Mind the economy

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Comunicare per cooperare. Quando le norme sociali fanno la differenza

I Commenti de "Il Sole 24 Ore" - Mind the Economy, la serie di articoli di Vittorio Pelligra sul Sole 24 ore

di Vittorio Pelligra

pubblicato su Il Sole 24 ore del 22/05/2022

Il processo di produzione volontaria di un bene pubblico è diventato in questi anni il campo di prova nel quale gli economisti sperimentali esplorano il funzionamento di quei fattori che influenzano positivamente o negativamente la nostra innata tendenza alla cooperazione. In condizioni di totale anonimato e in assenza di qualunque forma di comunicazione, ciò che osserviamo è una iniziale disponibilità a cooperare che però si affievolisce con il passare del tempo. La spiegazione prevalente al riguardo è quella relativa alla cosiddetta “cooperazione condizionale”.

Le persone sono differenti. Differiscono anche rispetto alla loro naturale predisposizione al fare le cose con gli altri. In particolare, osserviamo una certa quota di soggetti che si comportano da free riders duri e puri, cioè sono indisponibili a cooperare qualunque cosa facciano gli altri e poi osserviamo un'altra quota, prevalente, si soggetti che, invece, si dimostrano propensi a cooperare se vedono gli altri cooperare e, viceversa, fanno un passo indietro se si accorgono di essere circondati da free riders, da individui, cioè, che cercano di sfruttare opportunisticamente i benefici della cooperazione senza sostenerne alcun costo.

L'interazione tra cooperatori condizionali e free riders duri e puri spiega ciò che invariabilmente si osserva negli esperimenti nei quali, attraverso il cosiddetto public good game, si analizzano tali situazioni: i gruppi iniziano a cooperare, ma poi, lentamente, la cooperazione si riduce fino a convergere verso il livello previsto dalla teoria, cioè zero.

Nella maggioranza di questi esperimenti viene esplicitamente esclusa la possibilità di comunicare tra i membri dei gruppi. Questo è strano, visto che la capacità di comunicare e di veicolare intenzioni e desideri e di fare promesse è una caratteristica distintamente umana che può giocare al riguardo un ruolo cruciale.

E, infatti, quando la possibilità di comunicare viene presa in considerazione le cose sembrano cambiare radicalmente. Uno dei primi studi ad esaminare gli effetti della comunicazione nell'ambito di un public good game è stato quello condotto nel 1988 dai due economisti statunitensi Mark Isaac e James Walker (Communication and free-riding behavior: the voluntary contributions mechanism”. Economic Inquiry 26, pp. 585–608, 1988).

Nell'ambito del loro esperimento, mentre un gruppo di soggetti era posto davanti alla scelta tra cooperare e non cooperare in condizioni di anonimato, ad un secondo gruppo veniva posta la stessa scelta, ma a questi era consentito comunicare tra loro. Mentre nel primo trattamento si osserva il consueto decadimento del livello di cooperazione, una volta che si introduce la comunicazione le cose si modificano fino al punto che la contribuzione media al bene pubblico raggiunge livelli estremamente elevati.

Cos'è cambiato ora che i soggetti possono comunicare tra di loro? In un successivo esperimento, Olivier Bochet e Louis Putterman (“Not just babble: opening the black box of communication in a voluntary contribution experiment”. European Economic Review 53, pp. 309‒26, 2009) provano a verificare se la differenza nel comportamento osservato possa essere dovuta al ruolo delle promesse.

I due economisti danno ai loro partecipanti la possibilità di comunicare tra di loro, ma ad un gruppo viene consentito esplicitamente di formulare delle promesse circa il loro livello di investimento nel bene pubblico. I dati ottenuti, però, mostrano che in realtà l'effetto delle promesse non è statisticamente significativo. È la comunicazione, dunque, non tanto la possibilità di formulare promesse, a fare la differenza. Ma cos'è, dunque, questo “di più” che fa crescere la nostra disponibilità a cooperare quando è possibile comunicare?

Un indizio importante arriva da un altro esperimento, condotto, questa volta da Cristina Bicchieri e da Azi Lev-On (“Computer-mediated communication and cooperation in social dilemmas: an experimental analysis”. Politics, Philosophy & Economics 6, pp. 139–68, 2007).

Le conclusioni del loro studio sembrano mostrare che l'efficacia della comunicazione è legata non tanto alla possibilità di formulare delle promesse, come anche Bochet e Putterman avevano concluso, quando alla sua capacità di attivare quelle norme sociali che impongono il rispetto di quelle stesse promesse.

In un ambiente dove è consentita la comunicazione faccia a faccia, la formulazione di una promessa è, infatti, spesso rafforzata da un'ampia gamma di segnali contestuali: una stretta di mano, una strizzatina d'occhio, lo scambio di uno sguardo d'intesa.

La possibilità di una forma così ricca di comunicazione si è visto essere positivamente correlata con l'affidabilità dei soggetti e, d'altro canto, consente una migliore valutazione delle intenzioni e della credibilità dei partner.

Forme troppo semplificate di comunicazione, per esempio la comunicazione via messaggi di testo, o addirittura la sua assenza, inibisce la trasmissione di questi segnali complessi, ricchi e altamente informativi, riducendo, in questo modo, la capacità di interpretare le intenzioni dei nostri partner e rendendoci più guardinghi, se non apertamente diffidenti e, quindi, meno cooperativi.

Ecco perché la creazione di canali di comunicazione capaci di veicolare tutto il ricco repertorio di segnali verbali e non-verbali che gli esseri umani possono trasmettere è dunque una strategia essenziale per favorire l'insorgenza della cooperazione nei gruppi, anche quando gli incentivi materiali potrebbero spingere i soggetti nella direzione opposta.

Un messaggio nient'affatto trascurabile in un'era di iper-connessione e di ipo-comunicazione come la nostra. Un tempo, cioè, nel quale siamo perennemente in contatto con gli altri, ma attraverso mezzi che limitano fortemente le nostre capacità espressive. E, chissà, forse è anche per questo che la conflittualità sembra aumentare e la polarizzazione caratterizzare sempre più le nostre relazioni.

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