Mind the economy

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Punizioni altruistiche? Il ruolo delle emozioni nello sviluppo della cooperazione umana

I Commenti de "Il Sole 24 Ore" - Mind the Economy, la serie di articoli di Vittorio Pelligra sul Sole 24 ore

di Vittorio Pelligra

pubblicato su Il Sole 24 ore del 08/05/2022

Uno dei problemi principali che ostacolano l'emergenza della cooperazione sociale è il disallineamento che esiste tra interessi individuali ed interessi collettivi. La protezione dell'ambiente naturale, la gestione efficiente dei beni comuni, la fedeltà fiscale, la corruzione, il buon funzionamento di organizzazioni complesse, il contributo ragionato al dibattito pubblico, il sostegno alle istituzioni democratiche, sono tutti esempi di situazioni nelle quali il perseguimento del mero interesse individuale può precludere il raggiungimento di esiti ottimali da un punto di vista sociale.

I comportamenti opportunistici

In tutti questi casi, infatti, ed in molti altri, le parti in causa hanno sempre la tentazione del free-riding, di mettere in atto, cioè, comportamenti opportunistici volti al godimento dei benefici ottenuti grazie al contributo e al sacrificio degli altri anche in assenza di un contributo e di un proprio sacrificio. Il free-rider è colui che, letteralmente, utilizza i mezzi pubblici senza pagare il biglietto. Mezzi pubblici che potranno continuare a funzionare grazie ai biglietti pagati da tutti gli altri utilizzatori.

Il problema è che l'atteggiamento del free-rider è contagioso; a nessuno piace sostenere dei costi per contribuire al benessere di un opportunista scroccone. Ma se il numero di contagiati dalla tentazione del free-riding dovesse superare una certa soglia, il contributo dei pochi onesti ancora rimasti non sarebbe sufficiente alla produzione del bene pubblico, al funzionamento del servizio di trasporto, nel nostro esempio, che quindi verrebbe chiuso.

Il tentativo degli opportunisti di godere di un beneficio derivante da un bene pubblico senza sopportare il costo individuale connesso alla sua produzione porterà, infine, alla produzione di un livello subottimale del bene o del servizio pubblico, quando non direttamente alla sua scomparsa. È quindi il tentativo stesso di massimizzare da un punto di vista individuale il proprio interesse a determinare un risultato inefficiente sia da una prospettiva collettiva che individuale.

Questa previsione è stata confermata oltre che da molteplici osservazioni sul campo e studi empirici, anche, come abbiamo visto nel Mind the Economy di due settimane fa, dagli esperimenti di Ernst Fehr e Simon Gächter sul Public Good Game, e di tutti quelli che li hanno seguiti in questo filone di studi (cfr. Drouvelis, M., (2021). Social Preferences: An Introduction to Behavioural Economics and Experimental Research. Newcastle Upon Tyne. Agenda Publishing).

Monitoraggio e sanzione dei comportamenti

Ecco perché i processi cooperativi alla base della produzione dei beni pubblici – il rispetto dell'ambiente, il pagamento delle tasse, il lavoro di gruppo – vanno strettamente monitorati ed i comportamenti opportunistici eventualmente sanzionati da un soggetto terzo, il Leviatano, pubblico o privato, al quale viene assegnato questo legittimo potere.

La necessità di una autorità esterna di monitoraggio e sanzionamento, naturalmente, introduce inefficienze nel sistema. I poliziotti vanno pagati, del resto, così come i giudici e i supervisori in genere. Ma questa non è l'unica via per favorire l'emergenza della cooperazione. Lo scenario cambia radicalmente, infatti, e questa è il principale risultato di Fehr e Gächter, quando si creano meccanismi di punizione decentralizzata. Quando cioè, per esempio, si consente direttamente ai singoli di punire in maniera costosa i free-rider. Provate a saltare una fila in Inghilterra o a buttare una cartaccia in Svizzera o a lasciare una bottiglietta di plastica su un sentiero montano in Trentino. Suscitereste immediatamente la reazione indignata di chi osserva il vostro gesto: una punizione verbale ed informale che vi fa notare quanto il vostro comportamento sia lontano dagli standard adottati ed attesi in quella comunità.

Le “punizioni altruistiche”

Nelle società egualitarie di cacciatori e raccoglitori, in assenza di gerarchie e di poteri sovraordinati, questo genere di punizioni erano l'unico mezzo per sostenere la cooperazione sociale. Ho raccontato altrove la storia di Cephu un membro anziano di una tribù di pigmei attivi nell'Africa centrale studiata dall'antropologo Richard Turnbull che visse con loro per molti anni. Durante una battuta di caccia Cephu cercò di avvantaggiarsi a spese dei suoi compagni di caccia. Il piano riuscì e Cephu tornò al villaggio con un ricco bottino di prede. Ma l'accoglienza non fu delle migliori. Cephu venne dapprima ignorato, poi umiliato, minacciato ed infine espulso dalla tribù assieme a tutto il suo clan. Una vera e propria condanna a morte e non solo sociale. Solo dopo molto tempo e molti gesti di sottomissione anche dei membri più giovani, Cephu e i suoi vennero riaccolti nella tribù.

Ma il comportamento dei pigmei non è certo l'unico in questo senso. I Tunuvivi australiani puniscono l'opportunismo lanciando spine sulle gambe nude dei free-riders, gli Hadza della Tanzania impediscono loro l'accesso alle risorse d'acqua, i Turkana del Kenya li legano ad un albero dove verranno sferzato da un gruppo di coetanei. Questi sistemi sociali hanno potuto sopravvivere alla forza centrifuga dell'opportunismo dei free-riders perché hanno sviluppato codici di condotta e severe punizioni per i violatori. Punizioni fatte ora di biasimo, di ostracismo, a volte di punizioni fisiche che potevano arrivare perfino all'uccisione.

Sanzionamento decentralizzato

È questo meccanismo di sanzionamento decentralizzato che, secondo alcuni, ha portato ad una vera e propria forma di “autodomesticazione” della nostra specie, attraverso l'allontanamento e l'eliminazione dei soggetti devianti, i più violenti e i meno cooperativi (Wrangham, R., 2019. “Il paradosso della bontà. La strana relazione tra convivenza e violenza nell’evoluzione umana”. Torino, Bollati Boringhieri).

Queste forme di punizione, che anche gli esperimenti di Fehr e Gächter trovano essere particolarmente efficaci come deterrente all'opportunismo e quindi come mezzo per il rafforzamento di norme sociale di cooperazione, sono dette “punizioni altruistiche” perché sono costose per chi le mette in pratica e producono solo raramente dei benefici diretti per i punitori. I loro benefici, infatti, nei termini di una maggiore cooperazione, ricadono su tutta la comunità, anche, dunque, su chi non ha direttamente subito il costo legato all'erogazione della punizione.

Le motivazioni per una punizione

Qui, allora, si pone un altro problema. Nelle parole sempre di Fehr e Gächter: «La punizione fornisce una soluzione al problema [della cooperazione di ampi gruppi]. Se i free-riders vengono puniti, cooperare diventa conveniente per tutti. Però questa “soluzione” pone la questione di chi sopporterà il costo della punizione. Tutti nel gruppo staranno meglio se il free riding viene dissuaso, ma nessuno ha un incentivo per punire i free-rider. Pertanto, la punizione dei free-rider costituisce un bene pubblico di secondo ordine. Il problema dei beni pubblici di secondo ordine può essere risolto se un numero sufficiente di esseri umani tende alla punizione altruistica, cioè se sono motivati a punire i free-rider anche se è costoso e non produce benefici materiali per i punitori» (“Altruistic punishment in humans”, Nature, n. 415, January 2002).

Il ruolo cruciale delle emozioni

Perché, dunque, le persone sono disposte a sacrificarsi nel punire gli opportunisti anche se non ne avranno nessun beneficio diretto? L'evidenza sperimentale sembra mostrare che a proposito le emozioni giochino un ruolo cruciale. Fehr e Gächter trovano, per esempio, che in un Public Good Game, la differenza tra il livello cooperazione di un soggetto e quello osservato da parte di un free-rider è proporzionale al livello di rabbia e irritazione sperimentato dal soggetto in questione. Più fai il furbo più susciti emozioni negative in chi si sente oltraggiato dal tuo opportunismo. L'attivazione di queste emozioni negative è il grilletto che fa scattare la disponibilità alla punizione altruistica. Non solo, ma i risultati sperimentali mostrano che tale reazione è attesa anche da parte dei potenziali free-rider che, quindi, anticipando la possibilità di venire puniti, anche se non per ragioni del tutto disinteressate, decidono di cooperare.

Questo genere di spiegazione è coerente con molti dettagli dei risultati degli esperimenti. In primo luogo, se sono veramente le emozioni a far scattare la punizione, questa, allora dovrebbe essere messa in atto da chi ha cooperato di più di coloro che vengono puniti. E infatti più del 70% dei casi di punizione è coerente con questa previsione. In secondo luogo, l'entità della punizione aumenta con la differenza tra quanto ha contribuito il punitore e quanto ha fatto il free-rider che viene punito. Questo è esattamente ciò che ci si aspetterebbe se le emozioni negative fossero davvero la causa scatenante della punizione, perché le emozioni negative diventano più intense all'aumentare del livello di opportunismo.

In terzo luogo, se le emozioni negative causano una punizione, la minaccia della punizione, pur non essendo economicamente credibile, proprio perché eccessivamente costosa, diventa psicologicamente credibile perché la maggior parte delle persone, anche i potenziali free-rider, riesce a capire che tipo di reazione il loro opportunismo scatenerebbe. Questo spiega perché si coopera quando c'è la possibilità di punizione e invece no, in assenza di tale possibilità.

L’efficacia della punizione

Le punizioni sono efficaci anche quando sono puramente simboliche. In un interessante esperimento condotto in diciotto comunità rurali dello Zimbabwe, dall'economista inglese Abigail Barr, allora all'Università di Oxford, la punizione che i partecipanti al gioco dei beni pubblici potevano esercitare non aveva niente a che fare con la riduzione dei guadagni dei free-riders, così come avviene nel paradigma standard. In questo caso dopo aver osservato le scelte di ogni giocatore, ai partecipanti veniva data la possibilità di mandare un messaggio verbale agli altri partecipanti. Naturalmente molti dei free-rider ricevevano messaggi di biasimo e, se anche questi non avevano nessun impatto sui loro guadagni, si dimostravano efficaci nel convincerli a cooperare maggiormente nei periodi successivi. Interessante notare che lo stesso effetto, ancora più pronunciato, si è osservato da parte di quei free-rider che avevano contribuito tanto poco, quanto quelli biasimati ma che non erano stati fatti oggetto di una comunicazione esplicita.

Questione di legittimazione

La punizione altruistica è un meccanismo molto potente ma anche pericoloso, su cui fondare la vita delle comunità; lo vedremo meglio la prossima settimana. Per questo la sua efficacia è tanto maggiore e i suoi effetti collaterali tanto meno gravi, quanto maggiore è la legittimazione che viene attribuita dai singoli all'uso di questo meccanismo. In altre parole, la punizione altruistica è realmente efficace solo se considerata legittima e coerente con norme sociali ampiamente accettate dalla comunità. Questo aspetto emerge chiaramente dai risultati dell'esperimento condotto da Arhan Ertan, Talbot Page e Louis Putterman (“Who to Punish? Individual Decisions and Majority Rule in the Solution of Free Rider Problems,” European Economic Review 3 (2009), pp. 495–511).

I tre hanno modificato il Public Good Game standard permettendo ai partecipanti, prima di prendere parte all'esperimento, di votare se la punizione dovesse essere consentita oppure no. Da una parte, infatti, la punizione rappresenta un costo sia per chi la riceva ma anche per chi la commina, ma, d'altra parte, aiuta a sostenere la cooperazione che poi va a vantaggio di tutti. I risultati dello studio mostrano varie cose: la prima è che la maggior parte dei partecipanti ha votato per consentire la punizione dandosi, così, la possibilità di punire gli opportunisti, ma decidendo di correre il rischio di essere a loro volta puniti. In secondo luogo, la maggior parte dei gruppi ha votato per impedire la possibilità che la punizione venisse comminata a chi aveva contribuito più della media. È possibile punire, cioè, solo gli opportunisti e non i partecipanti troppo zelanti. La regola della punizione, così legittimata dal voto della maggioranza, si è dimostrata essere particolarmente efficace e poco dispendiosa.

Molti altri elementi impattano sull'efficacia di questo strumento: la dimensione culturale, la possibilità che i punitori vengano a loro volta puniti. Il rischio che si sviluppino delle vere e proprie faide, anche in laboratorio. Analizzeremo a fondo tutti questi elementi. Concludiamo qui sottolineando ancora una volta come, anche grazie a questi meccanismi informali di promozione della cooperazione, le nostre comunità sono in grado di raggiungere risultati di efficienza impossibili da raggiungere se ognuno di noi seguisse solo la logica della massimizzazione del guadagno materiale. Chi progetta istituzioni e chi scrive leggi dovrebbe sempre mantenerlo a mente, perché il rischio che le norme formali distruggano quelle informali, vanificandone gli effetti positivi, è concreto e sempre presente. Ecco perché, ancora una volta, è utile ribadire che non si possono costruire teorie giuste su una antropologia sbagliata e pratiche e politiche efficaci su teorie incomplete.

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