I Commenti de «Il Sole 24 Ore» - Mind the Economy, la serie di articoli di Vittorio Pelligra sul Sole 24 ore.
di Vittorio Pelligra
Pubblicato su Il Sole 24 Ore il 30/06/2024
Robert Nozick è il filosofo dello “stato minimo”. Pur partendo da una visione radicale dei diritti naturali ed in particolare dall’inviolabilità del diritto alla “proprietà di sé” egli sfugge a quella che sembrerebbe la naturale conseguenza politica di tale prospettiva – l’anarchia – mostrando, come abbiamo visto la settimana scorsa, che una visione minimale di stato è ciò a cui arriverebbero naturalmente gli individui che, nello stato di natura, dovessero iniziare, prima da soli, poi in gruppi sempre più numerosi ed organizzati, a procedere autonomamente a far rispettare i propri diritti e a punire coloro che li dovessero violare. Lo “stato minimo”, quindi è legittimo in quanto si occupa solamente di far rispettare i diritti naturali e di amministrare la giustizia. Ogni altra attività violerebbe i diritti dei singoli e sarebbe, dunque, illegittima, anche, per esempio, un’attività volta a promuovere una più equa distribuzione delle risorse o delle opportunità. Non c’è spazio, dunque, nello “stato minimo” per la giustizia? Affermare l’inviolabilità della “proprietà di sé” e di tutti gli altri diritti individuali che ne discendo e rinunciare ad ogni idea di promozione della giustizia sociale, o assegnare allo stato funzioni redistributive e rinunciare all’inviolabilità dei diritti. Questo sembra essere il dilemma che Nozick affronta nella seconda parte di Anarchia, Stato e Utopia. Un dilemma da quale esce proponendo la sua teoria della giustizia fondata sul “titolo valido” (entitlement theory of justice).
In questa serie di Mind the Economy dedicata all’idea di giustizia abbiamo discusso a lungo diverse possibili soluzioni al problema della “giustizia distributiva”, il problema, cioè, di come allocare risorse, opportunità e beni in una società affinché questa risulti, secondo il giudizio dei suoi cittadini, giusta. I principi che sono stati sviluppati nella storia anche recente sono molteplici, naturalmente: si può seguire il criterio dei bisogni, del merito, del lavoro compiuto, dell’impegno, della compensazione degli svantaggi derivanti dalla lotteria della nascita o, come suggerisce Rawls con il suo “principio di differenza”, il criterio che ci porta ad avvantaggiare i più svantaggiati. Non importa quale sia il principio di giustizia effettivamente adottato, comunque, questi presuppongono tutti un processo di redistribuzione: si toglie a qualcuno per dare a qualcun altro. La mancanza di consenso esplicito e la non-volontarietà di questa azione redistributiva la rende, agli occhi di Nozick, non dissimile da una rapina e siccome le risorse che vengono redistribuite sono frutto del lavoro di qualcuno, l’azione redistributiva configura oltre che la rapina anche una forma di schiavitù.
Come si capisce il giudizio non è leggero. Come è possibile, dunque, proprio alla luce di una posizione così radicalmente critica verso ogni forma di redistribuzione, che Nozick si faccia portatore di una sua originale teoria della giustizia distributiva?
Un primo punto di partenza è quello del riconoscimento del legame profondo che deve esistere tra il momento nel quale i beni e la ricchezza vengono prodotti e quello nel quale si pone il problema della loro distribuzione. Cioè Nozick inizia mettendo in discussione l’impostazione delle teorie della giustizia tradizionali per le quale è come se beni e ricchezza fossero lì pronti per essere distribuiti e come se nessuno avesse contribuito alla loro creazione. La distribuzione non può essere separata dalla produzione, ci dice Nozick. Questo passaggio gli consente di inserire un criterio di giustizia nella sua visione di “stato minimo”, perché tale idea di giustizia non prevede in realtà nessuna forma di redistribuzione (benché egli ne discuta in un paragrafo intitolato “giustizia distributiva”) e quindi nessuna violazione delle libertà individuali.
“Quel che ciascuna persona riceve – scrive Nozick - lo riceve da altri che glielo danno in cambio di qualcosa, oppure in dono. In una società libera, persone diverse controllano risorse differenti, e nuovi possessi sorgono dagli scambi e dalle azioni volontari delle persone. Non c’è un’attività distributiva o una distribuzione di quote più di quanto ci sia una distribuzione di partner in una società in cui sono le persone a scegliere chi sposare. Il risultato totale è il prodotto di molte decisioni individuali che i differenti individui coinvolti sono autorizzati a prendere” (Anarchia, Stato e Utopia, 1981, p. 163). Il punto centrale, dunque, è quello della legittimità della proprietà, dei “possessi” (holdings), come li chiama. Questo perché la sua visione della giustizia è una visione storica o procedurale e non, come l’utilitarismo, per esempio, una visione che si basa sugli stati finali.
Cosa vuol dire? Una teoria della giustizia che si basa sugli stati finali è interessata a valutare le proprietà e la natura di una certa distribuzione e a confrontarla con eventuali distribuzioni alternative. Immaginiamo due soggetti, Alice e Bruno, che possiedono 5 e 10 unità di un certo bene, rispettivamente. Quanto è giusta tale distribuzione? Per gli utilitaristi è giusta se massimizza la somma delle utilità di Alice e Bruno. Per cui certamente una distribuzione in cui Alice ha 4 e Bruno 9 unità sarà peggiori rispetto alla prima. Ma che dire, invece, di una terza distribuzione nella quale Alice ha 10 e Bruno 5. Questa potrebbe essere altrettanto giusta di quella iniziale dove le cifre erano invertite. All’utilitarista non interessa chi possiede cosa, fintantoché la somma delle utilità è massimizzata. Non importa all’utilitarista neanche come è avvenuto che Alice sia entrata in possesso dei suoi 10 beni e Bruno dei suoi 5, se li abbiano prodotti con il loro lavoro, ricevuti in dono, trovati per strada o acquistati. Ciò che conta è la distribuzione, lo stato finale.
Altre teorie della giustizia hanno, al contrario, una struttura storica o procedurale, perché tutti questi fattori hanno una loro rilevanza. Il fatto di aver prodotto con il proprio lavoro un certo bene non è equivalente al possederlo. Il fatto di meritarsi qualcosa o di averne bisogno àncora il processo di redistribuzione ad una dinamica che considera l’origine di quel possesso o di quel diritto al bene. Anche la teoria del “titolo valido” di Nozick ha una struttura storica nel senso che essa si basa fondamentalmente sulla storia dei “possessi”; sul modo in cui, cioè, si è acquisito il diritto di proprietà su quel determinato bene. “Il contenuto della giustizia nei possessi – scrive il filosofo - consiste di tre argomenti principali. Il primo è l’acquisizione iniziale dei possessi, l’appropriazione di cose non possedute. Ciò include la questione di come cose prive di possessore possono essere possedute; il processo, o i processi, mediante cui cose prive di possessore possono essere possedute (…) Ci riferiremo alla complicata verità su questo argomento (…) come al principio di giustizia nelle acquisizioni”. Si tratta, quindi, di valutare se tutti coloro che detengono il possesso di un dato bene hanno un “titolo valido” per farlo, perché l’hanno acquisito in maniera legittima producendolo o scambiandolo. Questo secondo aspetto, dello scambio, rientra nel secondo ambito di interesse della teoria della giustizia. “Il secondo argomento – scrive ancora Nozick - riguarda il trasferimento di possessi da una persona all’altra. Mediante quali processi una persona può trasferire possessi a un’altra persona? In che modo una persona può acquisire un possesso da un’altra che lo detiene? In questo argomento rientrano descrizioni generali dello scambio volontario, del dono e (all’altro estremo) della frode, così come il riferimento a convenzioni speciali consolidate in una data società. Chiameremo la complicata verità su questo argomento (con spazi previsti per convenzioni particolari) principio di giustizia nei trasferimenti” (p. 164). Il terzo principio, poi, è il cosiddetto “principio di giustizia rettificatrice”, di cui ci occuperemo più avanti.
In un mondo privo di frodi, furti o di inganni, i primi due principi, di acquisizione originaria e di legittimo trasferimento, sarebbero sufficienti a definire la giustizia nei “possessi”. Nozick, infatti, propone questa semplice argomentazione in tre passaggi: 1) una persona che acquisisce un possesso in conformità al principio di giustizia nelle acquisizioni ha titolo a quel possesso; 2) una persona che acquisisce un possesso in conformità al principio di giustizia nei trasferimenti, da qualcun altro che ha titolo a quel possesso, ha titolo al possesso; 3) nessuno ha titolo a un possesso se non mediante (ripetute) applicazioni di 1 e 2.
Il punto centrale della teoria del titolo valido di Nozick, quindi, è che un possesso è giusto se la sua proprietà è legittima, cioè, se è stato acquisito o trasferito in conformità con le procedure stabilite dai due principi. Per quanto riguarda il trasferimento di un bene, per esempio, questo è giusto solo se volontario. Nozick propone a questo riguardo un esempio che coinvolge un noto giocatore di basket americano, Wilt Chamberlain. Immaginiamo, suggerisce Nozick, di partire da una situazione nella quale ogni cittadino ha esattamente lo stesso reddito. Questa distribuzione, chiamiamola D1, è unanimemente considerata giusta. Ora, supponiamo che Chamberlain, in virtù della sua grande abilità e fama, riesca a spuntare un contratto di ingaggio particolarmente vantaggioso. Il contratto specifica che oltre alla remunerazione fissa il cestista riceverà venticinque centesimi per ogni biglietto venduto per assistere ad una partita della sua squadra. “La stagione ha inizio – continua Nozick - e la gente va allegramente a vedere le partite della propria squadra, lasciando cadere ogni volta venticinque centesimi del prezzo d’ingresso in una cassetta con scritto sopra il nome di Chamberlain. Sono tutti molto desiderosi di vederlo giocare, per loro vale l’intero prezzo d’entrata. Supponiamo che in una stagione assistano alle sue partite in casa un milione di persone, e Wilt Chamberlain concluda con 250mila dollari, una somma di gran lunga maggiore del reddito medio e maggiore perfino di quanto abbia chiunque altro”. Ora supponiamo che il reddito degli altri cittadini sia rimasto più o meno invariato rispetto all’anno precedente, dovremmo chiederci se la nuova distribuzione, chiamiamola D2, che vede Chamberlain in una posizione di grande vantaggio rispetto a tutti gli altri cittadini sia da considerare giusta oppure no. Secondo Nozick se la distribuzione D1 era giusta non può non esserlo anche D2 che deriva dalla prima ed è stata ottenuta da essa attraverso trasferimenti totalmente volontari, quindi legittimi, dei “possessi”. “Se D1, era una distribuzione giusta – conclude Nozick - e le persone si spostano volontariamente da questa a D2, trasferendo parte delle quote loro assegnate in D1, non sarà forse giusta anche D2?” (p. 174). È facile comprendere, quindi, perché la teoria del titolo valido ha natura storica o procedurale e come essa anteponga le procedure a qualsiasi stato finale possa derivarne. “Tutto ciò che deriva da una situazione giusta mediante mosse giuste è esso stesso giusto” (p. 165) sintetizza Nozick. In questo quadro ogni interferenza con la volontarietà delle transazioni determina l’insorgenza di una situazione di ingiustizia. Da qui ad affermare che “La tassazione dei guadagni da lavoro sta sullo stesso piano del lavoro forzato” (p. 181) il passo non è lungo. “Prelevare i guadagni di n ore di lavoro – prosegue Nozick - equivale a prelevare n ore dalla persona; equivale a costringere la persona a lavorare n ore per gli scopi di un altro” (ivi). E continua “Carpire i frutti del lavoro di qualcuno equivale a carpirgli delle ore di tempo e ad averlo sotto il proprio comando nello svolgimento di varie attività. Se la gente vi costringe a fare un certo lavoro, o lavoro non retribuito, per un certo periodo di tempo, sono loro a decidere cosa dovete fare e a quali scopi deve servire il vostro lavoro, indipendentemente dalle vostre decisioni. Il processo con cui prendono questa decisione al posto vostro li rende comproprietari di voi stessi; ciò dà loro un diritto di proprietà su di voi” (p. 184). Attraverso l’imposizione fiscale per finalità redistributive lo stato diventa vostro “comproprietario”, imponendo una vera e propria forma di schiavitù in aperta violazione del diritto alla “proprietà di sé”.
In questa prospettiva, dunque, qualunque forma di redistribuzione genera ingiustizia perché il principio del “titolo valido” afferma che una distribuzione può essere ritenuta giusta solamente se ognuno ha titolo ai possessi che quella data distribuzione prevede. E la legittimità di tali possessi, a sua volta, è specificata dal “principio di giustizia nei trasferimenti” che abbiamo discusso più sopra. Un prelievo forzoso di ricchezza come quello che si ha con l’imposizione fiscale viola la giustizia nei trasferimenti e genera, quindi, una situazione di ingiustizia. Analizzeremo a fondo, nelle prossime settimane, gli altri due principi fondamentali della teoria di Nozick: il “principio di giustizia nelle acquisizioni” che specifica come sia possibile acquisire un possesso in maniera originaria e il “principio di giustizia rettificatrice” che definisce i termini delle compensazioni per le quali si matura un titolo nel caso i cui i propri diritti vengano violati. Continueremo così ad cercare assieme a Robert Nozick la risposta alla sua domanda fondamentale “Se lo stato non esistesse, sarebbe necessario inventarlo?”.
Credits foto: © Francesca Zabotti