I Commenti de «Il Sole 24 Ore» - Mind the Economy, la serie di articoli di Vittorio Pelligra sul Sole 24 ore.
di Vittorio Pelligra
Pubblicato su Il Sole 24 Ore il 28/07/2024
I punti centrali di Una Teoria della Giustizia di John Rawls sono certamente i due principi di giustizia che egli deriva come risultato della negoziazione di soggetti razionali nella posizione originaria e dietro il velo di ignoranza. Abbiamo discusso questo tema in dettaglio in vari Mind the Economy dedicati appunto a Rawls.
Il “principio di libertà” è quello cui viene attribuita maggiore importanza – una priorità lessicografica, come scrive il filosofo - ma è certamente il secondo principio quello di “differenza” a caratterizzare e distinguere maggiormente per originalità la proposta rawlsiana. Questo secondo principio nella sua prima formulazione recita: “Le ineguaglianze sociali ed economiche devono essere combinate in modo da essere (a) ragionevolmente previste a vantaggio di ciascuno; (b) collegate a cariche e posizioni aperte a tutti”. Lo stesso Rawls riconosce che le espressioni “a vantaggio di ciascuno” e “aperte a tutti” possono risultare ambigue per cui si prende la briga di discuterle a lungo per chiarificarle e fornirne l’interpretazione corretta.
Ogni espressione – il "vantaggio” e l’ “apertura” - è indipendente l’una dall’altra e può essere specificata in almeno due modalità differenti. Posizioni “egualmente aperte a tutti”, infatti, può voler indicare sia un’ “eguaglianza formale delle opportunità” così come una più stringente “eguaglianza sostanziale delle opportunità”. L’espressione “a vantaggio di ciascuno”, d’altro canto, può essere interpretata semplicemente come una questione di efficienza economica oppure come una distribuzione che risponde alla logica del principio di differenza, una distribuzione, cioè, in base alla quale, come scrive Rawls “le aspettative di coloro che sono in una situazione migliore sono giuste se e solo se funzionano come parte di uno schema che migliora le aspettative dei membri meno avvantaggiati della società”.
Combinando queste due possibili declinazioni per ognuna delle due dimensioni del principio di differenza, si possono generare quattro possibili interpretazioni. Rawls definisce “sistema delle libertà naturali” l’interpretazione che deriva dalla congiunzione tra pura efficienza e uguaglianza formale delle opportunità; chiama “eguaglianza liberale” l’interpretazione che scaturisce combinando efficienza con eguaglianza sostanziale delle opportunità; l’ “aristocrazia naturale” è ciò che emerge se si considerano insieme il principio di differenza e l’uguaglianza formale e, infine, l’ “eguaglianza democratica” è ciò che deriva dal combinato disposto di principio di differenza e uguaglianza sostanziale delle opportunità.
L’interpretazione autentica che Rawls propone e difende è quest’ultima, dove il secondo principio di giustizia appare più coerente con l’intera costruzione della sua teoria. Ne viene fuori una concezione secondo cui l’eguaglianza sostanziale delle opportunità è necessaria per superare le ingiuste diseguaglianze derivanti da ciò che Rawls chiama la “lotteria naturale” che determina vantaggi e svantaggi moralmente irrilevanti. Nascere maschio o femmina, in una certa famiglia, in un certo luogo in un dato momento storico e con la pelle di un certo colore piuttosto che un altro sappiamo essere fattori che hanno tutti un’influenza determinante sulle opportunità aperte ai singoli indipendentemente dai loro talenti, dalle loro capacità e dalla loro determinazione nel metterli a frutto. Ma sono fattori su cui i singoli non possono esercitare nessun controllo e quindi devono essere considerati moralmente irrilevanti. Non si può, quindi, definire giusta una distribuzione del reddito e della ricchezza che sia determinata in maniera preponderante da tali fattori.
La seconda questione rilevante per l’ “eguaglianza democratica” è l’impossibilità di accontentarsi del solo principio di efficienza paretiana. Esistono infatti un numero virtualmente infinito di allocazioni alternative che soddisfano il criterio di efficienza paretiana. Si tratta di tutte quelle allocazioni che si trovano sulla cosiddetta “curva di trasformazione” dove tutti i fattori produttivi, dal capitale fisico a quello umano, sono utilizzati al meglio. Una di queste allocazioni, tra tutte quelle possibili, vedrà tutta la ricchezza concentrata nelle mani di un solo individuo. Tale distribuzione è da considerarsi efficiente nel senso di Pareto perché è impossibile aumentare il benessere anche solo di una persona senza ridurre il benessere di qualcun altro. Questa distribuzione, dunque, è efficiente, ma difficilmente possiamo considerarla anche giusta.
La questione dell’interpretazione del secondo principio di giustizia è importante in questa fase del nostro discorso perché costituisce uno dei bersagli principali della critica di Nozick a Rawls. Mentre quest’ultimo, infatti, propende per l’ “eguaglianza democratica”, Nozick si attesta sull’interpretazione diametralmente opposta, quella che definisce “sistema delle libertà naturali”. Il primo punto di differenza riguarda le pari opportunità. Mentre per Rawls deve essere sostanziale, per Nozick basta quella formale. Basta cioè che ogni cittadino abbia legalmente la possibilità di accedere a determinate opportunità. Rawls richiede, invece, che tutte le differenze legate alla lotteria della nascita siano in qualche modo compensate per rendere l’uguaglianza delle opportunità un fatto concreto e non solamente una dichiarazione di principio. “Non vi è ragione – scrive Rawls al riguardo - di permettere che la distribuzione del reddito e della ricchezza sia stabilita dalla distribuzione delle doti naturali piuttosto che dal caso storico o sociale” e continua affermando come “persino la volontà di tentare, di impegnarsi, e di essere quindi meritevoli, come lo si intende normalmente, dipende da una famiglia felice e dalle circostanze sociali”.
È questo il punto su cui Nozick non concorda e che ritiene del tutto infondato. La sua critica si spinge fino a mettere in discussione la compatibilità di una visione così deterministica delle scelte individuali con l’ideale di dignità che Una Teoria della Giustizia vorrebbe promuovee con l’approccio kantiano della “separatezza” degli esseri umani su cui Rawls, così come Nozick, del resto, fonda la sua critica all’utilitarismo. “Questa linea di argomentazione – scrive Nozick - può riuscire a bloccare l’introduzione delle scelte e delle azioni autonome di una persona (e i loro risultati) solo attribuendo tutto ciò che è degno di nota riguardo alla persona a certi tipi i fattori ‘esterni’. Denigrare così l’autonomia e la responsabilità fondamentale di una persona per le sue azioni è una linea rischiosa da adottare per una teoria che altrimenti aspira a rafforzare la dignità e il rispetto di sé di esseri autonomi; pericolosa specialmente per una teoria che si fonda per così tanti aspetti (inclusa una teoria del bene) sulle scelte delle persone. C’è da dubitare che l’immagine non esaltante degli esseri umani che la teoria di Rawls presuppone e su cui si fonda possa essere resa compatibile con l’idea di dignità umana che vuole indurre e incorporare” (p. 224). Nozick sul punto, come si vede, è durissimo. Ma l’affondo prosegue sostenendo che Rawls di fatto non ha dimostrato in nessun modo che agenti razionali nella posizione originaria rifiuterebbero un sistema di libertà nel quale le doti naturali possono (almeno in parte) determinare la distribuzione del reddito e della ricchezza. Visto che Rawls è silente circa le ragioni che giustificano la sua posizione è Nozick che prova a trovare argomenti a suo sostegno. Argomenti “positivi” e “negativi” che vengono introdotti per poi venire smontati uno ad uno. Gli argomenti “positivi” sono volti a stabilire perché gli effetti distributivi delle differenze naturali devono essere annullati. Quelli “negativi”, invece, cercano di confutare un possibile contro-argomento che sostenga che gli effetti distributivi di differenze naturali non devono essere annullati.
Nozick identifica quattro possibili argomenti “positivi”. Il primo ha la seguente struttura: a) ogni persona dovrebbe meritare moralmente il reddito e la ricchezza; b) non dovrebbero esserci persone ricche se queste non si sono meritate tale ricchezza; c) se l’X di una persona determina parzialmente il suo Y, e il suo X è immeritato, allora lo è anche il suo Y e, infine d) la ricchezza delle persone non dovrebbero essere neanche parzialmente determinata dalle loro doti naturali.
Questo tipo di argomentazioni sarebbero, certamente, possibili ma Rawls, come fa notare Nozick “respinge esplicitamente e con enfasi la distribuzione secondo il merito morale”. Scrive Rawls, infatti, che “Il senso comune tende a supporre che il reddito e la ricchezza, e in generale le cose buone della vita, dovrebbero essere distribuite secondo il merito morale. La giustizia è felicità secondo virtù. Anche se si riconosce che non può mai essere pienamente realizzato, questo ideale rappresenta la concezione appropriata della giustizia distributiva, almeno in quanto principio prima facie, e la società dovrebbe tentare di realizzarlo nella misura permessa dalle circostanze. Ma la giustizia come equità rifiuta questa concezione; un principio simile non verrebbe scelto nella posizione originaria”.
Quindi Rawls sembra rifiutare il merito morale come criterio distributivo. Non solo ma è propenso ad incentivare i più dotati per i loro migliori risultati quando questi possono generare dei vantaggi anche ai più svantaggiati. Strapagare un imprenditore che innova può essere giusto anche se questo fa aumentare le disuguaglianze. A patto che l’azione innovatrice dell’imprenditore possa, per esempio, generare posti di lavoro capaci di migliorare le condizioni economiche soprattutto di coloro che sono più svantaggiati. Nozick, sul punto, ricorda anche la posizione di von Hayek secondo cui in una società di mercato di solito le distribuzioni dei guadagni sono determinate dalla capacità dei singoli di rispondere ai bisogni degli altri. Questa capacità è almeno in parte correlata con i talenti naturali, i quali quindi, indirettamente determinano la distribuzione della ricchezza. Quindi, “Il principio del sistema – scrive Nozick - non è la distribuzione secondo le doti naturali; ma differenze di doti naturali [che] condurranno a differenze nei possessi in un sistema il cui principio è la distribuzione secondo i servizi riconosciuti resi ad altri” (p. 227). Nel famoso esempio di Wilt Chamberlain che abbiamo discusso nel Mind the Economy 76, la ricchezza che il giocatore guadagna non deriva direttamente dalle sue doti naturali e dalle sue abilità atletiche, ma dall’uso che egli ne fa mettendole al servizio degli spettatori e degli appassionati di basket. La capacità di Chamberlain di andare incontro ai gusti e ai “bisogni” degli appassionati si riflette nella loro disponibilità a pagare per vederlo giocare.
Confutati uno per uno gli argomenti “positivi” che Rawls avrebbe potuto invocare contro l’arbitrarietà morale delle distribuzioni fondate sulle dotazioni naturali, Nozick prova a immaginare un’altra serie di argomenti “negativi”, capaci, cioè, di sovvertire possibili contro-argomentazioni. Occorre preliminarmente ribadire un punto: il disaccordo tra Nozick e Rawls non verte sull’illegittimità di un meccanismo allocativo che determina la distribuzione delle risorse sulla base delle dotazioni naturali degli individui. Entrambi i filosofi, infatti, al riguardo concordano. Il merito non può basarsi su qualcosa di “ereditato” – i geni, la famiglia, il luogo di nascita, etc. - e su cui l’individuo non esercita nessun controllo e quindi non ha nessuna responsabilità morale. La differenza sta nel fatto che mentre Rawls si ferma alla condanna di tale criterio allocativo senza argomentare oltre, Nozick cerca di fare un passo avanti dimostrando che se sostituissimo al concetto di merito quello di “titolo valido”, pilastro fondante della sua teoria della giustizia, allora sarebbe possibile considerare legittime le disuguaglianze economiche perché queste non sarebbero altro che, in una visione storica della giustizia come quella del filosofo newyorkese, il portato di una concatenazione di azioni giuste. L’idea di Nozick è semplice e astuta. Proviamo a considerare cosa succederebbe all’argomento a favore dell’arbitrarietà delle doti naturali che Rawls critica se dovessimo sostituire al termine “merito” l’espressione “titolo a”. Il ragionamento acquisterebbe questa forma: 1) Le persone hanno titolo alle loro doti naturali; 2) se c’è qualcosa a cui le persone hanno titolo, lo hanno nei confronti di qualsiasi cosa derivi dalle loro doti naturali; 3) i possessi delle persone derivano dalle loro doti naturali, quindi, le persone hanno titolo ai loro possessi. Infine, 4) se le persone hanno titolo a qualcosa, allora lo avranno indipendentemente dall’essere le loro doti naturali arbitrarie da un punto di vista morale. Le persone hanno titolo ad esse e a quanto da esse deriva. “Non abbiamo trovato nessun argomento cogente – conclude Nozick - tale da (aiutare a) stabilire che differenze nei possessi che derivano da differenze di doti naturali devono essere eliminate o minimizzate” (p. 236). Vediamo qui che Nozick, come von Hayek prima di lui, resiste alla tentazione di attribuire valore morale e di giustizia agli esiti del processo di mercato per rimanere focalizzato, secondo la sua prospettiva storica, sulla giustizia e sulla legittimità morale del processo di allocazione delle risorse attraverso il meccanismo del mercato.
Abbiamo visto, in conclusione, come Nozick che inizialmente sembrava equiparare qualunque politica distributiva ad una forma di rapina arriva alla posizione secondo cui, almeno in alcuni casi, può essere lecito un intervento redistributivo. Se consideriamo il reddito accumulato da Chamberlain, per rimanere nell’esempio preferito del filosofo, potrebbe essere utile introdurre una tassazione, proprio per rispettare la versione di Nozick della clausola lockeana (lockean provisio). Ciò significa che se una distribuzione iniziale dei possessi è tale da compromettere il godimento degli stessi beni da parte di altri, questa distribuzione deve essere modificata attraverso un intervento esterno o, alternativamente occorre procedere ad un’azione risarcitoria nei confronti dei danneggiati.
Mentre su questo punto, quindi, vediamo che le differenze tra Rawls e Nozick tendono a ridursi, un disaccordo radicale continua a persistere, invece, per quanto riguarda la legittimità dei possessi acquisiti in maniera originaria o per trasferimento. A questo riguardo, afferma Nozick, non è possibile escludere, come fa Rawls, da una teoria della giustizia il modo in cui i beni e la ricchezza sono stati acquisiti. Non si può ragionare come se tali beni e tale ricchezza fossero arrivati come manna-dal-cielo. C’è sempre dietro una storia che non può essere trascurata e se questa storia è una storia di accumulazione legittima allora questa non può essere negata o violata. Il secondo punto di disaccordo radicale tra i due riguarda l’intrusività delle politiche redistributive. Concentrarsi sugli stati finali, sugli esiti e sulle allocazioni finali invece che sui processi può portare, afferma Nozick, alla giustificazione di una continua interferenza statale nella vita di singoli uomini e donne, una interferenza che non si può non configurare come una violazione dei diritti di quelle persone.
In Anarchia, Stato e Utopia Nozick esordisce lodando Una Teoria della Giustizia di Rawls come “un’opera sistematica (…), vigorosa, profonda, sottile, di ampio respiro come non se ne vedevano dagli scritti di John Stuart Mill” e continua sostenendo che “i filosofi della politica devono ora lavorare all’interno della teoria di Rawls, oppure spiegare perché non lo fanno”. In questi ultimi Mind the Economy dedicati al pensiero di Robert Nozick abbiamo visto appunto come egli abbia provato a spiegare e in maniera convincente perché ha scelto di lavorare fuori dalla teoria di Rawls, alla ricerca di una idea di giustizia originale ma ancorata solidamente ai classici, provocatoria ma mai sterile, profonda ma intuitiva. La critica più forte che oggi forse possiamo rivolgere al filosofo è quella di non aver sviluppato ulteriormente il suo pensiero politico, magari attraverso il dialogo con i suoi molti critici. Dialogo che ha sempre evitato abbandonando precocemente la filosofia politica per rivolgere la sua fine e penetrante intelligenza a temi che egli riteneva più interessanti ed importanti.