I Commenti de "Il Sole 24 Ore" - Mind the Economy, la serie di articoli di Vittorio Pelligra sul Sole 24 ore.
di Vittorio Pelligra
Pubblicato su Il Sole 24 Ore il 04/12/2022
Le illusioni cognitive sono come le illusioni ottiche, ci portano sistematicamente fuori strada e sono prevedibili. Sono prevedibili perché non ci inducono semplicemente in errore, ma distorcono sistematicamente i nostri giudizi. Se diamo un'occhiata ai due tavoli che appaiono nella famosa illusione di Sheppard il tavolo orientato in verticale ci apparirà invariabilmente più lungo del tavolo orientato orizzontalmente benché le sue dimensioni siano esattamente le stesse dell'altro tavolo.
Non capita mai, però, l'inverso; che il tavolo verticale appaia più corto di quello orizzontale. Questo genere di errore sistematico viene definito dagli psicologi come un «bias», una distorsione. Così come la nostra percezione visiva può essere ingannata da un'illusione ottica così anche i nostri giudizi e le nostre decisioni possono essere influenzate da equivalenti illusioni cognitive. Immaginate che in uno stagno, per esempio, ci sia una pianta di ninfee. Ogni giorno, le dimensioni della pianta raddoppiano.
Se ci vogliono 48 giorni affinché le ninfee ricoprano l'intero lago, quanto tempo ci vorrà perché la pianta ne copra la metà? A questo punto nella testa della maggior parte di noi è comparso il numero 24 anche se la risposta corretta è 47. Però il 24 è il primo numero che viene in mente alla maggior parte di noi. È un errore? Non tecnicamente. Perché se si trattasse di un errore vero e proprio allora ad alcuni sarebbe dovuto venire in mente il 26, a qualcun altro il 33, il 40 oppure il 22. Quelli sarebbero errori propri.
Il «bias» della debolezza della volontà
Nel nostro caso invece si tratta di una “distorsione”, sistematica e quindi prevedibile. Esistono moltissime di queste distorsioni e sono legate al funzionamento della nostra memoria, alla scarsa dimestichezza con le probabilità, all'ancoraggio al passato, all'inerzia, all'eccessivo ottimismo e fiducia che nutriamo in noi stessi e così via. Il premio Nobel per l'economia Richard Thaler e il giurista Cass Sunstein hanno proposto nel loro libro «Nudge», che i decisori pubblici possano utilizzare volontariamente queste distorsioni per indurre i cittadini ad operare scelte migliori sulla base delle preferenze di quegli stessi cittadini. Un approccio realistico che prende le mosse dalla constatazione del fatto che le persone reali sono molto differenti dai decisori razionali degli economisti e che questa differenza, a volte, porta alla creazione di ambienti di scelta che facilitano proprio quelle scelte che vorremmo evitare.
Uno dei bias più diffusi e potenti è legato alla debolezza della volontà o all'“akrasia” come la definivano i greci. Gli economisti parlano, al riguardo, di incoerenza dinamica (dynamic inconsistency): oggi preferisco fare una certa cosa domani, ma quando domani arriva, preferirò fare il contrario di quello che ieri preferivo. Ieri sera ho deciso di mettere la sveglia presto per iniziare la giornata di oggi con una bella sessione di esercizi mattutini, ma quando stamattina la sveglia ha suonato presto ho preferito spegnerla e continuare a dormire un altro po' piuttosto che alzarmi per fare gli esercizi. Questa incoerenza dinamica può produrre effetti anche molto gravi. Molto spesso ci diamo degli obiettivi che possono essere raggiunti solo attraverso l'ottenimento di risultati intermedi: per laurearmi devo superare un certo numero di esami; per dimagrire devo fare esercizio e regolare l'alimentazione ogni giorno; per poter finanziare gli studi dei miei figli devo mettere da parte qualcosa mese dopo mese, eccetera.
In tutti questi casi interviene molto spesso l'akrasia che insieme alla «incoerenza dinamica» fa si che dopo un piccolo fallimento, il mancato raggiungimento di un obiettivo intermedio – non ho superato uno dei tanti esami che devo superare per laurearmi, ho saltato una settimana in palestra, non ho risparmiato abbastanza in un certo mese – riduce la nostra motivazione e la nostra convinzione a voler perseguire l'obiettivo finale. Un piccolo incidente di percorso rischia di mettere a dura prova la nostra persistenza dopo il fallimento. Non sempre è così e non per tutti. Le ricerche mostrano che il tipo di reazione dipende dal nostro livello di autostima, dalla capacità di attribuire il fallimento a ragioni esterne e indipendenti dalla nostra volontà e dall'importanza che attribuiamo all'obiettivo finale.
Come cambiare sguardo sui nostri stessi obiettivi
In ogni caso è sempre probabile che un piccolo fallimento oggi ne determini uno più grande domani. Una ricerca pubblicata qualche mese fa da Marissa Sharif e Suzanne Shu della Wharton School dell'Università della Pennsylvania e della Business School della Cornell University («Nudging persistence after failure through emergency reserves», Organizational Behavior and Human Decision Processes 163, pp. 17-29, 2021) mostra com'è possibile ridurre l'effetto della incoerenza dinamica semplicemente pensando in maniera differente agli obiettivi che ci poniamo. Possiamo, cioè, porci gli stessi obiettivi ma descriverli in maniera differente e questo può aiutarci a persistere dopo un fallimento. Per esempio, porci l'obiettivo di andare in palestra sette giorni alla settimana con due giorni di «possibili eccezioni» ha maggiore probabilità farci persistere dopo un fallimento, uno o più giorni mancati, rispetto al caso in cui descriviamo quello stesso obiettivo come il desiderio di andare in palestra cinque giorni alla settimana.
Più specificamente, si dimostra come la definizione di obiettivi con «possibili eccezioni» o «riserve di emergenza», come anche vengono chiamate, riesce a ridurre in molti casi l'impatto negativo del fallimento nel raggiungere un singolo sotto-obiettivo preliminare. Modificare questa concettualizzazione degli obiettivi che ci vogliamo porre rappresenta una forma di «nudging» secondo la definizione di Thaler e Sunstein perché non implica nessun tipo di divieto o nessuna variazione dei costi associati al compimento di una certa scelta. Si tratta semplicemente di alleviare la pressione cui i nostri obiettivi ci sottopongono creando a parità di risultato una descrizione degli stessi più rilassata e flessibile.
Perché l’umiliazione non ha alcun valore educativo
Analogamente, nell'ambito delle organizzazioni, i manager potrebbero fissare dei risultati attesi dando però ai collaboratori la possibilità di utilizzare un certo numero di «pass di emergenza» in caso di forza maggiore. Un po' come le giustificazioni che i nostri figli possono utilizzare per saltare le interrogazioni quando non si sentono troppo pronti o perché, per qualche ragione, quel giorno non hanno potuto studiare a sufficienza. Questo continuerebbe a preservare la loro motivazione e, in definitiva, renderebbe maggiore la probabilità di raggiungimento dell'obiettivo finale. L'umiliazione derivante dal fallimento non ha una valenza per niente educativa. Chi lo sostiene ha una visione piuttosto distorta di come funziona la nostra mente. Speriamo che nessuno con una simile mentalità si veda affidate responsabilità di rilievo, men che meno in ambito educativo.