Economia è vita - Una riflessione sullo Smart working pubblicata su Città Nuova di Agosto, tutt'ora molto attuale
di Luigino Bruni
pubblicato su pdf Città Nuova (80 KB) di Agosto 2021
Mentre tutto il mondo della scuola, e ancor più le famiglie, hanno capito che la Didattica a distanza è stata una scialuppa di salvataggio durante il naufragio e nessuno vuole fare il resto della traversata dell’oceano sulla scialuppa, i pareri sono diversi e controversi quando si parla di tornare a lavoro negli uffici. Questo anno e mezzo ci ha insegnato che ci sono alcune attività che è bene continuare a fare online – alcune riunioni, alcuni meeting di gruppi di lavoro internazionali o inter-regionali, alcuni consigli di dipartimento... –, ma anche che per la maggior parte delle azioni di cui si compongono i nostri lavori, se dovessimo continuare a svolgerle da remoto, porteremo le nostre imprese e organizzazioni in sentieri di grossa difficoltà.
La co-presenza off-line nello stesso luogo non è essenziale solo per le riunioni veramente importanti o per gli incontri veramente delicati; no: è essenziale quasi sempre, perché le imprese e le organizzazioni vivono soprattutto grazie a quel lavoro quotidiano, a quella intelligenza feriale e ordinaria, che unita a quella degli altri ci consente di andare avanti, innovare, crescere. Queste innovazioni e queste scelte veramente importanti sono quelle che nascono perché, non più di un secolo e mezzo fa, decidemmo di chiedere agli uomini, poi alle donne, di lasciare la loro gestione naturale della vita e lavorare, artificialmente, in luoghi strani come fabbriche e uffici. Di prendere 8 ore al giorno per 6 giorni – poi passati a 5, e speriamo presto a 4 –, lasciare le loro case e le occupazioni private per occuparsi degli affari della loro azienda. Queste molte ore passate insieme hanno generato i nostri miracoli economici, e la nostra società complessissima e ricca.
Se con il lavoro smart riportiamo i lavoratori dentro casa, tutto cambia, e cambia molto, per il 99% dei lavori che si svolgono collettivamente. Perché, da una parte, se il lavoro ce lo portiamo a casa, per tutti noi, nonostante tutta la serietà e la buona volontà, quelle 8 ore vengono in certa (e non piccola) parte occupate dalla vita della casa e delle sue relazioni. E perché, ancora più seriamente, i prodotti di lavori svolti da ciascuno stando a casa e che alla fine si sommano e si uniscono, non equivalgono al lavoro fatto insieme mentre si lavora insieme. Sono cose diverse, la seconda di qualità e sapore superiori. Il lavoro è azione collettiva, non molto diversa da quella che generiamo quando cantiamo in un coro o giochiamo a calcetto; certo, possiamo anche cantare registrando ciascuno da casa, e poi affidando al computer l’assemblaggio finale. Ma sappiamo che quel che accade in questi “cori” non è quel che accade mentre ci ritroviamo e cantiamo gomito a gomito, e nascono le nuove canzoni e i nuovi progetti. Per non parlare del calcetto.
A me sono mancati molto i colleghi, moltissimo i miei studenti. E non vedo l’ora di ritrovarli, di rivederli, di lavorare con loro. E a voi?