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Da taglio a feritoia

C'è bisogno di tagli che, su ispirazione dei quadri di Fontana, colleghino la nostra politica e la nostra economia con lo spazio reale.

di Luigino Bruni

pubblicato sul Messaggero di Sant'Antonio il 10/07/2019

Lucio Fontana, uno dei più grandi artisti della seconda metà del Novecento, si trovò, come tanti, a confrontarsi con uno dei grandi problemi della storia della pittura: come fare perché lo spazio pittorico potesse collegarsi con lo spazio reale al di fuori del quadro? La sua soluzione fu il famoso «taglio della tela»: quello squarcio divenne la ferita che fece entrare la realtà dentro la sua rappresentazione. 

Anche il 15 marzo 2019 si è verificato  una sorta di squarcio nella tela della storia, in concomitanza con il primo sciopero globale per il clima promosso dal movimento di Greta. In tale occasione, infatti, il «pensiero dei ragazzi» è entrato per la prima volta nel dibattito pubblico, politico ed economico.

Se dunque il XX secolo è stato il secolo che ha visto (in Occidente) l’ingresso del pensiero delle donne nella sfera pubblica, il XXI secolo sembra conoscere l’inizio del protagonismo del pensiero dei ragazzi. Finora noi, pur amando molto i nostri ragazzi e ragazze, non abbiamo creduto che il loro pensiero fosse un elemento importante nel gioco democratico. Nei convegni, soprattutto quelli cattolici, ai più giovani si chiede in genere di recitare la scenetta e poi li si invita gentilmente a uscire per portare avanti il loro programma parallelo, mentre il programma degli adulti continua su registri incomprensibili per i piccoli.

La denuncia di Greta è stato quel taglio che ci ha mostrato uno spazio al di fuori e oltre la tela della nostra politica ed economia e, attraverso quella ferita, abbiamo visto una diversa realtà prima invisibile: il tempo per salvare il pianeta, e noi insieme a esso, è scaduto, non si può più attendere e occorre cambiare subito.

Altri tagli dovrebbero arrivare presto sul nostro quadro, e da lì aiutarci a vedere nuovi orizzonti. Uno, molto urgente, riguarda il «pensiero dei poveri». L’ascolto dei poveri e delle povertà è una nuova essenziale virtù del mercato, che, se attivata, potrà produrre un progresso civile, spirituale ed economico di cui abbiamo tutti un crescente bisogno.

Anche chi in buona fede afferma di voler aiutare i poveri (definiti in vari modi), in genere non li fa parlare, non li ascolta, non crede che abbiano un pensiero sulla loro povertà e sui modi per uscirne. Ma chi si occupa di essi non ha reali competenze sulla povertà, perché in genere povero non è, gira su auto costose, non prende i mezzi pubblici, non fa la fila alla posta, non sa che cosa significa dormire all’aperto, non ne conosce la vulnerabilità infinita insieme a una libertà che qualche volta fa toccare l’infinito.

Dunque questi esperti-non-poveri di povertà parlano, anche in buona fede, di una realtà che non hanno mai visto né, tantomeno, toccato e abbracciato come fece, invece, san Francesco ad Assisi. Se non arriverà presto questo nuovo «taglio», se non affideremo ai francescani e alle suore di Madre Teresa i ministeri e gli assessorati al welfare, potremo investire molti miliardi in redditi di cittadinanza e simili, ma i poveri veri non ne verranno beneficiati, perché, semplicemente, sono stati aiutati senza prima essere presi sul serio come soggetti e come «persone pensanti».

Non sappiamo come avverrà questo nuovo taglio sulla tela. È da augurarsi che non sia un colpo violento, perché la storia ci ha mostrato che quando una forma di povertà irrompe sulla scena non lo fa quasi mai senza tagliare e ferire i corpi. Intanto iniziamo a porci queste domande, e molte altre, perché le nuove domande sono le levatrici del futuro.

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