I Commenti de «Il Sole 24 Ore» - Mind the Economy, la serie di articoli di Vittorio Pelligra sul Sole 24 ore.
di Vittorio Pelligra
Pubblicato su Il Sole 24 Ore il 10/12/2023
“Date le circostanze della sua vita, il suo successo in quanto teorico dell’economia e sociologo politico del capitalismo è straordinario, anzi, eroico”. Così scrive John Rawls nelle sue Lezioni di Storia della Filosofia Politica a proposito delle vicende biografiche e del contributo di pensiero fornito da Karl Marx. Eppure, parlare e scrivere di Marx continua ancora oggi ad essere complicato. Non tanto per la vastità e la reale complessità del suo lavoro intellettuale, anche certamente, ma soprattutto per le concrezioni ideologiche che si sono depositate sulle sue idee a seguito delle vicende storiche e politiche che queste hanno, direttamente e indirettamente, innervato.
Una chiave di lettura per Marx
Trovare una chiave di lettura complessiva non è cosa semplice, tanto più in un contesto culturale come quello italiano caratterizzato da una parte dalle vicende del fascismo e dalla persistenza di non poche scorie tossiche che da queste ancora promanano e dall’altra dall’attività decennale del più grande partito comunista d’Europa che per molti versi ha egemonizzato i luoghi di produzione culturale ostacolando spesso l’elaborazione di un vero pensiero critico.
In questi pochi articoli che dedicheremo al lavoro del barbuto pensatore di Treviri, non proverò neanche a cimentarmi in una tale impresa. Molto più modestamente vorrei, invece, provare ad indagare il ruolo che l’idea di giustizia ha avuto nell’evoluzione della prospettiva marxiana indipendentemente dagli esiti concreti che tale idea ha portato nel secolo XX ed oltre. Anche solo questo rischia di essere un compito improbo. Anche se Rawls lo inserisce tra i sei autori principali discussi nelle sue Lezioni e nel titolo di innumerevoli libri e saggi compaiano contemporaneamente i termini “Marx” e “giustizia”, non mancano, infatti, i commentatori che anche recentemente hanno messo in dubbio la rilevanza all’interno del quadro marxiano di un qualunque concetto di giustizia. Che senso avrebbe, dunque, affrontare il suo pensiero in una serie, come questa, che si pone l’obiettivo di tracciare, sia pure per cenni impressionistici, l’evoluzione storica di tale idea?
L’idea di giustizia
Partiamo con l’affermare che le ragioni dei critici non sono del tutto peregrine. Del resto, Marx aveva in sospetto qualunque sistema morale e, quindi, avrebbe dovuto sospettare anche di ogni ideale dato ed immutabile di giustizia. Ma più nello specifico, troviamo in molti suoi scritti, precise affermazioni che sembrano avvalorare la tesi di un pensatore disinteressato se non addirittura critico rispetto al tema. Nel maggio del 1875 l’Associazione Generale degli Operai Tedeschi e il Partito Socialdemocratico dei Lavoratori decidono di unirsi per dar vita al Partito Socialista dei Lavoratori. Dal 22 al 27 di quello stesso mese, nella cittadina di Gotha, si tiene il primo congresso del nuovo soggetto politico dove viene presentato il suo programma, che diventerà noto come il nome di “Programma di Gotha”.
Questo documento conteneva rivendicazioni importanti per l’emancipazione della classe dei lavoratori e contro il loro sfruttamento. Si leggono termini come “uguaglianza di diritti”, “giusta ripartizione”, “frutto integrale del lavoro”, si richiede il suffragio universale e la libertà di associazione, assieme a miglioramenti nelle condizioni di vita e di lavoro della classe operaia. Marx leggerà in anteprima quelle linee programmatiche e ne diventerà uno dei più severi oppositori illustrando le sue posizioni in un suo famoso scritto intitolato Critica del Programma di Gotha, appunto.
Lo storico Robert Tucker (The Marxian Revolutionary Idea, W. W. Norton & Company, 1969) prende in considerazione la posizione di Marx che si oppone ad un programma che avanzava una serie di importanti rivendicazioni sociali e politiche per sostenere la tesi secondo cui “la passione fondamentale dei fondatori del marxismo non era certo una passione per la giustizia” e che, anzi, lo stesso Marx aveva una vera e propria “avversione per l’idea stessa di giustizia”.
A sostegno di questa tesi Tucker cita alcuni passaggi della Critica nei quali Marx attacca piuttosto duramente il programma di Gotha definendo alcune delle espressioni che vengono lì utilizzate - “uguaglianza di diritti”, “giusta ripartizione”, “frutto integrale del lavoro” – come “dogmi”, “frasi antiquate”, “fandonie ideologiche”.
Un altro commentatore, il filosofo Allen Wood, sul punto si spinge fino a sostenere che “Quando cerchiamo negli scritti di Marx ed Engels un resoconto dettagliato delle ingiustizie del capitalismo (…) scopriamo subito che non solo non c’è alcun tentativo di fornire un’argomentazione secondo cui il capitalismo è ingiusto, ma non troviamo neanche l’affermazione esplicita che il capitalismo è ingiusto o che viola i diritti di qualcuno”. Continua Wood affermando che ciò si può spiegare perché in fondo “Qualunque cosa rappresenti il capitalismo per Marx, non sembra che egli lo consideri ingiusto (…). L’immagine comune di Marx come profeta della giustizia sociale è falsa e che coloro che hanno visto nella giustizia distributiva la principale questione morale del suo marxismo si sono semplicemente sbagliati” (“The Marxian Critique of Justice” , Philosophy & Public Affairs 3, pp. 244, 1972).
Lo strano paradosso
Sembra proprio che ci si trovi davanti ad uno strano paradosso. Davvero non possiamo considerare il pensiero di Marx, Engels e dei loro eponimi come una critica al sistema capitalistico, come una protesta contro l’ingiustizia insita nella sua logica economica e contro le conseguenze sociali che tale logica produce? Forse si può trovare una via d’uscita da questo apparente paradosso considerando il fatto che l’oggetto principale della critica marxiana al programma di Gotha non è tanto l’idea di giustizia declinata attraverso i concetti citati, ma l’uso retorico di quei termini che viene fatto nel documento che ancora, è questa la critica più profonda di Marx, si muove nell’ambito di un’idea di “giustizia borghese”.
È all’interno di tale quadro che quei concetti appaiono antiquati e insinceri. Si pensi, per esempio, alla rivendicazione di un uguale salario proporzionato al lavoro svolto. Marx afferma che tale richiesta può apparire a favore dei lavoratori ma in realtà non lo è. Essa, infatti, non tiene conto delle differenze nelle condizioni e nei bisogni di ciascuno e quindi promuove un’ingiusta uguaglianza tra diseguali. Ricorda questa posizione il “Non c’è nulla che sia ingiusto quanto far parti uguali fra disuguali” che don Lorenzo Milani scriverà un secolo dopo alla sua professoressa. Dunque, “questo diritto uguale è un diritto disuguale, per lavoro disuguale – afferma Marx. Esso non riconosce nessuna distinzione di classe, perché ognuno è soltanto operaio come tutti gli altri, ma riconosce tacitamente l’ineguale attitudine individuale e quindi la capacità di rendimento come privilegio naturale. Esso è perciò, pel suo contenuto, un diritto della disuguaglianza (…) Per evitare tutti questi inconvenienti, il diritto, invece di essere uguale, dovrebbe essere disuguale”.
Ma il programma di Gotha non arrivava fin lì. Chiedeva giustizia ma rimanendo nei confini della giustizia borghese. Secondo Donald van de Veer il programma di Gotha “aveva il limite di un approccio borghese e meritocratico che lo screditava” agli occhi di Marx (“Marx’s View of Justice”, Philosophy and Phenomenological Research 33, pp. 366-386, 1973).
Non può esistere una giustizia giusta nell’ambito di un sistema economico e sociale fondato sull’ingiustizia, dunque. Occorre uscire dalla cornice per poter individuare un’idea di giustizia più giusta perché come scrive Marx ne La Guerra Civile in Francia “La civiltà e la giustizia dell’ordine borghese si mostrano nella loro luce sinistra ogni volta gli schiavi e gli sfruttati di quest’ordine insorgono contro i loro padroni. Allora questa civiltà e questa giustizia si svelano come nude barbarie e vendetta ex lege”.
Questa giustizia barbara e vendicativa è ciò che si vuole combattere mettendola in antitesi con un’altra idea di giustizia, quella che porrà al centro l’eradicazione dello sfruttamento dei proletari; sfruttamento che costituisce, secondo Marx, la vera essenza del capitalismo. Ma questa giustizia non potrà mai trovare applicazione nell’ambito della cornice della società capitalista perché, come leggiamo nella Critica “Il diritto non può essere mai più elevato della configurazione economica e dello sviluppo culturale da essa condizionato, della società”. Non si può rinnovare l’idea di giustizia se non si cambia la configurazione economica definita dai “modi di produzione”.
Modificare la cultura dominante
Non si può modificare la cultura rimanendo dentro la stessa struttura socioeconomica che l’ha determinata. Solo una volta superati i confini dell’“angusto orizzonte giuridico borghese – leggiamo ancora nella Critica - la società [potrà] scrivere sulle sue bandiere: - Ognuno secondo le sue capacità; a ognuno secondo i suoi bisogni!”. Questo ideale superamento marxiano degli angusti orizzonti borghesi, la società comunista realizzata, appare a Rawls “al di là della giustizia, nel senso che le circostanze che danno origine al problema della giustizia retributiva sono superate”. In una società giusta la lotta per la giustizia perde importanza. Se questo è vero, la questione cruciale, allora, diventa quella della transizione. Quella fase nella quale il capitalismo non è più e il comunismo non è ancora. In questa fase Marx individua i problemi maggiori, quelli per i quali l’idea di giustizia diventa idea-guida.
La questione della giustizia, dunque, come si vede è tutt’altro che irrilevante nel pensiero marxiano. L’equivoco, come abbiamo visto, nasce dal fatto che ciò che egli critica non è tanto l’ispirazione ad un ideale di giustizia tout-court ma il ricorso ad un’idea di “giustizia borghese”. È tale idea che Marx ritiene inadeguata, vuota e ideologica. Il ruolo del concetto nel suo sistema di pensiero, dunque, non può essere più importante proprio perché egli si prefigge di superare l’idea tradizionale di giustizia e di rifondare un nuovo ordine sociale che sarà giusto solo se sarà capace di superare le ingiustizie del capitalismo, innanzitutto lo sfruttamento sistematico dell’uomo sull’altro uomo e le sue conseguenze deumanizzanti.