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Rassegna stampa - Lavoro e solidarietà. Trent’anni fa l’intuizione di Chiara Lubich

di Igor Traboni

pubblicato su L'Osservatore Romano il 02/06/2021

Sono passati esattamente trent’anni da quando Chiara Lubich, atterrando a San Paolo del Brasile, rimase colpita dall’assurdo contrasto che si profilava dal finestrino dell’aereo: grattacieli da una parte, favelas dall’altra. Fu in quell’istante che la Lubich capì che bisognava fare qualcosa di “economico”, anche se la fondatrice del movimento dei Focolari di quella materia sapeva ben poco.

Eppure nacque praticamente allora e proprio così «l’economia di comunione», esperimento diventato poi subito realtà e consolidatosi nei tre decenni successivi, sempre con i poveri al centro di un sistema di aiuti globale. Tanto che oggi quella ulteriore intuizione della giovane cresciuta sulle montagne del Trentino e poi assurta alla guida di un movimento mondiale, abbraccia tutto il mondo e comprende oltre 1.000 aziende che aderiscono al progetto o ad esso si ispirano, quindici incubatori aziendali per lo sviluppo di nuove imprese in altrettanti Paesi, sei progetti di sviluppo integrale in corso, oltre 400 tesi di laurea. Una rete che coinvolge imprenditori, lavoratori, dirigenti, consumatori, risparmiatori, cittadini, studiosi, operatori economici: tutti impegnati ai vari livelli a promuovere una prassi ed una cultura economica improntata alla comunione, alla gratuità ed alla reciprocità, proponendo e vivendo uno stile di vita alternativo a quello dominante nel sistema capitalistico. Un progetto formativo. Secondo quella che è stata per l’appunto intuizione iniziale e carismatica di Chiara Lubich, i luoghi fondativi e fondamentali nei quali sviluppare e rendere visibile l’economia di comunione sono i «Poli», produttivi e industriali, all’interno delle Cittadelle dei Focolari.

Anche se l’esperienza complessiva di questa economia del dare non può essere circoscritta al solo movimento dei Focolari, come argomenta con cognizione di causa su «Città Nuova» il giornalista Carlo Cefaloni: «Il fascino di un’economia di comunione, anche solo come termine, travalica l’appartenenza ad un movimento, seppur variegato e planetario come quello dei Focolari, perché risponde ad un desiderio inscritto nella nostra stessa umanità, nonostante la secolare narrazione che la vede avanzare solo grazie all’interesse individuale del possesso».

Per celebrare nel migliore dei modi questa cultura del dare, contrapposta al consumismo dell’avere, la Cittadella di Loppiano ha ospitato il 29 maggio un congresso in presenza ma anche online, con centinaia di ospiti collegati da tutti i continenti e traduzione in sei lingue, per testimonianze, ricordi, analisi del presente e sguardo proiettato al futuro.

«Indubbiamente — dichiara l’economista e accademico Stefano Zamagni, presidente della Pontificia Accademia delle Scienze Sociali e tra i primi a sviluppare queste tesi — Chiara Lubich lanciò una sfida intellettuale senza precedenti, grazie al suo carisma particolare, lei che non aveva una formazione economica. L’economia di comunione ha poi avuto un impatto notevole, sia dal punto di vista teorico che della prassi. Quell’intuizione è valsa a riportare in auge una tradizione del pensiero tipicamente italiana che è quella dell’economia civile, nata a Napoli nel 1753 nell’alveo della dottrina sociale della Chiesa, poi però finita fuori uso, e quindi di fatto ha rinverdito la memoria di quel paradigma, poi diventata una valanga, fino all’“Economia di Francesco di Assisi” del novembre scorso. Ecco, c’è questo lungo filo conduttore che si dipana dal progetto del 1991, quindi attraversa le prime riflessioni sul tema, poi i corsi di laurea (mio il primo a Bologna, poi anche alla Lumsa di Roma con Luigino Bruni) e ora con l’economia di Papa Francesco». Zamagni ricorda come «quell’esperimento di 30 anni fa allora poteva sembrare un’utopia, un’illusione, ed in effetti molti lo pensavano, tanto che fino alla fine degli anni ’90 irridevano l’economia di comunione, mentre oggi nessuno più se la sentirebbe di fare altrettanto».

A proposito dell’oggi e soprattutto del domani, quanto bisogno c’è ancora di una economia di comunione? «Si tratta — argomenta il professor Zamagni — di un progetto specifico di chi si riconosce in un determinato carisma, ma quegli elementi li troviamo anche altrove: quel progetto è stato come un profeta, quindi uno che anticipa. Per il futuro, tutti quelli che guardano a questo progetto, perché afferiscono direttamente o indirettamente al movimento dei Focolari, hanno sulle spalle la bella responsabilità di portare il peso di un esperimento che però ormai è diffuso: come fare per continuare ad essere innovativi sul duplice fronte della riflessione economica e della prassi; questo è il motivo per cui sono importanti il convegno di Loppiano e altri che seguiranno. All’inizio la vita è facile, parti da zero e ogni cosa che ottieni è un miglioramento, ma quando hai raggiunto una certa soglia, è allora che continuare a svilupparsi è difficile. Però sono sicuro — auspica Zamagni — che ci saranno le forze in futuro che porteranno ad un ulteriore avanzamento di quel progetto iniziale».

Attualità che non può non far di conto con l’emergenza pandemica che stiamo vivendo e che, come è sotto gli occhi di tutti, sta aumentando proprio quelle differenze tra grattacieli e favelas che tanto colpirono Chiara Lubich nel maggio di 30 anni fa: «Sicuramente la pandemia ha acuito le diseguaglianze e la povertà relativa», conferma Zamagni, che comunque aggiunge: «È anche vero che non possiamo enfatizzare troppo, perché alla fine dell’anno questa pandemia avrà cessato il suo corso, ma mentre nel passato le pandemie e le epidemie servivano a ridurre le diseguaglianze, questa le aumenta. Una volta, infatti, le epidemie colpivano i ceti più bassi, quindi veniva meno la forza-lavoro e di conseguenza le imprese per poter avere chi lavorava dovevano pagare di più; oggi non è più così, ma il problema è molto più serio anche se nessuno ne parla: è vero che la pandemia riduce l’offerta di lavoro, ma come mai non scatta quel meccanismo di allora? La risposta è: quarta rivoluzione industriale. Le imprese rispondono alla diminuzione dell’offerta sostituendo le macchine, nel senso di robot, ai lavoratori. Ce ne accorgeremo alla fine di quest’anno, quando avremo un milione e mezzo di disoccupati in più ma non li vorrà nessuno, perché quello che facevano loro, lo faranno fare ai robot».

Un rischio grosso lo corrono anche i giovani, ulteriore riflessione rispetto alla quale Zamagni non si sottrae. «La realtà italiana dei giovani è ambivalente: da un lato sono preoccupati per tutto quello che abbiamo detto, ma dall’altra non mi sembra facciano molto per cambiarla. Li vedo lì, con le braccia aperte, a dirmi. “Ma lo Stato deve fare qualcosa per noi”… Si lamentano ma non fanno nulla, guardano la vita affacciati al balcone, cosa che non va fatta, come ha ricordato Papa Francesco. Neppure, ad esempio, si interessano di politica, eppure sempre Papa Francesco ha ricordato loro che se non si occupano di politica le cose non miglioreranno. Certo, c’è una responsabilità in capo a noi adulti ed è chiaro che i giovani vanno aiutati, ma non stando lì a dire “poverini”, ma piuttosto educandoli, mentre oggi non si fa più educazione».

Nel corso dell’incontro di Loppiano, l’economista riminese ha poi ripreso «una parola che è scomparsa dall’uso almeno da un secolo: conazione. Una parola che venne coniata da Aristotele, nata dalla crasi tra conoscenza ed azione che vuol dire che la conoscenza deve essere messa al servizio della azione e l’azione non può essere esercitata e portare frutti se non su una base di conoscenza».

All’incontro per i 30 anni dell’economia di comunione ha portato un prezioso contributo ovviamente anche il professor Luigino Bruni, che di questo progetto è il coordinatore e che ha promosso la Scuola di economia civile all’Istituto universitario Sophia di Loppiano, oltre ad insegnare economia alla Lumsa e a scrivere saggi di successo: «Quella di comunione — ha detto tra l’altro — è anche un’economia delle beatitudini: mite e pura, volta a costruire pace, che è povera ma è anche femminile, mariana in senso carismatico; ma anche un’economia che piange ed è consolata dalla giustizia ed è beata in quanto è l’economia del regno dei cieli».

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