I Commenti de «Il Sole 24 Ore» - Mind the Economy, la serie di articoli di Vittorio Pelligra sul Sole 24 ore.
di Vittorio Pelligra
Pubblicato su Il Sole 24 Ore il 21/04/2024
La prima edizione di Una Teoria della Giustizia di John Rawls venne pubblicata nel 1971. Immediatamente ci si rese conto della sua portata e del suo valore. Il dibattito che suscitò fin da subito fu vasto e duraturo e per questo lo stesso Rawls continuò per molti anni a considerare Una Teoria, come un’opera in divenire. L’edizione che viene normalmente letta oggi fa riferimento a quella inglese, rivista e pubblicata nel 1999. Ma le revisioni iniziarono molto presto, a partire dall’edizione tedesca che uscì nel 1975. Sebastiano Maffettone, curatore dell’edizione italiana ha calcolato che Rawls ha revisionato circa 130 delle 600 pagine del testo originario. Le correzioni e le specificazioni che vengono introdotte riguardano innanzitutto il principio di libertà e la lista dei beni primari. Ci sono poi anche due cambiamenti più generali che modificano l’interpretazione della “posizione originaria” che viene considerata sempre più come un “artificio espositivo” che non un vero e proprio argomento deduttivo. Viene ripensato, infine, anche il rapporto tra la teoria della giustizia e la teoria della scelta razionale.
Originariamente Rawls era dell’idea che la prima dovesse essere pensata come parte integrante della seconda ma, progressivamente, si distacca da questa visione considerando sempre più la teoria della giustizia come una teoria a parte e per molti versi inconciliabile con la teoria della scelta razionale. Sempre Maffettone fa notare come quest’allontanamento si manifesta anche da un punto di vista lessicale: tutti i termini associati al verbo “scegliere” (choose) – con riferimento alla rational choice theory – vengono sostituiti con il verbo “concordare” (agree) e con i suoi derivati. Analogamente viene introdotta una distinzione netta tra ciò che è “razionale” e ciò che è “ragionevole” attribuendo, al contempo, preminenza al secondo sul primo. Infine, il principio di differenza viene via via dissociato dalla regola del maximin, una delle regole fondamentali della scelta razionale, con la quale originariamente era, invece, strettamente identificato.
Molte delle revisioni successive, dei ripensamenti e delle nuove idee che confluiranno nel secondo libro di Rawls, Liberalismo Politico pubblicato nel 1993 e poi in Giustizia come Equità. Una Riformulazione che uscirà nel 2001 nascono come risposte alle innumerevoli reazioni, ai commenti e alle critiche che scaturirono dopo la pubblicazione di Una Teoria. Scrive il filosofo Alan Ryan al riguardo: “Da quando A Theory of Justice è stata pubblicata nel 1971, ha scatenato più discussioni tra i filosofi ed è stata citata da sociologi, economisti, giudici e politici più di qualsiasi altra opera filosofica degli ultimi cento anni (…) I commenti a Rawls hanno rapidamente guadagnato lo status di una vera e propria “Rawlsindustry”. Nemmeno i critici più ostili si azzardarono a suggerire che queste valutazioni iniziali sull’importanza di Rawls fossero esagerate”. E i critici furono tanti e di primissimo piano, da Ronald Dworkin a Robert Nozick, da Brian Barry a Bruce Ackerman, gli economisti premi Nobel John Harsanyi e Amartya Sen, fino a Will Kymlicka e a David Gauthier.
La prima importante recensione critica fu quella del giurista britannico Herbert Hart il quale esordisce in questo modo: “Nessun libro di filosofia politica da quando ho letto i grandi classici dell’argomento ha stimolato i miei pensieri così profondamente come A Theory of Justice di John Rawls” (“Rawls on Liberty and Its Priority”. University of Chicago Law Review: Vol. 40, 1973). La profonda critica di Hart riguarda la priorità del principio di libertà che secondo lui Rawls impone ma non riesce a dimostrare come fondata su un argomento razionale. Ugualmente radicale e profonda è la critica che gli viene mossa da Robert Nozick l’anno dopo, rispetto alle minacce che possono derivare alle libertà costituzionali dall’applicazione del secondo principio di giustizia rawlsiano, il principio di differenza. Il tema era particolarmente rilevante perché l’impostazione libertaria di Nozick, in linea con le idee di Milton Friedman e Friedrich Von Hayek, ispirava politicamente i governi della Thatcher in Gran Bretagna e l’amministrazione Regan negli USA. Le critiche arrivarono da destra ma anche da sinistra. Non pochi autori di impostazione marxista presero di mira anch’essi il principio di differenza. Nonostante secondo Rawls tale principio dovesse essere interpretato come un baluardo a difesa degli interessi dei più svantaggiati, secondo alcuni come Robert Wolff e Gerald Allan Cohen, per esempio, la possibilità di considerare come giusta qualche forma di disuguaglianza non era tollerabile in nessun caso in quanto rendeva “di nuovo rispettabile la critica all’egualitarismo”. Ma probabilmente la critica più radicale e duratura arrivò a Rawls dal campo dei communitarians, i filosofi comunitaristi come Charles Taylor, Alasdair MacIntyre, Michael Sandel e per alcuni versi anche Michael Walzer.
La critica di Taylor prende di mira l’“individualismo asociale” e l’atomismo di Rawls. L’identità personale, per Taylor, non può essere separata dall’identità morale e culturale, dall’appartenenza a una comunità in cui le persone sono plasmate dalla loro adesione a pratiche e tradizioni morali. Una critica radicale che colpisce non solo Rawls, ma tutti i pensatori liberali. Una posizione che già, come abbiamo visto, Hegel faceva valere sul pensiero di Kant. MacIntyre e Walzer, invece, se la prendono con l’“universalismo astorico” che emerge da Una Teoria, con la sua incapacità di riconoscere come differenti culture e differenti tradizioni possono esprimere valori diversi in momenti storici differenti e che la nostra comprensione della bontà e della necessità di certe istituzioni è determinata da un’esperienza che è storica e collettiva.
La posizione più critica è quella espressa da Michael Sandel e si concentra sull’idea di unencumbered self, di un agente senza vincoli o legami. Un individuo distaccato dai propri fini e dalle proprie convinzioni morali che, secondo Rawls devono rappresentano l’oggetto di una libera scelta, mentre per Sandel non sono altro che le conseguenze di un’appartenenza culturale e storica. La critica si sviluppa poi intorno alla priorità che, kantianamente, Rawls assegna al giusto rispetto al bene. Scrive Sandel “In modi diversi, coloro che contestano la priorità del giusto contestano la concezione rawlsiana della persona come sé libero e indipendente, non gravato (unencumbered) da vincoli morali precedenti. Essi sostengono che una concezione del sé svincolato dai propri fini e dai propri legami non riesce ad attribuire un senso a molti degli aspetti importanti della nostra esperienza morale e politica. Alcuni obblighi morali e politici che comunemente riconosciamo – come gli obblighi di solidarietà, per esempio, o i doveri religiosi – possono interpellarci per ragioni che nulla hanno a che vedere con una scelta. Tali obblighi sono difficili da liquidare come meramente confusi, e tuttavia difficili da spiegare se consideriamo noi stessi come sé liberi e indipendenti, non vincolati da legami morali che non abbiamo scelto” (Review of Rawls’ Political Liberalism. Harvard Law Review 107, 1994). La questione della priorità del giusto rispetto al buono, dei diritti rispetto al bene, fa riferimento, quindi, alla possibilità che i diritti possano essere identificati e giustificati indipendentemente da ogni particolare concezione del bene. “Dal punto di vista filosofico – continua Sandel – le nostre riflessioni sulla giustizia non possono ragionevolmente essere separate dalle nostre riflessioni sulla natura della vita buona e sui fini umani più alti. Come questione politica, le nostre deliberazioni sulla giustizia e sui diritti non possono procedere senza riferimento alle concezioni del bene che trovano espressione nelle molteplici culture e tradizioni all’interno delle quali tali deliberazioni hanno luogo”.
L’atteggiamento di Rawls davanti alle critiche dei communitarians è difficile da valutare. Egli, infatti, non rispose mai direttamente a nessuno dei suoi commentatori su questi temi. Secondo alcuni perché tali critiche nascono da una lettura disattenta e malevola delle idee rawlsiane che egli vede distorte e fraintese. Secondo altri, come Catherine Audard, per esempio, la ragione sta nel fatto che “nella Parte III di A Theory of Justice, [Rawls] aveva già cercato di rispondere domande simili (…) le persone non possono agire semplicemente sulla base di un solo senso di giustizia; hanno bisogno di comprendere il bene della giustizia per agire di conseguenza, una visione molto più vicina alla difesa comunitarista dei doveri e degli obblighi verso la propria comunità e le proprie tradizioni culturali (…) In un certo senso, la svolta comunitarista di Rawls stava emergendo prima che nascesse il comunitarismo stesso” (Rawls, Acumen, 2007).
Ma che dibattito fu allora, se i comunitaristi fraintesero le idee di Rawls ed egli non rispose mai direttamente alle loro critiche? Nonostante questo, fu dibattito vero e non rappresentò certo una perdita di tempo. Se da una parte forse la lettura che i comunitaristi diedero di Rawls non è stata particolarmente accurata e rispettosa, una lettura accurata delle tesi comunitariste può portare a considerare importanti molte delle loro obiezioni e i problemi a cui fanno riferimento come problemi seri. E se anche non sempre centrate le loro critiche sono state feconde. Come riconoscono Stephen Mulhall e Adam Swift “E’ stato solo grazie alla necessità di rispondere alle obiezioni dei comunitaristi – confutandole, accogliendole o semplicemente affermando che Rawls non aveva mai sostenuto il punto di vista contestato – che i difensori di Rawls sono potuti arrivare a comprendere meglio ciò che stavano difendendo. La critica comunitarista, quindi, ha forzatamente imposto un’enfasi più esplicita, e forse anche una più chiara autocomprensione, del modo in cui la teoria liberale è sostenuta da ragioni non molto differenti da quelle che stanno a cuore ai comunitaristi stessi” (Cambridge Companion to Rawls, CUP, 2002).
Una convergenza non certo totale quella tra le posizioni di Rawls e le concezioni comunitariste, ma certo un avvicinamento, soprattutto con la pubblicazione di Liberalismo Politico, che cerca di tener conto non solo delle critiche “interne” alla teoria ma anche di quelle che esternamente vengono portate alla società liberale. I nuovi movimenti sociali degli anni ‘80, per esempio, fanno comprendere a Ralws in maniera evidente quanto le questioni legate alle identità e alle culture influenzano concezioni differenti di giustizia. Sottolinea a questo proposito Catherine Audard che “Per il femminismo, i movimenti per i diritti dei gay e i gruppi di consapevolezza razziale, il mancato riconoscimento dell’importanza delle identità e delle differenze è probabilmente altrettanto significativo quanto lo sfruttamento e la povertà come fonte di ingiustizia”. Queste le radici che daranno poi vita alla “svolta politica” di Rawls che si affermerà in Liberalismo Politico dove il problema teorico di una società giusta e “ben ordinata” si trasforma in problema politico che riguarda il modo in cui “una società stabile e giusta di cittadini liberi ed uguali, profondamente divisa da dottrine religiose, filosofiche e morali tutte ragionevoli ma incompatibili fra loro” possa svilupparsi, rimanere stabile e godere di piena legittimità.