I Commenti de «Il Sole 24 Ore» - Mind the Economy, la serie di articoli di Vittorio Pelligra sul Sole 24 ore.
di Vittorio Pelligra
Pubblicato su Il Sole 24 Ore il 07/04/2024
“Rawls è stato attaccato incessantemente, e da molte direzioni, perché la sua teoria della giustizia ha quel tipo di contenuto che suscita forte disaccordo”. Così scrive Thomas Nagel nel primo capitolo della Cambridge Companion to Rawls, un saggio dedicato al rapporto tra il pensiero del filosofo americano e la tradizione liberale. “Sebbene lo stile di presentazione sia sempre accomodante e mai provocatorio – continua Nagel - i punti di vista che egli esprime sono decisamente controversi (…) Ciò che Rawls ha fatto è stato combinare i forti principi di uguaglianza sociale ed economica associati al socialismo europeo con gli altrettanto forti principi di tolleranza pluralistica e di libertà personale associati al liberalismo americano, e lo ha fatto attraverso una teoria che li riconduce ad un fondamento comune”. Libertà e uguaglianza, dunque, stanno al centro della teoria rawlsiana, come due principi indispensabili e non contrattabili ma non separati e distinti, ma legati da un’origine comune.
Libertà ed uguaglianza, dunque, stanno alla base della costruzione rawlsiana, con la libertà cui viene però assegnata – l’abbiamo visto qualche settimana fa - una priorità “lessicografica” rispetto all’uguaglianza. Ciò significa che in una società giusta non si può sottrarre libertà a qualcuno per migliorare le condizioni materiali di qualcun altro, neanche della maggioranza degli altri, come avrebbero voluto, per esempio, gli utilitaristi. Quello di libertà è il principio primo, quello primario, e recita così: “Ogni persona ha un eguale diritto al più ampio sistema totale di eguali libertà fondamentali compatibilmente con un simile sistema di libertà per tutti”. Nella formulazione che troviamo in Una Teoria della Giustizia tale principio è sottoposto ad una clausola: la clausola di “priorità della libertà”, la quale afferma che, come dicevamo, “I principi di giustizia devono essere ordinati lessicalmente, e quindi le libertà fondamentali possono essere limitate solo in nome della libertà stessa. Vi sono due casi: a) una libertà meno estesa deve rinforzare il sistema totale di libertà condiviso da tutti; b) una libertà inferiore alla eguale libertà deve essere accettabile per coloro che godono di minore libertà”.
Come giustamente fa notare Sebastiano Maffettone, curatore delle opere italiane di Rawls, qui il filosofo non sta facendo riferimento ad ogni possibile forma di libertà, ma solo alle “libertà fondamentali”, le libertà politiche di base tra cui possiamo individuare, in un elenco non esaustivo ma piuttosto completo, la libertà di religione e di coscienza, di espressione, di stampa, di assemblea, di voto e di associazione, la libertà della persona, del suo corpo, dall’oppressione fisica e psicologica, la libertà di movimento e di scelta della propria occupazione e, infine, il diritto alla libertà personale e quello alla retta amministrazione della giustizia. Queste sono le libertà fondamentali cui si riferisce Rawls col suo primo principio. Libertà che sono inalienabili ma non assolute. Ciò significa che sono libertà incomprimibili, non cedibili - nessuno, per esempio, può decidere di farsi schiavo di qualcun altro - e libertà che non possono essere ridotte neanche per ragioni di efficienza, per far aumentare, cioè, il benessere complessivo della società. Vuole anche dire, però, che non essendo assolute “possono essere limitate - come lo stesso Rawls specifica - quando sono in reciproco conflitto”. Le libertà fondamentali sono cruciali ma non possono essere assolute perché devono essere compatibili tra loro, come nella migliore tradizione liberale.
A prima vista le libertà fondamentali di cui parla Rawls potrebbero rientrare nell’alveo delle libertà negative, come la intende Isaiah Berlin, intese come assenza di coercizione ed interferenze esterne. Ma non bisogna dimenticare, però, come ricorda sempre Maffettone, che per Rawls “Le libertà e le loro priorità vanno sempre pensate nell’ottica di concedere a ogni individuo politicamente considerato un adeguato sviluppo delle sue facoltà morali principali (la capacità di avere una concezione del bene e il senso di giustizia)”. Quindi non solo “libertà da”, la concezione negativa, ma anche “libertà di” nell’accezione, cioè, di libertà positiva à la Berlin. In questo senso le libertà civili, per esempio la libertà di coscienza, servirebbero a consentire ad ogni cittadino di formarsi liberamente una propria idea di bene e di buono e, allo stesso modo, le libertà politiche; invece, aiuterebbero gli cittadini a perseguire un’ideale di vita che possa incarnare quelle stesse idee di bene e di buono.
Ma quando le libertà entrano in conflitto tra di loro come si dovrebbe operare, con quale criterio? Come e perché una libertà dovrebbe cedere il passo ad un’altra? Il criterio generale per stabilire una priorità tra le differenti libertà è quello secondo cui, come ci ricorda ancora Maffettone “Una libertà è tanto più essenziale quanto più è utile all’esercizio effettivo delle facoltà morali”. In termini più operativi, poi, Rawls enuncia alcuni principi: la riduzione di una certa libertà ha senso, per esempio, solo se produce un rafforzamento del sistema complessivo delle libertà. Ancora, se, per esempio, c’è un gruppo di cittadini che vede ridursi le proprie libertà, si dovrà deliberare e giustificare in maniera convincente con riferimento alle ragioni alla base di tale riduzione.
Quando possiamo effettivamente dire che un cittadino gode di un certo diritto o vede protetta le sue libertà? E’ questa una domanda fondamentale alla quale possiamo dare differenti risposte; almeno tre: si può pensare, per esempio, che un diritto sia garantito quando questo è formalmente protetto dalla legge o previsto in una carta costituzionale. In realtà, probabilmente, sarebbe più corretto verificare se tale diritto formalmente protetto poi viene effettivamente goduto dai singoli cittadini. Sappiamo bene che le due cose, enunciazione formale ed effettivo godimento, non sempre coincidono. Una terza possibilità è quella che guarda al valore che la protezione di un singolo diritto ha per ogni cittadino. E sappiamo che tale valore può essere differente da cittadino a cittadino.
Rawls sposa la seconda posizione ponendo una distinzione tra “libertà” e “valore della libertà”. Ciò che il suo primo principio di giustizia postula è l’uguaglianza delle libertà per ogni cittadino. Da questa uguaglianza di accesso alle libertà fondamentali possono derivare esiti anche molto differenti perché alcuni cittadini, coloro per cui la libertà ha un valore più alto, saranno in grado di trarre maggiore beneficio rispetto ad altri che pure godono dei medesimi diritti. Il primo principio di giustizia, ci dice Rawls, guarda vuole preservare l’accesso ai diritti e alle libertà e non si interessa dei loro effetti; di questi, ed in particolare delle eventuali differenze che possono originare, si occupa, invece, il secondo principio, che non accaso viene definito il “principio di differenza”. Ce ne occuperemo nel prossimo Mind the Economy.
Può essere interessante, già ora, accennare alla relazione tra i due principi almeno in termini generali e alla originale posizione che al riguardo caratterizza il pensiero di Rawls nell’ambito della tradizione liberale.
I liberali, quelli che si riconoscono negli approcci che da Locke fino a Kant, tendono ad attribuire importanza all’idea secondo cui ogni individuo è dotato di una sovranità morale e al fatto che da tale sovranità discendono dei vincoli al modo in cui lo Stato può restringere la libertà dei singoli. È tale sovranità morale, che per i liberali, costituisce il fondamento di cose come la libertà di religione, di parola, di associazione, di condotta della vita privata e di uso della proprietà privata. Sono queste le libertà che costituiscono il nucleo delle rivendicazioni dei liberali. Ma il liberalismo non si limita a rivendicare la protezione di queste libertà. Si spinge fino a richiede l’eliminazione di tutte quelle diseguaglianze e di quei privilegi che derivano dallo status o dalla nascita. Perché anche tali disuguaglianze rappresentano una minaccia alla libertà dei singoli. Da qui la lotta alla schiavitù, alla servitù e ai sistemi castali, più in generale. Lotta che sposta presto il suo oggetto dall’eliminazione di certe strutture sociali di prevaricazione, alla rivendicazione di nuovi e inediti diritti, come il diritto di cittadinanza per tutti i gruppi sociali, quello al suffragio universale, il diritto a ricoprire cariche, l’abolizione dell’ereditarietà delle posizioni di potere e di molte altre forme di privilegi aristocratici.
Più recentemente i pensatori liberali iniziano a riconoscere che un certo ordine sociale può generare diseguaglianze anche quando queste siano esplicitamente e legalmente vietate. Le opportunità che derivano dalla nascita, dal potere economico, dalle relazioni, sono tutti occasioni attraverso i quali le diseguaglianze sociali si generano e vengono riprodotte e sono meccanismi sui quali, molto spesso, è impossibile legiferare in maniera formale. Sottolinea Thomas Nagel a questo riguardo come “L’intero sistema di istituzioni sociali ed economiche – in parte reso possibile da leggi, come le leggi sui contratti e sulla proprietà, ma in realtà modellato da convenzioni e modelli che sono la somma di innumerevoli transazioni e scelte da parte di individui che agiscono in questo quadro nel tempo – offre possibilità e opportunità di vita molto diseguali a persone diverse, a seconda della loro collocazione nel contesto del destino”. Non sono solo le leggi a permettere o tollerare le diseguaglianze, ma l’intera struttura sociale fatta da norme scritte e non scritte, da consuetudini, cultura e aspettative. L’emergere di questa nuova consapevolezza anche tra i pensatori liberali ha portato ad un allargamento dell’insieme delle azioni che anche uno Stato liberale dovrebbe legittimamente porre in essere per prevenire o contrastare gravi forme di discriminazione, pur evitando, sempre e comunque, di violare la libertà dei singoli. L’obiettivo di conciliare l’attiva ricerca dell’uguaglianza non solo politica ma anche sostanziale con la tutela delle libertà fondamentale dei singoli cittadini rappresenta oggi la sfida maggiore per il liberalismo contemporaneo.
La posizione di Rawls su questo punto è di rottura radicale. Non dobbiamo gestire le due esigenze, quella della libertà e quella dell’uguaglianza, come se queste due aspirazioni fossero in contrapposizione tra loro, come se si escludessero a vicenda. Dobbiamo piuttosto imparare a riconoscerne la radice comune. Il pluralismo e l’uguaglianza, dice Rawls, sono espressioni di un unico valore: quello dell’uguaglianza nelle relazioni tra le persone nell’ambito della “struttura di base”. Quando le istituzioni che formano tale struttura – istituzioni di natura politica, economica e sociale - non proteggono tale uguaglianza fondamentale, è allora che si genera l’ingiustizia. Solo alla luce di tale considerazione si può capire perché per Rawls, la giustizia è innanzitutto una faccenda di equità. Violare la libertà dei singoli o tollerare gravi diseguaglianze economiche tra gli stessi, non sono altro che forme diverse della stessa fondamentale ingiustizia: l’iniquità. Conclude in maniera precisa e sintetica al riguardo ancora Thomas Nagel: “Una società fallisce nel considerare i suoi membri come eguali, sia quando limita la loro libertà di espressione così quando acconsente che essi vivano in povertà”. Violazioni della libertà e violazioni della dignità sono forme ugualmente odiose della stessa iniquità. Quella odiosa iniquità che ogni società giusta dovrebbe cercare di combattere. E ognuno di noi, ogni cittadino, non dovrebbe mai smettere di chiedersi quanto questa esortazione rawlsiana continui anche oggi a guidare le scelte di chi ci governa.
Credits foto: © Diego Sarà