I Commenti de «Il Sole 24 Ore» - Mind the Economy, la serie di articoli di Vittorio Pelligra sul Sole 24 ore.
di Vittorio Pelligra
Pubblicato su Il Sole 24 Ore il 20/08/2023
John Stuart Mill è in genere considerato un pensatore utilitarista, ma la sua critica a Bentham, il padre ufficiale di quella corrente di pensiero, è così profonda che si potrebbe supporre il suo sia un approccio del tutto originale e indipendente dall'utilitarismo di Bentham. Se quest'ultimo fu un bambino prodigio - a 12 anni frequentava già l'Università di Oxford - Mill non fu da meno. Educato esclusivamente in casa dal padre James, anch'egli intellettuale di primo piano, amico di David Ricardo, Jean-Baptiste Say e dello stesso Bentham. Il giovane John divenne molto presto precettore dei suoi fratelli più piccoli.
Non volle mai frequentare né Oxford né Cambridge per mantenere la sua indipendenza dalla chiesa anglicana. Pubblicò il suo primo saggio a sedici anni e fondò la prima rivista, la Westminister review, all'età di diciotto. Fu amico di Compte e Tocqueville, padrino di battesimo del piccolo Bertrand Russell e divenne rettore dell'Università di St. Andrews in Scozia.
La sua rottura con il pensiero di Bentham fu lenta, a tratti titubante e mai radicale. Secondo l'interpretazione di Rawls questo avvenne per due ragioni principali: innanzitutto perché Mill si diede come missione quella di educatore del futuro ceto politico che avrebbe governato la cosiddetta “società organica” di una nuova e imminente fase storica caratterizzata da pace e armonia. Per potersi rivolgere a questo uditorio ed essere letto e compreso i suoi scritti non potevano essere troppo originali e difficili. Altrimenti avrebbe perso i suoi lettori e fallito la sua missione. C'è anche una seconda ragione, più personale: il rapporto con il padre, severo ed esigente e amico e collaboratore di Bentham. Per lui la rottura definitiva del figlio con le posizioni del maestro, avrebbe rappresentato, da una parte una delusione umana e dall'altra, avrebbe dato forza ai suoi avversari politici, i Tories, che avevano una posizione filosofica opposta.
Welfarismo e il consequenzialismo
L'utilitarismo classico, ne abbiamo parlato a lungo le settimane scorse, si definisce intorno a due dimensioni fondamentali: il welfarismo e il consequenzialismo. Rispetto al primo punto scrive Mill nelle sue Osservazioni sulla filosofia di Bentham (1833) “I principi primi [...] sono questi; – che la felicità, con il quale termine si intende il piacere ed evitare il dolore, è l'unica cosa desiderabile in sé; che tutte le altre cose sono desiderabili sono come mezzi per tale fine: che la produzione, quindi, della maggiore felicità possibile è l'unico principio adeguato di ogni pensiero e ogni azione umana, e di conseguenza di ogni morale e ogni governo; e inoltre, che il piacere e il dolore sono i soli fattori dai quali sia governata la condotta umana”.
La felicità intesa edonisticamente come piacere o come assenza di dolore deve essere assunta, dunque, quale misura ultima di ciò che è buono e ciò che non lo è. Il secondo aspetto, il consequenzialismo, invece, riguarda il fatto che la bontà delle azioni deve essere valutata esclusivamente sulla base delle conseguenze che tali azioni producono. Se un'azione genera più felicità o utilità di un'altra, allora la prima è da ritenersi migliore dell'altra. Una posizione definita come “principio delle conseguenze specifiche”. Entrambe le posizioni vengono criticate da Mill e superate con una visione più inclusiva e complessa dei concetti di “utilità” e di “conseguenza”.
Per quanto riguarda la dimensione edonistica della felicità Mill supera le considerazioni di Bentham fondate sulla quantità e sull'intensità di piacere, con una visione capace di cogliere la diversità anche nella qualità dell'esperienza. Il piacere che si trae da una partita di bocce non è, suggerisce Mill, comparabile con il piacere derivante da un'esperienza di contemplazione artistica. Le due esperienze hanno qualità differenti che le rendono difficilmente confrontabili tra loro. Questo pone un problema importante all'impostazione del “calcolo felicifico” di Bentham. Dobbiamo preferire molti piaceri di rango inferiore o pochi di rango superiore? E, analogamente, da un punto di vista sociale, come valutare le politiche in base alla qualità della felicità che esse promuovono?
Qui Mill fa riferimento alla figura del “giudice competente”. Dovremmo far decidere al riguardo a chi ha vissuto e ripetutamente esperienze del tipo di quelle che vanno valutate, ha provato piaceri alti, quelli bassi, perché solo l'esperienza effettiva può aiutare a classificare in termini di felicità le conseguenze delle azioni e solo la capacità di “simpatia”, può mettere tali “giudici” nelle condizioni di immaginare l'effetto che queste esperienze possono avere sugli altri.
Qualità morale dell’azione
La seconda critica che Mill muove all'utilitarismo benthamita riguarda il suo consequenzialismo. Se da una parte il consequenzialismo libera finalmente il ragionamento etico dalle imposizioni della tradizione morale di stampo aristotelico, dall'ipse dixit e dalle concezioni di giustizia di derivazione divina, allo stesso tempo sembra ridurne il campo di applicazione ad un numero di casi molto ristretto. Non sempre, infatti, è possibile in maniera univoca identificare le conseguenze dirette di un'azione e nel caso in cui questo non sia possibile, l'utilitarista deve rimanere silente circa la qualità morale di quella stessa azione rispetto alle alternative.
Mill supera questo problema proponendo di espandere l'idea stessa di “conseguenza”. Se la felicità non è più solo piacere ma uno stato mentale di benessere non edonico, allora tale stato mentale può essere associato non solo alle conseguenze di certe azioni ma anche al compimento di quelle stesse azioni. Un piacere che deriva dal fare qualcosa piuttosto che dalle mere conseguenze di quel fare. Un'azione virtuosa, la creazione intellettuale, la contemplazione del bello, il gioco, sono alcuni degli esempi di attività nelle quali, il piacere dell'azione e quello associato alle conseguenze sfumano l'uno nell'altro, fondendosi.
La posizione di Mill differisce da quella di Bentham anche rispetto allo scopo più generale della riflessione filosofica. Bentham era un giurista ed un riformatore sociale; Mill pensava a sé stesso come ad un educatore. Mentre il primo era interessato a trovare meccanismi – premi e punizioni, principalmente - capaci di indurre i cittadini verso azioni capaci di far aumentare la felicità sociale e dissuaderli da una condotta che produce sofferenza, il secondo si concentra sulla crescita umana di cittadini dotati di una personalità e di un carattere da plasmare e valorizzare e sulla natura delle istituzioni che possono concorrere a tale scopo. “La teoria delle istituzioni organiche e delle forme generali della società politica - scrive Mill nelle Osservazioni - devono essere viste come i grandi strumenti per formare il carattere nazionale, per condurre i membri della comunità verso la perfezione, o per preservarli dalla degenerazione”.
Epoche organiche ed epoche di crisi
Ma c'è anche un'altra critica di carattere più generale che Mill muove a Bentham e che riguarda la sua lettura del tempo e dell'interazione tra istituzioni politiche e società. Mentre come abbiamo detto Bentham si vedeva come un riformatore sociale, Mill aveva la vocazione dell'educatore in funzione di una nuova “epoca organica”. Aveva preso questa espressione - “Epoca organica”, contrapposta alle “epoche di crisi” - da Saint Simon, il quale voleva indicare con questo termine quelle epoche storiche caratterizzate dalla pace e dall'armonia tra le genti società, equilibrate e fondate su una filosofia coerente e condivisa. Mill era convinto che il suo compito fosse quello di favorire, attraverso la diffusione di una morale appropriata e l'insegnamento della sua filosofia ai futuri ceti politici, l'avvento di una nuova epoca organica caratterizzata da una democrazia diffusa, da un sistema economico industriale, da una economia di mercato e dall'assenza di una religione di stato.
Alla luce di questa visione Mill rimprovera a Bentham, nonostante il suo impegno riformatore, l'incapacità a considerare le istituzioni politiche e sociali quali strumenti di cambiamento e, contemporaneamente, oggetto di cambiamento, perché i cittadini e le istituzioni co-evolvono, influenzandosi storicamente a vicenda.
La critica a Bentham viene elaborata molto presto nella vita di Mill che poi si dedicherà a sistematizzare le sue idee in lavori importanti a dall'influenza duratura come il Saggio sulla Libertà pubblicato nel 1859 e Utilitarismo, pubblicato solo due anni dopo. Sarà in questo ultimo lavoro, in particolare, che Mill affronterà “l'unica vera difficoltà della teoria utilitarista della morale”: una coerente concezione della giustizia.