Mind the economy

0

Medici, tassisti e riparatori. Perché ciò che ci vendono è un “bene di fiducia”?

I Commenti de "Il Sole 24 Ore" - Mind the Economy, la serie di articoli di Vittorio Pelligra sul Sole 24 ore

di Vittorio Pelligra

pubblicato su Il Sole 24 ore del 23/01/2022

Cos'è un bene economico? Sembra una di quelle domande banali tipo “cos'è un numero?” o “cos'è la vita?”. Tanto banali che dopo secoli di riflessione filosofica e scientifica ancora non hanno trovato una risposta univoca e condivisa.

Sono domande che rispondono a quella logica cui faceva riferimento Bertrand Russell quando sosteneva che le cose più difficili da vedere con chiarezza non sono solo quelle più lontane da noi, sconosciute, ma anche quelle più vicine e familiari. Certo quella della natura di un bene economico non è una questione così intrigante come quella del vero significato di un numero o dell'essenza della vita, ma è comunque un problema che ha creato non poche difficoltà agli specialisti, tanto da dar vita a complesse classificazioni.

Le classificazioni dei beni

La prima e più nota è quella che si costruisce utilizzando i concetti di “rivalità” e di “escludibilità”. Un bene è detto “rivale” se si consuma con l'uso. Una pizza è rivale, perché se la mangio io non la potrà mangiare nessun altro. Un paesaggio o una trasmissione televisiva, invece no, perché il fatto che ne usufruisco io non impedisce ad altri di farlo. Un libro è rivale, perché se lo leggo io nessun altro potrà farlo contemporaneamente, ma la storia che vi è raccontata invece no, perché questa non si consuma raccontandola.

L'escludibilità, invece, riguarda la possibilità di escludere legittimamente un certo agente dal godimento di un determinato bene. Se compro una pizza posso legittimamente impedire che qualcun altro me la mangi. Se compro un'auto posso escludere altri dal suo utilizzo. Questi sono beni escludibili.

Se faccio una passeggiata al parco, invece, se pesco in mare o vedo i miei diritti di proprietà protetti dal sistema giudiziario, non posso legittimamente impedire che altri godano degli stessi beni e servizi. Utilizzando questi due semplici criteri è facile costruire una classificazione con la quale definire come “privati” quei beni che sono sia escludibili che rivali, come “pubblici” i beni che, all'opposto, non sono né rivali né escludibili, come “comuni” i beni che si consumano ma non sono escludibili. Poi rimane un'altra categoria: quella dei beni non rivali ed escludibili nella quale rientrano cose come la pay TV, le autostrade, un film visto al cinema, etc., beni che vengono chiamati “di club” o “tariffabili”.

Le nuove categorie

Più recentemente, a metà degli anni '70 del secolo scorso, negli anni della “rivoluzione dell'informazione”, l'economista Philip Nelson ha affiancato a quello della rivalità e a quello dell'escludibilità un altro criterio di classificazione, basato sull'idea di informazione, appunto (“Information and Consumer Behavior”, 78(2) Journal of Political Economy 311-329, 1970). Introducendo questo criterio - il grado, la quantità e la qualità di informazioni che si possiedono su quel determinato bene o servizio - possiamo distinguere tre nuove categorie: i “beni di esperienza” (experience goods), beni e servizi, cioè, la cui qualità può essere conosciuta solo dopo aver effettuato l'acquisto e averli goduti o consumati: una cena al ristorante, una vacanza, un nuovo taglio dal parrucchiere.

Poi ci sono i cosiddetti “beni di ricerca” (search goods). Sono quelli le cui qualità possono essere conosciute prima dell'acquisto, ma di cui, spesso, ignoriamo l'esistenza. Sono beni che vanno cercati: un particolar abito, una casa, uno scorcio suggestivo in una città sconosciuta.

Qualche anno dopo l'intuizione di Nelson, altri due economisti, Michael Darby ed Edi Kami, utilizzando sempre il criterio dell'informazione identificano un'altra categoria di beni, i “beni di fiducia” (credence goods), con la quale si indicano quei beni o servizi di cui i consumatori non possono verificare precisamente le caratteristiche neanche dopo averli acquistati: non possono sapere, cioè, con certezza se il cibo che hanno mangiato è realmente biologico o no, se quella particolare marca di tonno pratica una pesca sostenibile o se l'elettricità che stanno acquistando è veramente ottenuta da fonti rinnovabili. Allo stesso modo è complicato valutare la qualità di una tutela legale, una consulenza finanziaria, l'appropriatezza di una diagnosi medica; lo stesso vale per la riparazione di un computer, dell'auto o, perfino, per una corsa in taxi.

I rischi connessi ai credence good

Questa terza categoria di beni, i “credence good”, è particolarmente interessante per il discorso che stiamo affrontando ormai da diverse settimane su “Mind the Economy” e che riguarda le inefficienze originate da una distribuzione asimmetrica dell'informazione, perché questa tipologia di beni si rivela essere estremamente vulnerabile al rischio di azzardo morale, a comportamenti, cioè, caratterizzati da opportunismo post-contrattuale.

Nel caso dei “credence good”, infatti, è estremamente complicato, perfino impossibile, verificare da parte del compratore se il venditore abbia rispettato i termini del contratto oppure li abbia violati. Questo perché i termini del contratto, in questi casi, sono così vaghi da rendere problematica la loro verifica.

Quando portate il vostro computer dal tecnico per una riparazione, di solito il tecnico, dopo averlo riparato, vi riconsegna il computer funzionante assieme al pezzo, un hard-disk, un banco di memoria, etc., che era danneggiato e che è stato necessario sostituire. Questo, in genere, per una ragione di trasparenza. Per segnalare al cliente che tipo di intervento è stato eseguito e per dargli la possibilità di verificare che il pezzo sostituito fosse davvero da sostituire.

Naturalmente nessun utente, in genere, è in grado di verificare se quella memoria o quell'hard-disk che sono stati riconsegnati fossero realmente la causa del guasto e se l'intervento effettuato ci è stato fatto pagare in maniera congrua. Lo stesso vale per i servizi che acquistiamo dal commercialista, dal medico o dal tassista.

Tre possibili tipi di inefficienze

Le inefficienze che si possono verificare in questi casi possono riguardare la natura della prestazione – va cambiata la memoria, solo l'hard-disk o l'intera scheda madre? – ma anche il prezzo che ci viene fatto pagare, giusto o sproporzionato rispetto ad un lavoro di cui non riusciamo a valutare il reale contenuto. Il primo caso viene definito “over-treatment”, quando il problema si sarebbe potuto risolvere con poco e invece si è optato per un intervento più radicale.

Nel secondo caso, invece, siamo davanti ad un esempio di “under-treatment”, quando ci sarebbero volute, per esempio, ulteriori analisi per approfondire, ma il medico va al risparmio col suo tempo e si accontenta di prescriverci una terapia sulla base di elementi incompleti. In sostanza, quando siamo in presenza di “beni di fiducia” possono sorgere questi due problemi: il consumatore richiede un intervento sofisticato, complesso, costoso, ma riceve, senza saperlo, un trattamento più basilare, semplice e non all'altezza delle aspettative e certamente meno soddisfacente dell'intervento sofisticato (under-treatment).

Un secondo tipo di problema sorge per la situazione opposta: il consumatore ha bisogno di un trattamento poco costoso, ma ne riceve, invece, uno sofisticato. In questi casi, di solito, i vantaggi per il consumatore legati all'intervento sofisticato sono inferiori ai costi addizionali che è costretto a sostenere (over-treatment).

C'è poi, naturalmente, la questione puramente monetaria della faccenda, quando un consumatore richiede e riceve un trattamento poco costoso ma lo paga come uno costoso, visto che, data l'asimmetria informativa, non è in grado di valutare la congruità né dell'intervento, né del suo prezzo. Questo terzo è il fenomeno detto “over-charging”. Una delle conseguenze di questo terzo problema riguarda il fatto che i consumatori possono scegliere di rimandare o di rinunciare alla riparazione dell'auto o, peggio, alle visite mediche a causa dei prezzi elevati che hanno dovuto pagare, ingiustificatamente, per questo genere di servizi nel passato.

Cosa determina i rischi

Detto questo, il primo passo necessario per comprendere la logica dei “credence goods” è quello di individuare gli elementi che determinano il rischio di “over-treatment” e di “under-treatment”. Immaginiamo di essere il meccanico e che i nostri clienti, come capita in genere, non siano in grado di valutare la qualità della riparazione che eseguiamo. La condizione minima richiesta è che dopo la riparazione l'auto funzioni correttamente, o almeno sembri. Questa condizione minimale, già di per sé, esclude la possibilità di “under-treatment”, cioè che l'auto subisca una riparazione non sufficiente a ripristinarne la funzionalità.

L'unica cosa che può fare il meccanico “furbetto” è sostenere la necessità di una riparazione costosa e difficile anche quando basterebbe un piccolo intervento. Se il cliente accetta la proposta riceverà un intervento minore pagandolo come se fosse una riparazione costosa. In questo caso, l'asimmetria informativa determina una situazione nella quale, proprio perché il consumatore ha accettato la riparazione costosa, il meccanico ha interesse a fornirgli quella più economica. Un conflitto di interessi che il classico meccanismo del prezzo non riesce a risolvere.

Per mitigare il problema dell'“under-treatment” vengono utilizzati, allora, vari strumenti legali: le garanzie, per esempio, o il controllo da parte degli ordini professionali. Si pensi al ruolo del Giuramento di Ippocrate nella professione medica o alla separazione necessaria tra il medico che prescrive i farmaci e la farmacia che li vende. Questa separazione è pensata per aiutare a prevenire il fenomeno dell'“over-treatment”, proprio grazie alla separazione dell'incentivo a prescrivere i farmaci dal profitto che si otterrebbe vendendoli. Anche le tariffe dei taxi sono, in genere, congegnate in modo tale da rendere sconveniente per il tassista far fare al cliente una corsa inutilmente lunga e costosa perché, data la struttura della tariffa, il tassista guadagnerebbe di più da tante corse brevi.

I comportamenti scorretti esistono

Questo per quanto riguarda la teoria, ma, empiricamente, quanto sono diffusi questi fenomeni? Quanto la presenza di “beni di fiducia” genera davvero opportunismo post-contrattuale? La cronaca è piena di evidenza aneddotica al riguardo: dal tassista romano che pretende 40 euro per una corsa dal Colosseo a Piazza di Spagna, al chirurgo milanese che, intercettato, diceva di aver «provocato la rottura di un femore ad una paziente settantottenne» operata nel pubblico, per allenarsi in vista di un intervento nella clinica privata.

A parte le notizie di cronaca, da vari studi emerge che, in presenza di “beni di fiducia”, la preoccupazione per il rischio di comportamenti opportunistici, quando non apertamente fraudolenti, non è affatto infondata. L'economista svizzero Winand Emons, per esempio, riporta i risultati di uno studio che mostra come la probabilità media di subire un intervento chirurgico (a pagamento) cresce di un terzo se il paziente non è un medico o un familiare di un medico (“Credence Goods and Fraudulent Experts.” RAND Journal of Economics, 28(1), pp. 107-19, 1997).

Un'indagine condotta dal Department of Transportation degli Stati Uniti su un campione di 62 grandi officine ha rilevato che il 53% dei loro guadagni derivava da riparazioni inutili (Wolinsky A., “Competition in a Market for Informed Experts' Services”, RAND Journal of Economics, 24(3), pp. 380-98, 1993).

In un famoso studio condotto da Victor Fuchs, professore emerito alla Stanford University, si dimostra che è l'offerta di chirurghi a guidare la domanda di interventi. Il che significa che si fanno più interventi, a parità di altre condizioni, perché ci sono più medici che devono guadagnare. I dati mostrano che al crescere del 10% del rapporto chirurghi/popolazione il numero di operazioni cresce del 3% (“The Supply of Surgeons and the Demand for Operations.” Journal of Human Resources, 13: 35–56, 1978).

L'esistenza di “credence goods”, come si vede, può creare problemi molto seri ai mercati nei quali vengono prodotti e forniti beni e servizi essenziali, per questo la comprensione della loro natura e del loro funzionamento è un tema davvero importante che, infatti, negli ultimi anni ha attirato l'attenzione di molti economisti che hanno iniziato a studiarli usando metodi sperimentali rigorosi e soprattutto capaci di individuare gli effetti causali che possono spiegare questi fenomeni. Vedremo la prossima settimana i risultati di alcuni di questi studi condotti proprio su tassisti, riparatori di computer e meccanici. Fidarsi o non fidarsi?

Image

SFOGLIA L'ARCHIVIO

Lingua: ITALIANO

Filtro Categorie Archivio

Seguici su:

Rapporto Edc 2018

Rapporto Edc 2018

SCARICA I DOCUMENTI

SCARICA I DOCUMENTI

L’economia del dare

L’economia del dare

Chiara Lubich

"A differenza dell' economia consumista, basata su una cultura dell'avere, l'economia di comunione è l'economia del dare..."

Le strisce di Formy!

Le strisce di Formy!

Conosci la mascotte del sito Edc?

Il dado per le aziende!

Il dado per le aziende!

La nuova rivoluzione per la piccola azienda.
Scarica la APP per Android!

Chi è online

Abbiamo 1055 visitatori e nessun utente online

© 2008 - 2024 Economia di Comunione (EdC) - Movimento dei Focolari
creative commons Questo/a opera è pubblicato sotto una Licenza Creative Commons . Progetto grafico: Marco Riccardi - edc@marcoriccardi.it

Please publish modules in offcanvas position.