Economia narrativa

Economia narrativa/1 - Con il capolavoro letterario dello scrittore abruzzese inizia un nuovo viaggio attraverso storie (e parole) custodi di un mondo

di Luigino Bruni

pubblicato su Avvenireil 13/10/2024

«Per ordine del podestà sono proibiti tutti i ragionamenti»
Ignazio Silone, Fontamara, p. 89

Inizia con Fontamara una nuova serie attraverso alcuni capolavori della letteratura, in cerca di nuove parole per l’economia e per il nostro tempo difficile.

Se ci bastasse la realtà non ci sarebbe bisogno della letteratura. Siamo infinito, i romanzi accorciano la distanza tra noi e l’eternità; siamo desiderio, gli scrittori aumentano le cose desiderabili perché i sogni ad occhi chiusi sono troppo poco. La gioia si nutre anche dei mondi creati dalla letteratura, la nostra giustizia cresce mentre ci indigniamo leggendo un romanzo, abbiamo imparato la pietas dai genitori e dagli amici ma anche dalle fiabe e dai racconti degli scrittori. Non saremmo stati capaci di immaginare la terra promessa della democrazia, della libertà e dei diritti se non l’avessimo incontrata nei miti e nei romanzi, intravista in una poesia. Abbiamo conosciuto Dio perché la Bibbia ce lo ha insegnato attraverso racconti, e le parole umane hanno custodito un’altra Parola. Tutte le fedi finiranno nel triste giorno in cui smetteremo di scrivere storie, e di raccontarcele.

Economia narrativa/4 - Lo sguardo capace di onore e rispetto sulla spiritualità dei contadini del meridione nel romanzo-capolavoro del ‘900

di Luigino Bruni

pubblicato su Avvenireil 03/11/2024

Dalle esperienze di confino di un altro antifascista, Levi, nacque Cristo si è fermato ad Eboli, che vuole essere ed è l'opera di un letterato, ma a cui noi tutti dobbiamo qualche cosa di più di una semplice suggestione letteraria.”

Ernesto de Martino, La terra del rimorso, 1961, p. 28

Con il Cristo si è fermato ad Eboli Carlo Levi ci svela l’anima della gente lucana, e ci porta dentro la loro religiosità, forse più cristiana di quanto Levi non pensasse.

Cristo si è fermato ad Eboli è parte della coscienza morale del secondo Novecento italiano ed europeo. Carlo Levi e Ignazio Silone ci hanno mostrato un’anima popolare dell’Italia meridiana, contadina e povera molto più complessa e ricca di come l’avevano descritta i primi storici moderni e illuministi, per i quali quei contadini italiani erano semplicemente ‘pagani’, molto simili se non identici agli abitanti pre-cristiani della Magna Grecia; come se il cristianesimo non fosse mai passato in quelle terre rurali del Sud, che, per la poca o inesistente cultura cristiana, erano state già definite dai gesuiti del ‘600 le ‘Indie d’Italia’. Cristo non si era fermato solo a Eboli: non era mai uscito dalle mura aureliane di Roma, dai seminari e dai trattati di teologia.

Economia narrativa/9 - Il Logos che ha preso la nostra carne ama dialogare. E si apre a imprevedibili cirenei

di Luigino Bruni

pubblicato su Avvenire il 08/12/2024

Io invece ogni giorno
a qualche orlo di piazza,
a uno sbocco di strade.
Nel giorno, sempre,
a cercare un pane per chi ha fame,
a portare lume,
nella notte a tutta la città.
Straniero agli stessi fratelli
sola compagnia una fede
che è mistero a me stesso.

Davide Maria Turoldo, ‘Sola Compagnia’, in Udii una voce, 1952

Don Camillo nei suoi dialoghi col Crocifisso dà del ‘tu’ a Dio, e ci ricorda che il tu è l’unico pronome giusto della fede.

Una delle novità radicali portate dal Cristianesimo è la buona notizia dell’Eterno che è diventato uno di noi. Non c’è nulla di più umanistico ed umano del Dio di Gesù Cristo, che ha dato del ‘tu’ alle donne e agli uomini, e ci ha insegnato come dare del ‘tu’ a Dio. Eppure, lo stesso Cristianesimo ha presto disimparato questa vicinanza assoluta e ha applicato alla divinità gli stessi privilegi (amplificati) dei re, dei potenti, dei grandi, facendo di Dio ‘il Re dei re’, l’Altissimo sopra tutti i sovrani. Lo abbiamo così immaginato talmente lontano nell’alto dei cieli che per raggiungerlo ci voleva l’intercessione dei santi e della Madonna, perché loro sì erano vicini, quindi ci capivano, come se il Dio cristiano non fosse più vicino di tutti i santi e le sante messi insieme. Questo era anche il mondo religioso di Guareschi, che invece si inventò e ci donò un don Camillo che parlava tutti i giorni con Dio come si parla con un amico. Come Mosè, che, ci dice la Bibbia, è stato il solo uomo a parlare con Dio faccia-a-faccia, “come un uomo parla con un altro uomo” (Es 33,11). L’unico uomo Mosè. … insieme a don Camillo, il prete di Guareschi che dà spesso del ‘tu’ al suo Dio (e anche quando con Gesù usa il ‘voi’, è sempre un tu). Questo tu-a-tu lo conoscevano anche i poveri che non possedendo abbastanza sintassi per i ‘lei’ e i ‘voi’, erano e sono costretti ad usare l’unico pronome veramente cristiano della preghiera: il ‘tu’.

Economia narrativa/3 - L’intera esistenza di un cristiano, dice il Celestino V di Silone, ha uno scopo: diventare semplice

di Luigino Bruni

pubblicato su Avvenireil 27/10/2024

Veramente preziosi sono i doni che la vita ci fa; preziosi e strani, risponde Marta. Chi vuole goderli, e si affanna per goderli, e si angustia dalla mattina alla sera per goderli, non li gode affatto, ma li brucia e incenerisce presto. Strani doni. Chi invece li dimentica, e dimentica se stesso, e si consacra interamente, perdutamente, a qualcuno e a qualche cosa, quegli riceve mille volte più di quello che dà, e alla fine della vita quei doni ricevuti dalla natura sono ancora fiorenti in lui, come grandi rose di maggio.”

Ignazio Silone, Vino e Pane, 1937, p. 18

L’Avventura di un povero cristiano di Ignazio Silone é una profonda riflessione sulla natura del potere, e una meditazione sulla fede come attesa di un Regno che non può tardare.

Chi attraversa, con attenzione, i libri di Ignazio Silone e conosce la sua biografia, non può non riconoscere qualcosa - qualche volta molto - del suo autore in Berardo Viola (Fontamara), Pietro Spina (Il seme sotto la neve), Don Paolo Spada (Vino e Pane), Luca Sabatini (Il segreto di Luca), e infine papa Celestino V (L’avventura di un povero cristiano). Perché, “se uno scrittore mette tutto se stesso nel lavoro (e che altro può metterci?) la sua opera non può non costituire un unico libro” (I. Silone, L’avventura di un povero cristiano, Oscar Mondadori, ed. 2017, p. 6).

Economia narrativa/8 - Critico anticonformista di tutto ciò che appare finto, lo scrittore ha dato voce a personaggi immortali. E a un Gesù che ci commuove

di Luigino Bruni

pubblicato su Avvenire il 01/12/2024

«Ricordo un tramonto percorrendo in auto una strada della Calabria. Non eravamo sicuri del nostro itinerario e fu per noi di grande sollievo incontrare un vecchio pastore. Salì in auto con qualche diffidenza, perché ora, dal finestrino cui sempre guardava, aveva perduto la vista del campanile di Marcellinara. Per quel campanile scomparso, il povero vecchio si sentiva completamente spaesato. Lo riportammo poi indietro in fretta: e sempre stava con la testa fuori del finestrino, scrutando l’orizzonte, per veder riapparire il campanile di Marcellinara».

Ernesto De Martino, La fine del mondo, 2002

Dopo Silone e Levi, iniziano alcuni articoli sul ‘Mondo Piccolo’ di Guareschi, un altro grande sguardo sul mondo popolare di ieri, e sulla sua anima.

Mondo piccolo. È il mondo raccontato da Guareschi, quella “fetta di pianura che sta tra il Po e l’Appenino” (Mondo Piccolo. Don Camillo, 1948, p. xi). Un mondo molto piccolo, troppo piccolo per noi, ma certamente un mondo che ancora ci affascina, ci chiama, ci interroga in un tempo quando il mondo è diventato grande, molto grande, certamente troppo grande per starci bene senza subire l’angoscia dello ‘spaesato’. Lo spaesamento è la grande nota antropologica e spirituale del terzo millennio - abbiamo globalizzato il mondo, abbiamo abbattuto tutti i campanili, e ci stiamo perdendo. Don Camillo e Peppone hanno molti difetti, alcune virtù, ma non sono spaesati: vivono sotto lo stesso campanile simbolico.

Economia narrativa/7 - Dall’amicizia di Gesù con i figli degli uomini sino ai ragazzini di Gagliano, uno spettacolo spirituale che fa rinascere il mondo

di Luigino Bruni

pubblicato su Avvenire il 24/11/2024

Io abitavo al Boscaccio, nella Bassa, con mio padre, mia madre i miei undici fratelli. Mia madre mi consegnava ogni mattina una cesta di pane, un sacchetto di mele o di castagne dolci, mio padre ci metteva in riga nell'aia e ci faceva dire ad alta voce il Pater Noster: poi andavamo con Dio e tornavamo al tramonto. I nostri campi non finivano mai e avremmo potuto correre anche una giornata intera senza sconfinare.”
Giovannino Guareschi, Mondo piccolo

L’incontro di Levi con i bambini ci rivela un’anima dello scrittore, e una dimensione essenziale di ogni civiltà: l’amicizia tra adulti e ragazzi.

Le bambine e i bambini sono il più grande patrimonio dell’umanità. Non solo perché sono la prima fonte di gioia delle donne e delle famiglie, o perché sono il segno che Dio non ci ha dimenticato, né soltanto perché sono per noi l’unica possibilità di un futuro buono. I bambini sono patrimonio dell’universo per il solo loro essere al mondo. In ogni bambino che nasce si rinnova l’alleanza di Elohim, torna a risplendere l’arcobaleno di Noè sulla terra che non è più la stessa dopo la nascita di ogni bambina e di ogni bambino, che può essere il messia, il goel, il riscattatore dal dolore e dalle ingiustizie. Il primo segno, e quello decisivo, che una civiltà ha iniziato il suo declino è l’assenza dei bambini dalle nostre città. L’indice di natalità vale mille volte di più del PIL, perché possiamo anche ridurre il PIL (magari azzerando la produzione di armi e di azzardo) e vivere bene o meglio, ma quando dalle nostre case spariscono i bambini, possiamo solo piangere o pregare. Lungo la via dolorosa, per le donne di Gerusalemme Gesù espresse la sua profezia di sventura con queste parole tremende: «Beate le sterili, i grembi che non hanno generato e le mammelle che non hanno allattato» (Luca 23,29). Una beatitudine all’incontrario - la resurrezione è anche il compimento della profezia del bambino: l’Emmanuele di Isaia. 

Economia narrativa/2 - Dalla gerarchia dei Torlonia al messaggio di Berardo, che muore martire per sconfiggere il suo destino

di Luigino Bruni

pubblicato su Avvenireil 20/10/2024

Sotto il foglio da me faticosamente redatto, tua madre firmava con un segno di croce. Sapevo già che era la firma usuale degli analfabeti; ma, anche se ciò non fosse stato, come si sarebbe potuto immaginare una firma più consona a tua madre? Una piccola croce. Una firma più personale di quella? Ricordo che, l'anno dopo, all'esame di catechismo don Serafino mi chiese di spiegargli il segno della croce. "Esso ci ricorda la passione di nostro Signore" io risposi "ed è anche il modo di firmare degli infelici.”

Ignazio Silone, Il segreto di Luca

La scala sociale di Fontamara ci dona una riflessione sulla commedia umana, sui poveri e sul Cristianesimo, che culmina nella conclusione della storia di Berardo, che muore, martire, per sconfiggere il suo destino.

“E Michele pazientemente gli spiegò la nostra idea: - In capo a tutti c’è Dio, padrone del cielo. Questo ognuno lo sa. Poi viene il principe Torlonia, padrone della terra. Poi vengono le guardie del principe Torlonia. Poi vengono i cani delle guardie del Principe Torlonia. Poi nulla. Poi, ancora nulla. Poi, ancora nulla. Poi vengono i cafoni. Ed è finito.” (1947, p. 34). Questo è forse il brano più noto di Fontamara di Ignazio Silone, perché è la sintesi del suo spirito e possiede una straordinaria forza lirica ed etica.

Economia Narrativa/10 - L’estraneità degli umili rispetto ai codici delle classi colte (e della Chiesa) ha prodotto uno spaesamento che si ripropone ancora oggi

di Luigino Bruni

pubblicato su Avvenire il 15/12/2024

«Continuiamo imperterriti a fare la storia come se gli uomini che ci precedettero, tutti, non fossero vissuti ad altro fuorché a produrre noi; come se i fiori di quest'anno potessero pretendere che le primavere passate, tutte quante le primavere passate, non avevano fiori per proprio conto ma soltanto si succedevano umilmente allo scopo superbo di preparare con i loro fiori di transito e di prova i fiori di quest'anno, i fiori nostri. Non ci riesce di guardare con rispetto a chi ci ha preceduto e pensare che, forse, avevano raggiunto una vita perfetta, più perfetta della nostra. La storia della pietà è in grado di insegnarci tale modestia… L'uomo, nel suo rapporto con Dio, può giungere al proprio compimento più perfetto senza che prima debba aver progredita l'umanità intera perché vi possa giungere lui».

Don Giuseppe de Luca, Introduzione all’archivio per la storia della pietà, p. XLVII

Nel confronto del sindaco con don Camillo, Guareschi mostra la distanza tra la lingua degli istruiti e quella del popolo. E la via per colmarla.

La parola è all’origine della civiltà. L’homo sapiens, animale capace di parola, ha potuto fare cose straordinarie perché, forse 100.000 o 150.000 anni fa, iniziò a parlare. Il linguaggio ha facilitato e affinato la comunicazione dentro e tra i gruppi umani, quindi la cooperazione. In principio, dunque, era la parola. Dopo molto tempo la parola orale divenne anche parola scritta, e con essa nacquero gli scribi, gli specialisti e i padroni della parola, e chi sapeva tradurre le parole in segni detenne un grande potere. La maggior parte della gente continuava a parlare, ma solo una piccola élite sapeva anche scrivere. Tra la parola orale e quella scritta, tra i parlanti e gli scriventi, si venne così a creare un fossato, un conflitto. Gli scribi, poi, crearono le ortografie, le grammatiche, le sintassi, e i padroni della parola definirono quale fosse il modo giusto di scrivere e di parlare. La parola scritta era nata da quella orale ma fu la scrittura a comandare sulla parola orale. Don Camillo, per vocazione e compito, stava dalla parte degli scribi, non da quella del popolo ignorante. Peppone era invece uomo della parola parlata, del dialetto. Questo contrasto emerge con grande forza da uno dei più bei racconti di ‘Mondo Piccolo’: Il proclama.

Economia narrativa/5 - Le figure di donne nel grande romanzo che svelò il Meridione contadino mostrano segreti di relazioni affettive e di memoria religiosa

di Luigino Bruni

pubblicato su Avvenireil 10/11/2024

Ringraziare desidero per il fatto di avere una sorella.

Mariangela Gualtieri, Ringraziare desidero

Due episodi del Cristo di Carlo Levi, l’incontro con sua sorella e il bambino salvato dalla Madonna di Viggiano, ci introducono in un mondo che ha ancora molto da dirci.

Il Cristo si è fermato ad Eboli è, prima di tutto, un libro ricco di episodi scritti con una prosa bellissima, capaci di donarci brani di una umanità tanto bella quanto ormai perduta. Nella prima parte del romanzo, troviamo la visita di Luisa a Carlo Levi, suo fratello. Lei era una celebre neuropsichiatra infantile, nota per i suoi studi pionieristici sull’educazione sessuale dei bambini. Luisa era di quattro anni più grande di Carlo (era nata nel 1898), e il fratello ce ne dona una bellissima descrizione in pagine tra le più intense del romanzo. Al suo arrivo, la vede scendere dall’automobile del ‘tassista’ di Gagliano: “I suoi gesti chiari, il suo vestito semplice, il tono schietto della sua voce, l’aperto sorriso erano quelli a me ben noti, che le avevo sempre conosciuto: ma dopo i lunghi mesi di solitudine… il suo arrivo era quello di un'ambasciatrice di un altro Stato in un paese straniero” (p. 78). È grazie al racconto che Luisa fa al fratello del suo arrivo in treno a Matera che abbiamo forse le pagine più note del Cristo: “Di bambini ce n'era un’infinità… Ho visto dei bambini seduti sull'uscio delle case, le mosche che si posavano sugli occhi, e quelli stavano immobili… Ma la maggior parte avevano delle grandi pance gonfie, enormi, e la faccia gialla e patita per la malaria” (p. 82). Una descrizione tremenda che contrasta, e questa volta il contrasto è tutto buono, con la stupenda Matera di oggi, diventata una delle città europee più belle. L’Italia è stata capace anche di queste metamorfosi civili, che però non devono mai farci dimenticare che la Basilicata e il Sud non sono soltanto quello luminoso di Matera.

Economia narrativa/6 - Nel “Cristo si è fermato a Eboli” un viaggio nella miseria contadina che riflette sull’autentica aspirazione dell’umano

di Luigino Bruni

pubblicato su Avvenireil 17/11/2024

Mi si dirà: non concludo. Rispondo: L’intelligenza non conclude nulla: vede. Se vede.”
Don Giuseppe De Luca, Intorno al Manzoni

La democrazia è una distruzione di regali-obblighi per creare le condizioni per i doni-gratuità. Quelli che non ci sono nel Cristo di Levi.

Gli scrittori, soprattutto i più grandi, prima vedono i loro personaggi, le scene, i paesaggi, i dialoghi, gli spazi vuoti, poi li scrivono. Non si può narrare se prima non si vede. Anche in questo lo scrittore somiglia al profeta biblico, che prima di udire la parola, la vede: “Parola che vide Isaia” (Is 2,1), “Parola che Amos vide” (Am 1,1). “E venne la vigilia di Natale… I contadini e le donne andavano attorno, portando i regali alle case dei signori; qui è uso antico che i poveri rendano omaggio ai ricchi, e rechino i doni, che vengono accolti come cosa dovuta, con sufficienza, e non ricambiati” (Cristo si è fermato a Eboli, p. 181).

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