Saggiatore, 1981, p. 316).
Inizia in questo modo la terza parte della sua opera più famosa, quella dedicata, appunto, all’utopia. Una parte che il filosofo britannico Alan Lacey definisce “Sorprendente e originale (…) il dessert che arriva dopo i piatti principali libertari”. Una parte che però viene discussa raramente dai commentatori e continua ad essere ingiustamente sottovalutata.
Il punto di partenza di Nozick è, l’abbiamo visto, non solo la diversità, ma l’incompatibilità degli ideali di vita - le utopie – dei singoli. Dalle radicali differenze che esistono tra di noi derivano le differenze tra i nostri ideali e da queste differenze l’impossibilità di individuare una comunità che si possa reggere su principi e valori unanimemente condivisi. Si tratta di ciò che Rawls chiamava il “pluralismo di fatto” e che lo condusse alla proposta del liberalismo politico fondato sul “consenso per intersezione”.
La ricerca di un equilibrio possibile
La risposta di Nozick è naturalmente differente, radicalmente differente. Se tale comunità non è pensabile, ci dice il filosofo newyorkese, non è però impossibile immaginare un quadro generale, una “struttura” nell’ambito della quale molte e diverse forme di società possono essere istituite e fatte convivere. Questa struttura, l’utopia, sarebbe, dunque, quel terreno comune libero e aperto dove ogni cittadino può scegliere di vivere secondo le regole e ideali liberamente scelti a adottati di comune accordo da alcuni ma non da tutti. In questo spazio utopico i cittadini formano “associazioni” e contribuiscono alla creazione di un equilibrio, simile a quello che i teorici dei giochi chiamano “equilibrio di Nash”, in virtù del quale nessun membro di un’associazione è disposto a lasciare la sua comunità perché ogni altra possibile comunità gli garantirebbe un benessere inferiore, una rispondenza ideale peggiore, rispetto a ciò che gli garantisce l’associazione nella quale attualmente si trova.
In questa struttura utopica tutte le possibili forme di associazione – libertarie o meno - sono permesse con la sola eccezione di quelle “imperialistiche”, quelle, cioè, che tentano di imporre con la forza i propri principi e le proprie regole. L’esistenza di differenti possibili associazioni formate da differenti individui che possono decidere a quale associazione appartenere o quale associazione abbandonare assomiglia, così ci dice Nozick, ad un mercato concorrenziale perché le varie comunità competono tra di loro per attirare nuovi membri capaci di portare contributi positivi alle comunità cui sceglieranno di aderire. Questo parallelo tra “struttura” e mercato è il benvenuto, dice Nozick, perché ci consente di utilizzare per l’analisi della struttura utopica, i modelli e gli strumenti potenti e sofisticati elaborati dagli economisti per l’analisi del funzionamento del mercato.
Un primo modello
Il primo passo è dunque compiuto. Abbiamo immaginato un modello che considera mondi ideali nei quali ognuno di noi può concretizzare la propria utopia assieme ad altre persone libere e razionali. In questo modello chiunque può liberamente migrare dalla comunità in cui si trova ad un’altra comunità che viene pensata come più coerente con i valori ideali del singolo, a condizione che questa nuova comunità lo accetti.
Questa struttura - “l’utopia delle utopia” - come la definisce Nozick, possiede molti pregi e qualche difetto. Questi ultimi iniziano a emergere nel momento stesso in cui proviamo ad applicare il modello ideale al mondo reale. In questa fase, infatti, si presentano almeno quattro problemi fondamentali che Nozick individua a cerca di risolvere.
Quattro nodi
Il primo riguarda il ruolo degli altri. Nel modello ideale gli altri possono essere pensati in numero illimitato e con caratteristiche ideali. Nel mondo reale gli altri sono dati e in numero finito. Ciò vuol dire, per esempio, che può capitare di desiderare e pensare ad un’associazione nella quale noi vorremmo vivere che però non attrae le preferenze di nessun altro tra i possibili membri. Tale associazione risulterebbe possibile in astratto ma inattuabile in concreto.
Il secondo punto riguarda l’interazione tra le varie associazioni, le quali nel modello ideale non si influenzano a vicenda, mentre nel mondo reale non possono non interferire le une con le altre. Questo naturalmente fa nascere problemi di convivenza che possono generare conflitti e ciò determina il bisogno di soggetti terzi capaci e legittimati a risolvere le eventuali controversie.
Un terzo aspetto fa riferimento all’esistenza di costi di ricerca e di informazione a cui i membri delle varie associazioni sono soggetti nel momento in cui devono decidere se rimanere nell’attuale associazione o muoversi in un’associazione più rispondente ai propri ideali.
Il quarto aspetto riguarda, infine, la possibilità che in una certa comunità si possano tenere i membri all’oscuro dell’esistenza di comunità alternative per paura che questi possano decidere di andarsene. I genitori, per esempio, possono tenere i figli all’oscuro dell’esistenza di altre e diverse comunità per paura che questi, una volta cresciuti, possano decidere di aderire a modelli di vita alternativi e di abbandonare la loro comunità di origine. Uno scenario esplorato dal regista indiano M. Night Shyamalan nel suo film The Village del 2004. Questa possibilità ci pone davanti alla necessità di immaginare istituzioni capaci di preservare la libertà di accesso alle informazioni e la libertà di movimento.
L’evoluzione che Nozick chiama “metodo-filtro”
Ragionando in questo modo sull’applicazione concreta della struttura ideale al mondo reale Nozick arriva alla conclusione che ciò prevederebbe la nascita di istituzioni molto simili a quelle previste nello stato minimo. Istituzioni, cioè, primariamente volte alla protezione dei diritti e delle libertà dei singoli ogni qualvolta queste possano essere minacciate nel processo di formazione e mutamento delle associazioni. Questa evoluzione, che Nozick chiama “metodo-filtro” (filtering method) avviene per tentativi ed errori, congetture e confutazioni, seguendo una logica simile a quella che Karl Popper associa al processo di scoperta scientifica.
Analogamente le possibili comunità si formeranno e la vita le porrà davanti a ostacoli e difficoltà, alcune supereranno le prove e altre invece no. Le prime continueranno ad esistere e verranno messe nuovamente alla prova, come spiega Popper, in un processo continuo di avvicinamento asintotico allo “scopo finale” della massima rispondenza dell’associazioni con le utopie individuali dei singoli. Perché, come scrive Nozick: “Lo scopo ultimo della costruzione utopica è di ottenere comunità in cui le persone vogliono vivere e che sceglierebbero volontariamente per viverci” (p. 322).
Tre tipi di utopia
Attraverso la struttura nozickiana tale risultato è almeno logicamente possibile perché si tratta di un modello inclusivo e capace di accomodare visioni della vita differenti e perfino idee di utopia differente. Nozick ne distingue tre, in particolare: “L’utopismo imperialista, che autorizza la costrizione di ognuno in un solo modello di comunità; l’utopismo missionario, che spera di persuadere o convincere ognuno a vivere in un solo genere particolare di comunità, ma non forzerà mai nessuno a farlo; e l’utopismo esistenziale, che spera che un modello particolare di comunità finirà con l’esistere, anche se non necessariamente in forma universale”. Gli utopisti esistenziali sono naturalmente attratti dall’esistenza della struttura cui sceglieranno di aderire senza riserve. Anche gli utopisti missionari è plausibile che si uniscano agli utopisti esistenziali nell’adesione alla struttura, considerando che questa gli consente di aderire liberamente e volontariamente alla loro utopia preferita anche se questa non è universalmente accettata. Solo gli utopisti imperialisti si opporranno alla nascita della struttura almeno finché ci sarà qualcuno che non vorrà sposare la loro personale visione del mondo.
Come abbiamo visto nei Mind the Economy delle scorse settimane, Anarchia, Stato e Utopia si apre con una discussione delle ragioni che rendono desiderabile lo stato minimo. Oggi vediamo come lo stesso libro si chiude riconoscendo la necessità della sua esistenza nel quadro di una struttura capace di garantire la convivenza di comunità utopiche libere e volontarie. In questa configurazione lo stato minimo non si fonda sulla base di ciò che fa, ma piuttosto in virtù di ciò che consente di fare, in base alla libertà delle vite che consente di vivere. Così, come sottolinea il filosofo britannico Ralf Bader, lo stato minimo “Non specifica un modello al quale la società deve conformarsi, ma consente agli individui di vivere la propria vita come ritengono opportuno” (Robert Nozick, Continuum, 2010, p. 68).
Qui possiamo ritrovare il nocciolo costituivo dell’ideale libertario che ha ispirato l’opera politica di Nozick, l’ideale di una società non coercitiva in cui, attraverso la libertà e il diritto alla proprietà di sé, la dignità di ciascuno è pienamente riconosciuta, rispettata e protetta da ogni forma di interferenza esterna e di occulto o manifesto paternalismo.