I Commenti de «Il Sole 24 Ore» - Mind the Economy, la serie di articoli di Vittorio Pelligra sul Sole 24 ore.
di Vittorio Pelligra
Pubblicato su Il Sole 24 Ore il 03/04/2024
“L’assenza apparente di Dio in questo mondo è la realtà di Dio”. Così annota Simone Weil in uno dei suoi Quaderni. Questa stessa apparente assenza che viene simbolicamente rappresentata nel passaggio, attraverso il silenzio del sabato, dalla passione e dalla morte del venerdì alla festa di luce e di suoni della domenica di Pasqua. Ma quando sarà davvero Pasqua? Al di là delle nostre attese, le teatrali rappresentazioni liturgiche e le feste sempre più scarne di un popolo che si scopre minoranza, quando arriverà quella promessa di pacificazione che sconfiggerà la morte? Perché ora il mondo sembra vivere solo in una lunga e tragica passione, molto diversa dalle attese escatologiche. Abbiamo guerre che sembrano non vedere fine e anzi si allargano sempre più, l’ombra del terrorismo che si ripresenta all’orizzonte, l’instabilità crescente che le istituzioni politiche nazionali e internazionali non sembrano essere in grado di gestire o forse alimentano ad arte, le diseguaglianze economiche e sociali che crescono, per non dire dei disastri legati alla scellerata predazione della nostra Terra. Questa l’eredità devastata che lasciamo ai nostri figli.
“Nottità del giorno e diurnità della notte: colui che i seguaci chiamarono il Cristo continua a cadere nell’abisso, è tutto quello che sappiamo”, scrive mirabilmente Guido Ceronetti. E oggi, proprio oggi vengono a parlarci di Pasqua, di resurrezione. Proprio oggi che l’assenza di Dio, di ogni briciolo di giustizia, appare così evidente. Eppure, è proprio qui, sembra dirci quell’anima fragile e mistica di Simone Weil, che Dio si manifesta, che la radice della giustizia va cercata e alimentata. Proprio qui dove lo Spirito è assente e dove la sua presenza diventa più necessaria. E allora il sabato buio e silenzioso è quasi più gioioso della Pasqua luminosa. Perché senza l’assenza e la mancanza, la presenza e il desiderio non avrebbero senso.
Da più di un anno ormai ogni domenica queste colonne ospitano i frammenti di una lunga e per me necessaria esplorazione dell’idea di giustizia. Un viaggio che nasce da un’esigenza personale – e come potrebbe essere diversamente – ma che col tempo ha coinvolto diversi lettori e lettrici, persone che incontro in giro per l’Italia o che si fanno presenti in vari modi, con i quali condividiamo un tratto di strada, la speranza e l’attesa di Giustizia. Mi colpisce che la parola spagnola “esperar” indica al contempo tre stati d’animo: l’attesa, la speranza, la fiducia. Esperar la justicia, allora, è il mio augurio di Pasqua. Questa speranza è un’attesa dinamica perché la giustizia va ricercata, costruita, praticata, testimoniata e va sperata, quando non c’è, con fiducia. Perché solo tale speranza-attesa-fiducia può animare la ricerca e la costruzione di un mondo giusto.
Ma noi che c’entriamo? Noi, singoli, che possiamo fare davanti ai problemi enormi che affliggono il nostro tempo? Certamente vivere di giustizia, pretendere giustizia, non smettere mai di seguire questa bussola per indirizzare bene i nostri passi. Scrivevo nel primo articolo dedicato a questa serie – era il gennaio del 2023 – “Il tema [della giustizia] appare essere troppo importante per non occuparsene direttamente, per delegare la riflessione ai filosofi e agli economisti di professione. Il loro lavoro è certamente indispensabile, ma poi una società giusta lo sarà compiutamente solo come frutto di molte vite giuste, delle nostre vite, nella pluralità delle nostre scelte”. Siamo arrivati con i Mind the Economy delleultime settimane, partiti da Omero e dai tragici greci, a discutere le idee di John Rawls, il più importante filosofo politico del XX secolo. E anche per Rawls, e forse non è un caso, la filosofia politica non deve parlare solo ai filosofi, ma deve rivolgersi principalmente ai cittadini, a ogni uomo e donna desiderosi di comprendere le ragioni, i principi, le idee che fanno di una società, una società giusta, convinti che tale meta sia un’“utopia realistica” come la definisce Rawls, con genio e pragmatismo.
Per andare oltre l’utopico però, è necessario superare una crisi che, come scrive Enzo Bianchi, è “una crisi che prima di riguardare la fede in Dio è crisi dell’atto umano del porre fiducia. L’uomo è incapace di credere negli altri, di guardare con fiducia alla società, di sperare nel domani di questa terra: per questo anche la sua capacità di amare è diventata debole”. La sfiducia nell’altro, un evidente pessimismo antropologico, tanto radicato quanto infondato, ha cominciato a inquinare le nostre relazioni. Per questo – continua Bianchi - “E’ sulla capacità di credere che si gioca il futuro dell’umanità: non si può essere uomini altrimenti, perché credere è il modo di vivere la relazione con gli altri. E non è possibile alcun camino di umanizzazione senza il prossimo, perché vivere è sempre vivere con e attraverso l’altro”. Ogni cammino necessita di uno sguardo prospettico, alto, capace di rivolgersi all’orizzonte, uno sguardo giovane. Ma che ne è dei giovani? Se stanno zitti davanti ai loro schermi, li biasimiamo. Se nel frastuono generale per farsi sentire alzano la voce li manganelliamo. E chi è che da gli ordini? Quella “maggior parte dei governanti e dei politici – scrive ancora Bianchi – [che] oggi appare non credibile, non affidabile”. Che non sia questa la radice dell’allontanamento di tanti giovani dalla politica. “Come possono mettere fiducia in uomini che ostentano immagini di impreparati, corrotti, gaudenti, arroganti, con una vita personale che non solo è scandalosa ma offende i poveri e quanti a caro prezzo vogliono credere ancora alla giustizia? (…) Sul senso della communita si gioca il futuro della polis”.
Come affrontare queste sfide, come non soccombere alla diffidenza figlia del pessimismo antropologico? “Cerca di comprendere per credere e di credere per comprendere di più” consigliava Sant’Agostino. Cerca di comprendere per imparare a fidarti e cerca di fidarti per darti modo di comprendere, potremmo parafrasare noi, oggi. Riscoprendo il valore e il senso delle relazioni, la bellezza della diversità, smascherando e scacciando i falsi profeti portatori di iniquità. Scegliendo ciò che unisce e diffidando di chi ci vuole divisi. “Sulle mammelle di mia madre mi hai insegnato la fiducia, o Dio!”. Così recita il Salmo, così ci dice il cuore. Ciò che di più caro abbiamo può crescere e svilupparsi sono in un clima di fiducia e se tale clima è compromesso, così sarà il futuro delle cose che più ci stanno a cuore. Comprendere per credere e credere per comprendere di più. Comprendere per imparare a fidarsi di più. E del resto come bene si è espresso Papa Ratzinger, si può esercitare la propria fede/fiducia solo nell’“oceano del nulla, della tentazione, del dubbio”. La Pasqua è immagine ed esperienza di questa fiducia esercitata nel dubbio da un uomo-Dio che non vuole morire ma che pure si af-fida alla incomprensibile volontà del Padre e lì, in questa fiducia totale trova la vera vita e noi con lui. Auguri, dunque, di una Pasqua di pace, libertà e giustizia. Libertà, come ci insegna Norberto Bobbio, bene individuale per eccellenza e giustizia, bene sociale per eccellenza.
Credits foto: © Diego Sarà