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La ricerca. Messe online, il rischio della comunità virtuale

Nuovi risultati dell’indagine Lumsa-Sec L’eclissi del corpo nel corso della pandemia: l’impatto delle celebrazioni a distanza sui fedeli, anche non cristiani, oggi allarga il suo orizzonte anche agli Usa ...

di Paolo Santori, Tommaso Reggiani e Luigino Bruni

pubblicato su Avvenire il 14/08/2020

Durante il periodo di lockdown si è registrato un incremento significativo nell’offerta di funzioni religiose virtuali, dalle Messe e Rosari in tv alle dirette sui social network. Oggi, nella Fase 3 della crisi pandemica, le emittenti televisive e le istituzioni religiose si domandano se mantenere l’offerta virtuale al livello raggiunto o se tornare al periodo precedente il distanziamento fisico. Come tutte le analisi di mercato, l’attenzione è rivolta al lato domanda, cioè al numero di persone che hanno seguito funzioni religiose virtuali nonché alle ragioni che sono alla base della scelta di consumo di “prodotti” religiosi.

A fine aprile 2020 abbiamo presentato su queste pagine (con l’analisi di Paolo Santori intitolata “Messe online e variabile gnostica”) i risultati preliminari di una ricerca dell’Università Lumsa e della Scuola di Economia Civile (Sec) su culto e spiritualità online ai tempi del distanziamento fisico. L’articolo paventava il rischio dello gnosticismo, sottolineato più volte da papa Francesco, legato alla sostituzione del culto reale con quello virtuale, espressione di una “eclissi del corpo” tipica del nostro tempo.

Oggi abbiamo nuovi dati, derivanti dalla somministrazione del medesimo questionario a un campione rappresentativo della popolazione degli Stati Uniti, e dalla combinazione dei due database (italiano e statunitense) a nostra disposizione. Quindi possiamo ulteriormente approfondire le domande da cui eravamo partiti: come hanno vissuto i cristiani e i cattolici la sostituzione della Messa reale con quella virtuale? Hanno avvertito dei vantaggi, dei disagi, o una sostanziale eguaglianza tra il culto online e quello in presenza? Dai nuovi dati, poi, sono anche emerse altre domande: il passaggio, momentaneo ma obbligato, al culto virtuale ha avuto un impatto simile anche sui fedeli di altre confessioni religiose? Il giudizio sulla funzione religiosa in tv piuttosto che in presenza, ad esempio, accomuna o diversifica il mondo cattolico da quello protestante, musulmano o ebraico? Possiamo render ragione di eventuali differenze legandole alle diverse teologie o pratiche religiose? In altre parole, quali sono i margini per un confronto interreligioso intorno al tema del culto reale e del culto virtuale? Tanti interrogativi, che aprono altrettante vie di ricerca e riflessione. Qui proviamo a considerarne brevemente alcune con l’aiuto dei nostri dati, e rimandiamo alla prossima pubblicazione dei risultati per l’analisi completa. Ripartiamo dal tema dello gnosticismo, questa volta considerando le risposte di chi si è dichiarato cattolico non solo nel campione italiano, ma anche in quello statunitense. I risultati più interessanti emergono guardando a coloro che prima del lockdown andavano a Messa una volta a settimana e coloro che ci andavano tutti i giorni.

Quest’ultimi dimostrano alti livelli di soddisfazione rispetto al culto online e virtuale. Alle domande «la funzione religiosa in tv è come assistere di persona» e «la funzione religiosa sui social network è come assistere di persona», dove 1 implica un totale disaccordo e 10 un totale accordo, la media delle risposte si attesta rispettivamente su 7,4 e 8. A che cosa possono essere legati tali risultati? Di certo non a motivazioni teologiche, dato che i membri di questa categoria, come coloro che andavano a Messa una volta a settimana, si dichiarano molto concordi con l’idea che la funzione religiosa su schermo sia peggiore perché si sente la mancanza del luogo sacro (media 8) e dell’Eucaristia (media 7,8). La ragione va cercata altrove e, come avevamo visto nel precedente articolo, è fortemente legata ai “costi di attivazione”, cioè alla quantità di energia impiegata per accedere alla funzione religiosa. Chi andava a Messa tutti i giorni, infatti, si è dichiarato fortemente in accordo (media 7,6) con l’idea che la Messa online sia migliore di quella reale perché più accessibile.

E anche la fascia di coloro che si recavano a messa una volta a settimana riporta livelli significativi (media 6,3), confermati dal risultato molto alto al quesito «la Messa virtuale è migliore perché uno non perde tempo negli spostamenti» (media 7,2). Come nel precedente articolo emerge il rischio di una «familiarità gnostica, staccata dal popolo di Dio» (papa Francesco), dove la comunione è solo comunione spirituale senza corpo, rimane molto legata al culto virtuale e ai suoi bassi costi di attivazione. Un rischio che chi oggi si occupa dell’offerta dei servizi religiosi virtuali dovrebbe sempre tenere presente.

​Veniamo al tema interreligioso, la novità portata dall’unione dei dati italiani con quelli statunitensi. Intanto una nota sul confronto tra mondo cattolico ed ebraico. Il dichiararsi di religione ebraica ha determinato un maggior disaccordo del 30% con la seguente affermazione «le celebrazioni religiose su schermo sono peggiori perché non vissute in un luogo sacro » rispetto ai cattolici (media voto 7.2). Un dato che non stupisce, poiché la tradizione ebraica il tempio o la sinagoga non hanno la stessa natura delle chiese cristiane, poiché il divieto di rappresentazione di Dio e la cultura della preghiera ebraica, molto legata alla famiglia, fa sì che il culto sia meno legato a un luogo sacro. Volgendosi al mondo cristiano, i protestanti ed i cattolici condividono un giudizio negativo sul culto virtuale, ma per ragioni differenti.

Nel mondo cattolico il grande vulnus del culto virtuale sta nell’eliminazione della dimensione del corpo dalla celebrazione, mentre nel mondo protestante a pesare è l’assenza della comunità. Davanti all’affermazione «la funzione religiosa sui social network non può essere come quella in presenza perché manca la comunità», infatti, i protestanti hanno espresso un grado di accordo maggiore ben del 10% rispetto ai cattolici; viceversa, con l’affermazione «la funzione su schermo è peggiore perché manca l’Eucaristia», il disaccordo del mondo protestante si è attestato al 20% in meno rispetto al mondo cattolico. Leggendo questi dati torna alla mente il rifiuto di Lutero della visione cattolica della Chiesa come corpo mistico, nel senso paolino, dove i fedeli erano concepiti come le membra di un corpo, “innestati” l’uno sull’altro; la Chiesa, per il padre della Riforma, doveva essere piuttosto un’assemblea generale: «La parola communio […] non dovrebbe essere tradotta “comunione” ma “comunità” » (Lutero).

Non ci deve sorprendere allora che parte del mondo protestante avverta proprio nella mancanza della comunità, intesa anche come vita della comunità (funzioni religiose, eventi filantropici, fiere), il limite del culto virtuale. Un dato in parte paradossale se si pensa alla tradizione protestante e alla grande enfasi teologica sulla necessità essenziale della comunità nella teologia cattolica, molto centrata sulla dimensione sacramentale e quindi della corporeità; una minore nostalgia per la comunità corporale quindi è ciò su cui la Chiesa cattolica dovrebbe interrogarsi. Da qui una domanda aperta finale: siamo sicuri che la maggiore offerta di Messe e preghiere online non diventi, nel lungo periodo, un boomerang che ridurrà ulteriormente la nostalgia di comunità in carne e ossa?

(Oltre agli autori di questo articolo, i ricercatori coinvolti nella ricerca empirica sono Alessandra Smerilli, Vittorio Pelligra, Matteo Rizzolli e Dalila De Rosa)

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