I Commenti de "Il Sole 24 Ore" - Mind the Economy, la serie di articoli di Vittorio Pelligra sul Sole 24 ore
di Vittorio Pelligra
pubblicato su Il Sole 24 ore del 28/11/2021
Nel 1921, esattamente cento anni fa, lo scrittore inglese D.H. Lawrence, autore tra gli altri de L’amante di Lady Chatterley, assieme alla moglie Frieda, compie un viaggio in Sardegna. Ne fornisce il resoconto nel bellissimo Mare e Sardegna (Illisso). «Prenderemo il treno delle Secondarie ovunque esso vada», scrive. «Era meraviglioso correre nel luminoso mattino verso il cuore della Sardegna. Salivamo sempre. La linea faceva grandi curve così che quando si guardava fuori dal finestrino, più di una volta si trasaliva vedendo un trenino correre davanti a noi, in direzione divergente, tra grandi sbuffi di vapore. Ma guarda, era la nostra piccola motrice che si lanciava in una curva lì davanti (…) È una strana ferrovia – continua lo scrittore - mi piacerebbe sapere chi l’ha costruita. Sfreccia su per le colline e giù per le valli e attorno a curve improvvise con la massima noncuranza, non come fanno le vere, grandi ferrovie, che avanzano grugnendo in profonde trincee e appestando l’aria nelle gallerie, ma corre su per una collina come un cagnetto affannato, e si guarda attorno, e parte in un’altra direzione scuotendoci dietro a lui, con grande indifferenza. Questo sistema è molto più divertente di quello a gallerie e trincee».
La lezione del «trenino verde»
Il viaggio si rivela affascinante e divertente per Lawrence e la moglie, certamente più che se la ferrovia fosse stata una «vera, grande» ferrovia, con gallerie per oltrepassare le montagne e viadotti per superare le vallate. E invece il «trenino verde», così oggi si chiama quella linea, costeggia tortuosamente le spalle dei colli, si inerpica sui pendii aspri e scoscesi e percorre, per questa ragione, nel doppio del tempo una distanza che si sarebbe potuta dimezzare se solo il tragitto fosse stato realizzato come quello di una «vera, grande» ferrovia. Certo i turisti alla ricerca di esperienze esotiche avrebbero perso qualcosa, ma i cittadini sardi che per più di un secolo hanno usato quella linea per spostarsi quotidianamente per lavoro e le altre necessità della vita ne avrebbero tratto un grande beneficio.
Linea lunga e tortuosa o breve ed economica?
Eppure, si decise di costruire la linea in questo modo, di seguire un tracciato oltremodo tortuoso. Perché? Perché non si adottarono soluzioni più efficienti come quelle che caratterizzano altre linee montane come, per esempio il «Glacier Express» svizzero che collega Zermatt a St. Moritz attraversando 291 ponti e 91 tunnel? Le curve e i tornanti rappresentavano per la compagnia inglese che costruì la linea in Sardegna un’alternativa decisamente più economica rispetto alle gallerie e ai ponti e, siccome il contratto che venne sottoscritto prevedeva il pagamento in base alle miglia «costruite» e non a quelle «necessarie», non sorprende che la scelta di un tragitto tortuoso, più lungo ma più economico, per il costruttore, abbia prevalso su quella di una linea più diretta, breve e migliore per la collettività. Questo esempio mostra in maniera chiara ciò che può accadere nell’ambito di una relazione contrattuale quando siamo in presenza di informazioni asimmetriche e quando questa asimmetria riguarda, in particolare, le cosiddette «azioni nascoste»: dopo la stipula di un contratto, un accordo anche tacito o un patto, una delle due parti, convenzionalmente definita «principale», perde il controllo sulle azioni dell’altra parte, di solito chiamata «agente».
Nel caso narrato da Lawrence il principale, cioè l’amministrazione pubblica, sottoscrive un contratto di fornitura con l’agente, l’impresa di costruzioni e, da questo momento, perde la possibilità di controllare in maniera precisa il suo operato. Certamente c’è sempre la possibilità di verificare, alla fine, il risultato del lavoro o di valutare lo stato di avanzamento dei lavori, ma, nonostante questo, non sarà mai del tutto possibile controllare in maniera costante e precisa ogni scelta che verrà presa nella fase di costruzione e che contribuirà a determinare il risultato, il livello di adesione del prodotto alle specifiche del contratto e, in ultimo, la soddisfazione del committente. Il problema sorge a causa di due fattori concorrenti. Il primo lo abbiamo già individuato: la presenza di asimmetrie informative nella forma di informazioni private sulle azioni dell’agente; il secondo, invece, riguarda il fatto che tra le parti esiste un conflitto di interessi: sempre stando all’esempio della ferrovia, l’amministrazione pubblica desidera il miglior risultato al minimo costo e l’impresa è interessata a minimizzare i costi per massimizzare il profitto.
Il rischio di «azzardo morale»
L’azione congiunta di questi due elementi fa sorgere il rischio di «azzardo morale»: un comportamento opportunistico reso possibile dall’impossibilità di una verifica puntuale sulle azioni dell’agente. Si tratta di un problema pervasivo che affligge ambiti diversissimi della vita sociale, politica ed economica. È un problema che nasce per il semplice fatto di aver bisogno di affidare a qualcun altro ciò che non possiamo fare direttamente da noi. È la necessità di «delegare» ad altri – i cittadini ai politici, gli azionisti ai manager, i pazienti al medico, i risparmiatori alla banca, solo per fare qualche esempio – la cura nostri propri interessi. Come sottolinea il premio Nobel Kenneth Arrow, «per definizione, l’agente viene selezionato per le sue conoscenze specialistiche e il principale non può mai sperare di controllare completamente le sue azioni e le sue scelte».
Ci si affida ai medici, ai politici, ai manager, agli insegnanti, agli avvocati, agli ingegneri, alle banche, proprio in virtù delle loro conoscenze specialistiche che noi, in genere, non possediamo. È la divisione del lavoro che caratterizza ogni sistema sociale moderno. Ne parlava già Adam Smith quando ragionava intorno all’efficienza di una fabbrica di spilli rispetto alla produzione fai-da-te. Ma questo, se da una parte apre indubbie possibilità di progresso, crea, allo stesso tempo, l’asimmetria informativa e lo spazio per l’opportunismo, l’azzardo morale. I contratti sono gli strumenti attraverso i quali il rischio di azzardo morale dovrebbe venire mitigato. Alla base ci sono gli incentivi che i contratti codificano e rendono operativi. Ma il risultato non è scontato, come l’esempio della linea ferroviaria descritta da Lawrence, mostra. In quel caso gli incentivi considerati si sono rivelati, come non era, del resto, difficile da prevedere in partenza, del tutto inefficaci a svolgere adeguatamente il loro ruolo.
Il caso del tunnel del San Gottardo
Ma ciò che l’economia dell’informazione e la teoria dei contratti ci insegna è che maneggiare gli schemi di incentivi non è mai facile, come un altro caso tratto dalla storia delle costruzioni ferroviarie – il tunnel del San Gottardo – efficacemente ci ricorda. Lungo 15 km, scavato tra il 1872 e il 1881, il tunnel rappresentò, per i tempi, un’impresa colossale. Un’opera strategica per collegare il Nord dell’Europa con il Sud. Se ne aggiudicò la realizzazione l’ingegnere svizzero Louis Favre. Un personaggio da romanzo, figlio di un umile carpentiere, ingegnere autodidatta. Le clausole del contratto erano perentorie: il tunnel doveva essere realizzato entro otto anni dall’inizio dei lavori al prezzo pattuito di 56 milioni di franchi. Anche gli incentivi (e le sanzioni) erano rigidissimi: un premio di 5mila franchi per ogni giorno risparmiato rispetto alla scadenza prevista e una penale analoga per ogni giorno di ritardo.
Una volta superati i sei mesi di ritardo la penale sarebbe passata a 10mila franchi al giorno. I lavori si dimostrano subito complicati a causa delle caratteristiche geologiche del sito. Il progetto si rivela immediatamente una corsa contro il tempo. Nei giorni di massimo impegno, 3.800 lavoratori si alternavano in tre turni di otto ore ciascuno a temperature che superavano spesso i 35 gradi. La combinazione di queste condizioni di lavoro estreme, la pressione dei vincoli temporali e la minaccia delle penali, crearono un mix ingestibile per Favre. Gli incidenti si moltiplicarono. Il numero finale dei morti sul lavoro fu di 177, senza contare i feriti, molti dei quali gravi e gravissimi. Nel 1875 scoppiò una rivolta delle maestranze che venne soffocata, dai militari, nel sangue: 4 persone persero la vita e altre 13 vennero ferite. I lavori ripresero.
Per accelerare i tempi si iniziò a sperimentare l’uso della nuova «polvere esplosiva di Nobel», la dinamite. La cosa non fece altro che aumentare i rischi e gli incidenti. Ma il destino di Favre, il geniale ingegnere autodidatta, era, comunque, segnato. Soccombette al peso della responsabilità, alla pressione del tempo, alla minaccia delle penali e, forse, anche ai sensi di colpa per il numero impressionante di vittime. Morì, stroncato da un infarto, il 19 luglio 1879. Sette mesi prima dell’abbattimento dell'ultimo diaframma che separava le sezioni nord e sud del tunnel. La foto di Favre, trasportata da carrello ferroviario, fu il primo «passeggero» ad attraversare il tunnel in tutta la sua interezza.
Questa storia mette in luce un elemento fondamentale che emerge dall’analisi dei problemi connessi all’azzardo morale e alle sue potenziali soluzioni. Per ridurre il rischio di comportamenti opportunistici da parte dell’agente, il principale può proporre contratti che siano «responsabilizzanti», che rendano, cioè, gli interessi dell'agente almeno parzialmente coincidenti con quelli del principale. Le pesanti sanzioni previste nel caso di ritardo erano, infatti, volte ad allineare gli interessi di Favre con quelli della committenza.
Il principio di «condivisione del rischio»
Questo genere di accordi si basano sulla condivisione del rischio: se qualcosa va male entrambe le parti ne devono sopportare il costo. Ciò che la teoria dei contratti ci spiega, però, e che la triste storia di Favre esemplifica, è che non tutte le forme di condivisione del rischio sono ottimali. Buoni contratti, buoni accordi, buoni patti devono prevedere non solo degli schemi di incentivi capaci di allineare interessi divergenti, ma anche determinare una ripartizione del rischio che sia sostenibile per le diverse parti. L’avversione al rischio, la capacità, cioè, di sopportare esiti imprevisti e costosi, di una amministrazione pubblica o di una impresa non può essere paragonata a quella di un singolo appaltatore o di un lavoratore dipendente. Un contratto ottimale non può non tener conto delle differenze nell'atteggiamento nei confronti del rischio dei diversi soggetti coinvolti.
Esiste la concreta possibilità che certe forme contrattuali, si pensi per esempio alla crescente precarizzazione del lavoro, scarichino su una parte, in genere la più debole, un rischio decisamente eccessivo e, spesso, insopportabile. Fenomeni oggi di grande attualità come la «great resignation», che vedono una forte riduzione dell’offerta di lavoro in mercati particolarmente rischiosi (sanità, istruzione, logistica…) a causa della ricerca di lavori più degni e carichi di senso, possono forse essere letti come la conseguenza dei fallimenti nella condivisione ottimale del rischio. Una forma di rivolta contro la prepotenza contrattuale esercitata da datori di lavoro incapaci di comprendere la sottile logica di una ingiusta condivisione del rischio. Perché se l’azzardo morale è, certamente, una malattia da curare, la medicina prescritta non può certo rivelarsi più dannosa del male stesso.