I Commenti de «Il Sole 24 Ore» - Mind the Economy, la serie di articoli di Vittorio Pelligra sul Sole 24 ore.
di Vittorio Pelligra
Pubblicato su Il Sole 24 Ore il 07/07/2024
La teoria della giustizia di Robert Nozick, altro grande gigante della filosofia politica del ‘900, assieme a John Rawls e suo critico radicale, è una teoria strutturalmente piuttosto semplice. Si basa infatti su un assunto fondamentale, quello del cosiddetto “titolo valido”. Un “possesso”, dice Nozick, è legittimo se è stato acquisito o è stato trasferito in maniera legittima. Allargando il discorso possiamo dire, allora, che una società giusta è una società caratterizzata da uno stato di cose, un’allocazione di risorse e di beni che, partendo da una situazione giusta si è evoluta attraverso acquisizioni e trasferimenti legittimi. Possiamo affermare che un trasferimento è legittimo quando innanzitutto il “possesso” è legittimo – chi vuole trasferire il bene, donarlo o scambiarlo, ne è entrato in possesso seguendo regole giuste – e, in secondo luogo, tale trasferimento è avvenuto in modo volontario.
L’acquisizione del possesso
La settimana scorsa abbiamo discusso a lungo il tema del passaggio dei possessi da un soggetto ad un altro, analizzando ciò che Nozick definisce il “principio di giustizia nei trasferimenti”. Oggi andremo a fondo su un punto che è logicamente precedente. Dovremmo iniziare a chiederci, cioè, come “originariamente” si acquisiscono i possessi. Non tutti i beni di cui potremmo entrare in possesso durante la nostra vita, infatti, sono ottenuti attraverso trasferimenti; alcuni li potremmo acquisire senza che in precedenza appartenessero a qualcun altro e altri ancora potremmo produrli noi stessi. Oltre ai trasferimenti esistono, infatti, forme di acquisizione originaria non mediate dallo scambio.
Il legittimo possesso
Da cosa nasce dunque il legittimo possesso di un qualcosa che fino a quel momento non è stato posseduto da nessuno? Questa domanda è di speciale importanza per un libertario come Nozick. L’entrare in possesso e poter rivendicare la proprietà di un certo bene, infatti, equivale, come sosteneva Bentham, alla possibilità di privare legittimamente tutti gli altri dal godimento di quel bene. La proprietà implica, cioè, quella che gli economisti chiamano “escludibilità” e che non a caso è una caratteristica definitoria di tutti i beni privati. L’appropriazione originaria, in questo senso, in quanto impone degli obblighi ad altri senza che questi abbiano espresso un consenso esplicito all’accettazione di tali obblighi, rappresenta naturalmente un problema particolarmente delicato per una teoria della giustizia che si fonda, come abbiamo visto, sul diritto originario alla “proprietà di sé”.
La teoria della giustizia nell’acquisizione
Questo è l’ambito nel quale Nozick sviluppa la sua “teoria della giustizia nell’acquisizione”. Il punto di riferimento storico, al riguardo, è naturalmente la teoria della proprietà di Locke. Secondo il filosofo inglese i diritti di proprietà su di un bene privo di proprietario hanno origine quando qualcuno vi “mescola”, come scrive Nozick, il suo lavoro a patto che, specifica Locke, l’appropriazione di quel bene senza proprietario lasci per gli altri “cose sufficienti e altrettanto buone”. In questa prospettiva, per esempio, un agricoltore che dovesse iniziare a coltivare una terra incolta e senza proprietario potrebbe entrarne legittimamente in possesso ma solo a patto – così recita il lockean provisio - che ci sia abbastanza terra e di simile qualità anche per gli altri agricoltori che volessero procedere nello stesso modo. In che modo, si chiede Nozick, “mescolare” il proprio lavoro con un altro bene, per esempio, la terra, delle materie prime, un’idea, dovrebbe generare un diritto di proprietà sui frutti di quel lavoro e su quegli stessi materiali utilizzati?
Nozick trova la giustificazione di Locke a questo riguardo non del tutto soddisfacente e sul punto parte con una serie di famosi interrogativi. Il primo è di stringente attualità e la cosa non può che sorprendere, visto che Anarchia, Stato e Utopia viene pubblicato nel 1974. “Se un astronauta privato – scrive Nozick - rende abitabile una zona di Marte, ha mescolato il suo lavoro a (e dunque viene in possesso di) tutto il pianeta, l’intero universo non abitato o solo quell’appezzamento particolare? Di quanta terra rende proprietari un’azione? L’area minima (possibilmente separata) tale che l’azione diminuisce l’entropia in quell’area, e non altrove? Si può prendere possesso di terre vergini mediante un processo lockeano (magari sorvolandola ad alta quota per una indagine ecologica)? Recintare un territorio renderebbe presumibilmente proprietari della sola recinzione (e del terreno immediatamente al di sotto). (…) Perché mescolare quanto possiedo con ciò che non possiedo – continua il filosofo - non è un modo di perdere quanto possiedo piuttosto che guadagnare ciò che non possiedo? Se possiedo un barattolo di succo di pomodoro e lo verso in mare, in modo che le sue molecole (rese radioattive per poterle rilevare) si mescolino uniformemente in tutto quanto il mare, arrivo con ciò a possedere il mare, oppure ho solo sprecato stupidamente il mio succo di pomodoro?”.
Forse con la sua interpretazione Nozick non rende pienamente giustizia alla complessità dell’argomentazione di Locke ma, di fatto, egli non ritiene possibile adottarla così com’è e questo non solo per la sua presunta incompletezza, ma soprattutto, come fa rilevare Jonathan Wolff nel suo Robert Nozick. Property, Justice and the Minimal State (Polity Press, 1996) per via della sua premessa fondamentale e delle sue implicazioni politiche. La teoria lockeana, infatti, ha una base metafisica - la terra donata da Dio agli uomini che quindi la possiedono in comune - che Nozick non può accettare. In secondo luogo, poi, se è vero che da questa premessa della proprietà comune, Locke deriva la necessità del fatto che alcune cose debbano essere possedute privatamente perché in questo modo si facilita lo sviluppo umano, è anche vero che assieme a quello di proprietà, dal ragionamento lockeano, deriva un altrettanto stringente dovere all’assistenza dei poveri. Anche questo punto, naturalmente, è inaccettabile nella prospettiva libertaria di Nozick. Ma allora, oltre a fornirne la radice storica, qual è il ruolo della teoria lockeana nell’argomentazione di Nozick? La cosa in fondo non è chiara. Nozick su questo punto è sfuggente. Sembra promettere una più compiuta articolazione della sua teoria che però non arriverà mai, né nelle pagine successive di Anarchia, Stato e Utopia, né in altre opere. Abbiamo visto del resto che si occuperà pochissimo di filosofia politica negli anni successivi.
La questione, dunque, è fonte di varie interpretazioni. Jonathan Wolff ne propone tre. “La prima farebbe supporre che Nozick genericamente accetti la difesa che Locke fa della proprietà privata sulla base della sua teoria del ‘lavoro incorporato’ e benché egli critichi molte parti dell’argomentazione di Locke, una versione emendata della sua teoria gli pare accettabile. La seconda interpretazione prevede che Nozick rifiuti in toto l’argomentazione di Locke, concludendo però che una qualche versione della sua clausola limitativa sia una condizione necessaria per la giustificazione dell’appropriazione originaria (…) La terza interpretazione suggerisce che Nozick semplicemente accoglie e considera la clausola lockeana come condizione necessaria e sufficiente per giustificare una legittima appropriazione. Nessuna di queste interpretazioni sembra pienamente soddisfacente” – conclude Wolff anche se la terza sembrerebbe la più fedele allo spirito, se non anche alla lettera, del pensiero di Nozick.
Come abbiamo detto il punto di partenza di Locke è corretto ma incompleto. Anche la sua clausola limitativa è corretta ma agli occhi di Nozick appare troppo esigente. La clausola, ricordiamolo, richiede che dopo l’appropriazione originaria di un certo bene, la situazione di tutti gli altri non risulti peggiorata. Per il filosofo newyorkese tale requisito è, però, eccessivo. Al riguardo presenta l’esempio di un individuo che si appropria di materiali con cui costruisce beni attraverso i quali entrerà in concorrenza con un altro produttore di beni simili. La situazione del secondo individuo viene certamente “peggiorata” dalla presenza di un nuovo concorrente, ma questo “peggioramento” non può rappresentare una ragione sufficiente per considerare illegittima l’acquisizione originaria effettuata dal primo.
Nozick generalizza questo ragionamento attraverso un procedimento che i teorici dei giochi chiamano backward induction (induzione a ritroso), un ragionamento che funziona in questo modo: “Si consideri la prima persona Z per cui non sono più rimaste cose sufficienti e altrettanto buone di cui appropriarsi. L’ultima persona Y ad appropriarsi di qualcosa ha lasciato Z priva della sua precedente libertà di agire su un oggetto, e ha così peggiorato la situazione di Z. Così l’appropriazione effettuata da Y non è permessa dalla clausola limitativa di Locke. Dunque, la penultima persona X ad appropriarsi di qualcosa ha lasciato Y in una posizione peggiore, perché l’atto di X ha posto termine alla serie di appropriazioni ammissibili. Dunque, l’appropriazione effettuata da X non era ammissibile. Ma allora chi si è appropriato di qualcosa prima del penultimo, W, ha posto termine alla serie di appropriazioni ammissibili e quindi, siccome ha peggiorato la posizione di X, l’appropriazione effettuata da W non era ammissibile. E così via, a ritroso fino alla prima persona A che si è appropriata di un diritto di proprietà permanente” (p. 188). Se la clausola limitativa funzionasse in questo modo, come Nozick pensa faccia nella versione di Locke, sarebbe logicamente inapplicabile. Per questo occorre pensare ad una versione più sofisticata. Al riguardo Nozick fa notare che il danno che qualcuno potrebbe ottenere dall’appropriazione originaria di un certo bene da parte di qualcun altro può derivare da due processi distinti: “in primo luogo – scrive - perdendo l’opportunità di migliorare la propria situazione con un’appropriazione particolare o qualsiasi; e in secondo luogo, non essendo più in condizione di usare liberamente (senza appropriazione) ciò che in precedenza poteva usare”. Questa distinzione è importante perché mentre la clausola lockeana proibisce entrambe le condizioni, è possibile pensare ad una sua versione più debole che escluderebbe il secondo modo, ma non il primo. In virtù di questo requisito più debole, “benché la persona Z non possa più appropriarsi di alcunché, potrebbe esserle rimasto qualcosa da usare come prima” puntualizza Nozick. Ciò che sembra suggerire il filosofo con questo passaggio è che la situazione di chi viene escluso da un possesso non deve necessariamente peggiorare a seguito dei possessi degli altri. Questo può avvenire solo a patto che egli possa, pur non possedendoli, usare tali possessi o trarre da essi dei benefici che altrimenti non avrebbe potuto ottenere se tali possessi non si fossero stabiliti. È una versione del classico argomento a favore della proprietà privata e dei vantaggi comparati: se i beni vengono assegnati a chi li sa far fruttare meglio alla fine è possibile immaginare forme di compensazione o di scambio che generano mutuo vantaggio e consentono a chi possiede e a chi non possiede ma può usare, di stare complessivamente meglio. Ecco perché è possibile, continua Nozick, considerare legittima una situazione nella quale “Una persona i cui atti di appropriazione violerebbero altrimenti la clausola limitativa, può ancora effettuare l’appropriazione purché risarcisca gli altri in modo che la loro situazione non ne sia peggiorata; se non li risarcisce, la sua appropriazione violerà la clausola limitativa” (Anarchia, Stato e Utopia, Il Saggiatore, 1981, p. 194).
Possiamo concludere, dunque, che per Nozick la ragione della legittimità di una appropriazione originaria attraverso l’immissione del lavoro sta nel fatto che noi possediamo già il nostro lavoro, in modo non dissimile da come possediamo noi stessi e quindi mescolare inestricabilmente qualcosa che possediamo in maniera così originaria con qualcosa che ancora non possediamo ma su cui nessuno ha mai legittimamente rivendicato un titolo valido, fa di questa materia un nostro legittimo possesso. La proprietà di qualcosa che già possediamo - il lavoro – contagia, per così dire, ciò che nessuno ancora possiede e può farlo perché la natura della proprietà che possiamo rivendicare sul nostro lavoro è simile alla proprietà che possiamo rivendicare su noi stessi, cioè una proprietà originaria. Questo processo è del tutto legittimo ma solo a patto che venga rispettato il “principio di giustizia rettificatrice”, la clausola lockeana, cioè, nella sua versione “indebolita”. L’appropriazione originaria non deve limitare le opportunità di nessun altro e se questo dovesse avvenire sarebbe necessario provvedere ad una qualche forma di compensazione. Il dibattito intorno alla localizzazione delle centrali eoliche o ai parchi fotovoltaici, ai diritti delle comunità e dei singoli che perdono il possesso di quella terra e al ruolo e alle forme che dovrebbero prendere le compensazioni a loro beneficio, potrebbe uscire arricchito, credo, da una prospettiva sia pur minimale, di questo tipo.
Credits foto: © Diego Sarà