L’anima e la cetra/19 - Nella prova arriviamo a dire al Padre: “Sii fedele, ricordati di te”
di Luigino Bruni
Pubblicato su Avvenire il 02/08/2020
"Solo la parola dell’uomo in risposta alla parola di Dio, che in sostanza è un "no", attesta la libertà umana. Per questo la libertà di negare è il fondamento della storia"
Jacob Taubes, Escatologia occidentale
L’esilio è il tempo nel quale, seduti sulle rovine della “prima promessa”, possiamo chiedere a Dio e a noi stessi di diventare più grandi della reciprocità.
La reciprocità è la benedizione e la maledizione dei nostri patti e delle nostre promesse. Siamo impastati di reciprocità, la desideriamo e la speriamo dopo i nostri doni, l’attendiamo sotto forma di stima dopo aver consegnato l’opera del nostro lavoro, e nessun amore riesce a fiorire in pienezza se ad un certo punto non diventa amore reciproco. Quando il cristianesimo volle sintetizzare il messaggio di Gesù in un’unica legge non trovò nulla di meglio di un comando di reciprocità – "amatevi gli uni gli altri". Nell’umanesimo cristiano l’amore è ancora imperfetto finché non produce altro amore in ritorno. L’agape, nel suo dover-essere, è amare ed essere amati. Questo sigillo di mutualità iscritto, indelebile, nel cuore della persona e delle comunità, genera un’indigenza radicale di riconoscenza e di riconoscimento, e quindi di attese e aspettative di reciprocità che non di rado sfiorano la pretesa. Non controlliamo la stima degli altri né la loro gratitudine, ma senza ci sentiamo parziali, insoddisfatti e incompiuti.
Ecco allora che molta infelicità, frustrazione e persino violenza si gioca sul confine tra desiderio e attesa, sperare e pretendere, libertà ed obbligo. Impara bene il mestiere del vivere chi, dopo aver appreso per tutta la vita la grammatica delle molte reciprocità, dopo averla infinitamente amata e compresa come il pane e l’acqua dei rapporti importanti, riesce un giorno ad imparare ad andare oltre la reciprocità, a vivere anche senza quel pane e quell’acqua. E lì inizia l’età di una nuova povertà e di una mitezza adulta, comincia il tempo della mansuetudine lieta. Perché capiamo che la nostra dignità è più grande della reciprocità, e che nessuna reciprocità può saziare la nostra sete e fame d’infinito, che ci accompagneranno, in crescendo, per tutta la vita. Ed ad accogliere le poche reciprocità come puro dono e stupore.
«Canterò in eterno la lealtà del Signore, di generazione in generazione farò conoscere con la mia bocca la tua fedeltà, perché ho detto: "È un amore edificato per sempre; nel cielo rendi stabile la tua fedeltà". "Ho stretto un’alleanza con il mio eletto, ho giurato a Davide, mio servo. Stabilirò per sempre la tua discendenza"» (Salmo 89,2-5).
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