Mind the economy

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Il paradosso di Rousseau: si può liberamente scegliere di non essere liberi?

I Commenti de «Il Sole 24 Ore» - Mind the Economy, la serie di articoli di Vittorio Pelligra sul Sole 24 ore.

di Vittorio Pelligra

Pubblicato su Il Sole 24 Ore il 16/07/2023

Il 24 luglio 1749 il filosofo Denis Diderot, uno dei philosophes, gli animatori del progetto dell’Encyclopedie, viene arrestato a causa dei suoi articoli sgraditi al potere e incarcerato a Vincennes. L’amico Jean-Jaccques Rousseau andrà spesso a trovarlo durante la sua prigionia. In viaggio, in occasione di una di queste visite, il filosofo ginevrino ha una sorta di epifania. Aveva letto di un concorso indetto dall’Accademia di Digione sul tema “Se il miglioramento delle scienze e delle arti ha contribuito a migliorare i costumi”.

La lettura del titolo di quel concorso, per caso, su una rivista, durante uno di quei viaggi, ricorda ancora Rousseau, suscitò una vera e propria illuminazione: «Se mai qualcosa ha assomigliato a una ispirazione istantanea, è il mutamento che avvenne in me a questa lettura». Come egli stesso racconta ne 'Le Confessioni', «Di colpo, mi sentii lo spirito sconvolto da mille luci, folle di idee vive si presentavano tutte insieme con una forza e una confusione che mi gettò in un turbamento inesprimibile. (...) Vidi un altro universo e divenni un altro uomo».

Russeau in antitesi con Voltaire

Si organizzano nella sua mente, in questa occasione, idee, intuizioni, anche solo vaghe sensazioni, su cui stava meditando da tempo intorno al ruolo che il processo di civilizzazione ha avuto nella creazione della dipendenza, della disuguaglianza e della miseria in cui l’umanità è caduta una volta abbandonato lo stato di natura. Perché l’uomo è buono e felice per natura ed è la civilizzazione la causa della sua corruzione e della sua infelicità. Sviluppando queste idee Rousseau assume una posizione antitetica rispetto a quella dei suoi amici philosophes, Voltaire tra tutti. Decide di partecipare al concorso dell’Accademia di Digione con un saggio intitolato Discours sur les sciences et les arts che gli varrà il primo premio.

Queste idee continueranno a sedimentarsi per anni diventando poi il nucleo centrale della sua prima opera importante, il 'Discorso sull’origine e i fondamenti della disuguaglianza fra gli uomini' (1755). In quest’opera il filosofo ricostruisce la vicenda che ha portato l’umanità dallo stato di natura, selvaggio ma pacifico, verso la sua degradazione legata all’insorgenza della proprietà e della disuguaglianza, fino ad una nuova condizione - “la società civile” - caratterizzata dal conflitto, dalla povertà e dalla miseria.

«Tutti corsero incontro alle catene convinti di assicurarsi la libertà – perché, scrive ancora Rousseau - avevano senno sufficiente per avvertire i vantaggi d’una costituzione politica, ma non esperienza sufficiente per prevederne i pericoli; i più capaci di fiutare in precedenza gli abusi erano proprio quelli che contavano di profittarne, e perfino i saggi videro che bisognava risolversi a sacrificare una parte della loro libertà alla conservazione dell’altra, come un ferito si fa tagliare un braccio per salvare il resto del corpo (…) Questa fu, almeno è probabile, l’origine della società e delle leggi, che ai poveri fruttarono nuove pastoie e ai ricchi nuove forze, distruggendo senza rimedio la libertà naturale, fissando per sempre la legge della proprietà e della disuguaglianza, facendo d’una accorta usurpazione un diritto irrevocabile, e assoggettando ormai, a vantaggio di pochi ambiziosi, tutto il genere umano al lavoro, alla servitù e alla miseria».

Dalla purezza alla corruzione

Ecco la terribile diagnosi che descrive il passaggio dallo stato di natura originario fondato sulla “purezza” ad un nuovo stato di natura “frutto di un eccesso di corruzione”. Ed è questa la condizione dalla quale occorre partire, ora, sostiene Rousseau, per interrogarsi circa l’assetto politico auspicabile, capace al contempo di temperare i problemi legati alla necessaria convivenza tra individui, da una parte e di garantire, dall’altra, la loro legittima aspirazione alla libertà e all’uguaglianza, condizioni che caratterizzavano l’originale stato di natura prima dell’avvento della “civiltà”.

È interessante, qui, notare l’uso che Rousseau fa dell’idea di “stato di natura”. Un uso piuttosto differente rispetto a quello che si trova sia in Hobbes che in Locke. Per questi ultimi, infatti, lo stato di natura descrive, da una parte, l’essenza più profonda della natura umana e, dall’altra, le conseguenze che essa produce nella vita associata da cui si genera l’esigenza di regole, norme e, soprattutto, di un potere capace di farle rispettare.

Lo stato di natura, al contrario, rappresenta per Rousseau una situazione dinamica, per così dire. Un espediente necessario per dar conto del modo in cui la condizione umana muta nella storia grazie al sorgere di differenti strutture sociali ed economiche, in particolare a causa del diffondersi della proprietà privata. Una storia, è necessario dirlo, nel quale il progresso tecnico e scientifico non ha nessun effetto su quello morale e sociale. Se da una parte, infatti, la scienza progredisce, dall’altra le virtù e l’armonia tra le persone si degradano e il perseguimento degli interessi privati dei singoli è lungi dal promuovere lo sviluppo dell’interesse collettivo.

Per Hobbes lo stato di natura è qualcosa da cui fuggire mentre per Rousseau rappresenta un’ideale cui ritornare. Un ideale impossibile da ritrovare, però, perché Rousseau è convinto che non sia possibile ricostituire le condizioni originarie della vita sociale. Al contempo, però, è anche convinto che sia possibile, in qualche modo, ricreare uno stato non troppo dissimile da quello originario, nel quale, grazie all’azione politica, si può favorire l’insorgenza di condizioni di uguaglianza e libertà, se non uguali, almeno simili a quelle che caratterizzavano lo stato di natura originario.

Il primo tassello di questo processo politico ha a che fare con lo sviluppo di una nuova cultura. Rousseau ne discute nell’ 'Emilio, o dell’educazione'(1762) un’opera di natura pedagogica nel quale delinea una strategia educativa necessaria per neutralizzare i danni derivanti dalla dipendenza che in società ogni uomo sperimenta nei confronti degli altri uomini. Causa prima di schiavitù e infelicità. Il processo educativo si fonda su stadi naturali di sviluppo durante i quali, grazie ad una combinazione ottimale di disciplina e libertà, la primigenia naturale indipendenza può essere riguadagnata e rafforzata nell’animo di ogni bambino e bambina fino allo sviluppo della vera virtù, intesa da Rousseau, come la capacità di anteporre il bene collettivo all’interesse individuale.

La dimensione pedagogica rappresenta, però, solo il primo dei tasselli che compongono la soluzione al problema fondamentale della dipendenza sociale le cui linee generali egli traccia del suo capolavoro 'Il Contratto Sociale' (1762). In quest'opera Rousseau si chiede se sia possibile la creazione di un ordine politico capace di unire i singoli con i loro interessi privati attraverso un insieme di leggi pensate in funzio'ne del bene comune ma senza che tali leggi compromettano l'integrità morale e la libertà dei singoli. Una soluzione che se esistesse sarebbe necessariamente paradossale visto che nell'idea dello stesso Rousseau, ogni società civile non può che essere causa di disuguaglianza e in opposizione alla naturale indipendenza dei singoli. Come si può essere liberi e uguali all'interno di un ordine sociale e politico, dunque? La sfida è per Rousseau, quella di immaginare una comunità politica governata da leggi nella quale le differenze naturali e la naturale indipendenza vengono rimpiazzate dall'uguaglianza e dalla libertà morale e dove, infine, i diritti naturali lasciano il posto a quelli stabiliti per legge.

Una tale comunità politica potrà essere considerata legittima fintantoché si limiterà a regolare la vita dei cittadini esclusivamente al riguardo di questioni generali e per il resto proteggerà la loro libertà di scelta senza scendere mai nel caso particolare del singolo. Un potere giusto, infatti, impone ai cittadini solo quei limiti necessari a renderli reciprocamente liberi l'uno nei confronti dell'altro. La nascita di una tale comunità implica, perciò, la sovversione della società civile che ha portato alla disuguaglianza e all'alienazione dei cittadini, per sostituirla con una serie di comunità nazionali formate non più da cittadini legati tra loro da legami di dipendenza ma da persone libere.

La nascita di tale comunità è sancita da un contratto sociale, o meglio, da una serie di contratti. Il primo è quello attraverso il quale i cittadini, assolutamente e unanimemente tutti i cittadini, decidono di entrare a far parte di un corpo comune nel quale, se è pur vero che si rinuncia alla naturale indipendenza sperimentata nello stato di natura, lo si fa come manifestazione estrema della propria irrinunciabile libertà. È scelta libera, dunque, quella di accogliere i doveri derivanti dall'appartenenza al corpo comune. Doveri che scaturiscono dalle leggi che la “volontà generale” impone su ciascuno dei cittadini.

Emerge qui uno dei punti più discussi della posizione di Rousseau, un vero e proprio paradosso, come egli stesso lo definisce, secondo cui individui liberi scelgono liberamente di rinunciare alla propria libertà per accettare la soggezione ad un corpo di leggi vincolanti. Per uscire dal paradosso, afferma Rousseau, è necessario “Trovare una forma di associazione che protegga e difenda con tutta la forza comune la persona e i beni di ciascun associato, mediante la quale ognuno unendosi a tutti non obbedisca tuttavia che a sé stesso e resti libero come prima. Ecco il problema fondamentale di cui il contratto sociale dà la soluzione”.

Un contratto che, continua Rousseau, si riduce infine ad una sola ma fondamentale clausola: “L'alienazione totale di ciascun associato con tutti i suoi diritti a tutta la comunità: infatti, in primo luogo, dando ognuno tutto sé stesso, la condizione è uguale per tutti, e la condizione essendo uguale per tutti, nessuno ha interesse a renderla gravosa per gli altri”. Se ciascuno da tutto sé stesso alla comunità, trovandosi tutti nella stessa situazione di dipendenza, nessuno avrà interesse a sfruttare tale dipendenza a proprio favore minando la libertà degli altri. La rinuncia scelta alla propria libertà diventa in questo modo la massima forma di libertà.

Come conciliare, dunque, l'appartenenza al gruppo con l'autonomia individuale? “Per quale arte imperscrutabile – si chiede retoricamente Rousseau – si è potuto trovare il mezzo di assoggettare gli uomini per renderli liberi? D'impiegare al servizio dello stato i beni, le braccia, la vita stessa di tutti i suoi membri, senza costringerli e senza consultarli? D'incatenare la loro volontà con il loro beneplacito? Di far valere il loro consenso contro il loro rifiuto, e di forzarli a punirsi da sé quando fanno ciò che non hanno voluto? Come può accadere che obbediscano e che nessuno comandi? Che servano e non abbiano padroni? Tanto più liberi di fatto, in quanto, sotto un'apparente soggezione, ciascuno perde della propria libertà solo quel che può nuocere alla libertà altrui.

Questi prodigi – conclude il filosofo - sono opera della legge. Solo alla legge gli uomini debbono la giustizia e la libertà. È questo salutare organo della volontà di tutti che ristabilisce nel diritto l'uguaglianza naturale tra gli uomini”. L'atto attraverso il quale viene formalizzata la nascita della comunità politica, l'abbiamo detto, è il contratto sociale; contratto che in Rousseau ha natura affatto differente rispetto allo stesso concetto che troviamo in Hobbes e Locke. Mentre in questo il contratto si basa su una rinuncia totale o parziale alla libertà individuale in Rousseau non c'è nessuna rinuncia, ma una “alienazione”. Si tratta di un contratto tra eguali fondato su un piano di perfetta reciprocità.

I cittadini non cedono sovranità ad un sovrano, ma la alienano a sé stessi decidendo di autogovernarsi come comunità e non più come singolo attraverso la volontà generale e non più attraverso la sola volontà individuale. Ma cosa vuol dire “volontà generale”? Essa non rappresenta la somma delle volontà dei singoli, dice espressamente Rousseau. È qualcosa di più e di diverso. E in che modo tale volontà può dar vita attraverso l'opera “grande e difficile” del legislatore – qui Rousseau ha in mente le figure carismatiche dei grandi legislatori: Licurgo, Numa, Salone, Mosè - ad una costituzione, capace, non tanto di indirizzare l'azione dell'uomo, ma di favorirne l'autorealizzazione?

Perché Rousseau è convinto che la volontà dei cittadini non si possa esprimere attraverso gli strumenti di rappresentanza tipici delle nostre democrazie? E come è possibile evitare che la volontà generale alla quale ogni cittadino dovrà obbedire, a costo di “essere costretto ad essere libero”, per usare una delle più controverse espressioni del filosofo ginevrino, si trasformi in dispotismo totalitario?

Questi sono nodi centrali del Contratto Sociale che cercheremo di sciogliere nei prossimi appuntamenti di Mind the Economy, tenendo sempre a mente che tale opera rappresenta, non solo, come sostiene John Rawls, il più grande libro di filosofia politica mai scritto in francese, ma soprattutto il punto d'arrivo di un secolo di riflessioni intorno a due delle idee fondamentali della filosofia politica moderna: la natura contrattuale della nascita delle istituzioni politiche e il fondamento individuale della legittimità di tale potere.

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