I Commenti de «Il Sole 24 Ore» - Mind the Economy, la serie di articoli di Vittorio Pelligra sul Sole 24 ore.
di Vittorio Pelligra
Pubblicato su Il Sole 24 Ore il 21/07/2024
Robert Nozick e John Rawls hanno contribuito a definire il panorama della filosofia politica del ‘900 situandosi ai due poli opposti dello spettro ideologico: Nozick con il suo anarchismo libertario e Rawls sviluppando una posizione che potremmo definire come liberalismo egualitario.Certamente la filosofia del secolo scorso ha visto posizioni anche più estreme, ancora più a destra di Nozick e ancora più a sinistra di Rawls, ma rimane il fatto che la teoria della “giustizia come equità” e quella del “titolo valido” costituiscono comunque i riferimenti principali e imprescindibili.
Due filosofi contrapposti
I due filosofi non stanno comunque sullo stesso piano anche solo per una questione di priorità cronologica. Rawls scrive Una Teoria della Giustizia, la sua opera principale nel 1971, mentre Nozick gli risponde con Anarchia, Stato e Utopia, nel 1974. Si è detto da più parti e si può concordare sul punto, che parte della popolarità riscontrata dalle teorie di Nozick deriva proprio dalla sua contrapposizione a Rawls.
Come abbiamo scritto già qualche settimana fa, è interessante ribadire che il punto di partenza della riflessione di entrambi è il medesimo: la critica all’utilitarismo allora dominante e in particolare alla possibilità che in questa prospettiva filosofica è data di “scambiare” il benessere delle persone.
Per gli utilitaristi, infatti, l’obiettivo ultimo è la massimizzazione della somma delle utilità individuali. Per ottenere tale risultato è lecito e perfino auspicabile sacrificare il benessere di qualcuno se questo può far aumentare in misura maggiore il benessere di qualcun altro.
Sia per Rawls che per Nozick questa possibilità è intollerabile perché non prende in considerazione i diritti dei singoli, la loro “separatezza” come sostiene Kant e perché, soprattutto, tratta le persone come mezzi e non come fini, cosa che contravviene a quella stessa impostazione kantiana che entrambi i filosofi accolgono.
Per il resto le posizioni dei due non potrebbero essere più distanti. Per Rawls il problema della giustizia distributiva nasce dalla natura essenzialmente cooperativa della vita in comune.
In una società complessa grazie alla divisione del lavoro è possibile ottenere risultati che non saremmo in grado di ottenere individualmente. Si genera, cioè, un surplus che, per così dire, non è né mio né tuo, ma nostro. Questo fatto genera il problema di come ripartire tale surplus tra tutti coloro che hanno contribuito a produrlo.
I singoli e la ricchezza
Nozick si muove in una prospettiva completamente differente. Sono i singoli che producono e trasferiscono ricchezza. Il problema della giustizia si configura in questo modo rispetto a quelle forme di acquisizione e di trasferimento della proprietà che possono essere considerate legittime.
Egli critica Rawls perché non rende palese la differenza tra i beni generati dalla cooperazione e quelli che invece derivano dall’azione individuale e non pone il giusto peso su questi ultimi. Inoltre, anche nel caso dei beni generati attraverso un processo di cooperazione secondo Nozick è sempre possibile misurare l’apporto di ciascun individuo e si dovrebbe quindi considerare questo parametro per procedere ad una distribuzione giusta del surplus.
Quale dovrebbe essere, dunque, il ruolo di una teoria della giustizia in questo contesto? “La gente coopera nel fabbricare beni – scrive il filosofo newyorkese - ma lavora separatamente; ciascuna persona è un’impresa in miniatura. I prodotti di ciascuna persona sono facilmente identificabili, e gli scambi sono effettuati su mercati aperti con prezzi imposti dalla concorrenza, vincoli sull’informazione dati e così via. In un simile sistema di cooperazione sociale, qual è il compito di una teoria della giustizia? Si potrebbe dire che qualsiasi possesso ne risulti dipenderà dalle ragioni di scambio o dai prezzi ai quali si effettuano gli scambi, e quindi che il compito di una teoria della giustizia è di stabilire criteri per prezzi equi” (Anarchia, Stato e Utopia, Il Saggiatore, 1981, p. 198).
Inoltre, Nozick sostiene che la stessa ragione per cui Rawls è contrario ad un egualitarismo perfetto e cioè perché guadagni differenti sono necessari per incentivare i membri più produttivi e innovativi della società implica essa stessa la possibilità che individui diversi apportino contributi diversi e che questi siano identificabili.
Una possibilità per però, stranamente, Rawls trascura. Un secondo ambito nel quale si muove la critica di Nozick a Rawls è quello relativo alla sua impostazione contrattualista. In Una Teoria della Giustizia, infatti, egli si chiede quali caratteristiche dovrebbero avere i principi di giustizia per generare un accordo sottoscritto da individui razionali ed autointeressati.
Una giustizia “storica”
Nozick rifiuta totalmente questa impostazione. Egli non si pone il problema della configurazione di una società giusta perché la sua visione di giustizia è “storica”. In questo approccio si dovrà considerare giusta qualunque configurazione sociale e qualunque allocazione di beni che si sarà evoluta a partire da una configurazione giusta attraverso regole e procedure legittime.
La critica che Nozick muove al contrattualismo rawlsiano è legata al suo presupposto principale: che il contratto serva a definire i principi di distribuzione della ricchezza. Ma questa ricchezza, dice Nozick non arriva dal cielo. Qualcuno ha già contribuito a crearla, la possiede e tale proprietà è inviolabile se è stata acquisita in modo legittimo. Non si può immaginare nessun accordo che metta in discussione questo stato di cose; comporterebbe un’inaccettabile violazione dei diritti individuali originari.
Scrive ancora Nozick: “Nessun principio storico potrebbe essere in prima istanza oggetto di accordo per i partecipanti alla posizione originaria di Rawls. Infatti, persone che s’incontrano dietro un velo d’ignoranza per decidere chi ottiene cosa, senza sapere nulla di titoli speciali che le persone possano avere, considereranno come manna-dal-cielo qualsiasi cosa ci sia da distribuire” (p. 209).
La classe di studenti
Immaginiamo, ci dice ancora il filosofo, una classe di studenti che hanno sostenuto un esame e che sono stati valutati dal loro insegnante con votazioni differenti perché differenti sono state le loro performance. Immaginiamo questi studenti nella posizione originaria di Rawls, dietro il velo di ignoranza. Loro non sanno di aver preso un certo voto, conoscono solo la somma totale di questi voti. Su quale principio distributivo si metterebbero d’accordo? Con tutta probabilità su un principio egualitario.
Ma potremmo definire la distribuzione dei voti che verrebbe generata secondo questo principio davvero giusta? E cosa succederebbe se agli studenti venisse mostrata la vera distribuzione dei voti determinata dal loro impegno, dal rendimento, dalla fortuna e da una serie di altri fattori storicamente determinati? Sarebbe probabilmente molto complicato convincere gli studenti che hanno preso voti inferiori alla media ad accettare quei voti invece che una distribuzione che prevede un voto medio uguale per tutti.
Ma sarebbe giusto? Invece che focalizzarsi sulla distribuzione dei voti, come fa la teoria rawlsiana e ogni altra teoria “a stato finale” come le definisce Nozick, sarebbe più opportuno utilizzare il criterio storico per determinare il voto di ciascuno studente.
Cosa hai fatto? Quanto hai studiato? Quanto ti sei impegnato? Questi dovrebbero essere i criteri da utilizzare per valutare se una distribuzione dei voti è giusta oppure no. Questi criteri sono quelli che costituiscono il “titolo valido” che autorizza un individuo ad un certo “possesso”, ad un certo voto, in questo caso. Eppure, continua Nozick, “Se i principi storici del titolo valido sono fondamentali, allora la costruzione di Rawls, nel migliore dei casi, fornirà loro approssimazioni; produrrà il tipo errato di ragioni a loro sostegno e i risultati che ne seguono saranno talvolta in conflitto con i principi propriamente corretti. L’intera procedura di persone che scelgono principi nella posizione originaria di Rawls presuppone che nessuna concezione di giustizia storica centrata sul titolo valido sia corretta”. Dal contrattualismo rawlsiano, in altri termini, non ci si può aspettare l’accordo su principi di giustizia storica capaci di considerare la ricchezza e i beni, nella loro reale forma di entità prodotte, possedute e scambiate da e tra persone reali.
La critica di Nozick a Rawls
“Il principio di differenza di Rawls – come scrive John Meadowcroft - potrebbe benissimo essere un criterio appropriato per distribuire la manna dal cielo (se la distribuzione di quella manna in qualche modo influenzasse la quantità di manna prodotta in modo tale da dover tenere conto degli incentivi), ma Nozick dimostra chiaramente che se considerassimo la creazione di reddito e ricchezza così come avviene nel mondo reale le cose si complicherebbero considerevolmente e quasi certamente emergerebbero dei diritti che non dovrebbero essere ignorati da nessuno veramente interessato alla ricerca della giustizia” (“Nozick’s critique of Rawls: distribution, entitlement, and the assumptive world of A Theory of Justice” in The Cambridge Companion to Nozick’s Anarchy, State, and Utopia, Eds. R. M. Bader and J. Meadowcroft, Cambridge University Press, 2011).
La critica di Nozick a Rawls prosegue articolandosi intorno ad altri elementi importanti della teoria come quello delle doti naturali, del merito e dell’arbitrarietà di certe distribuzioni. Tutti aspetti sui quali ci soffermeremo più a lungo nel prossimo Mind the Economy.