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L’avventura di mister Patagonia
È arrivata in libreria la scorsa estate l’edizione italiana di Let my people go surfing (Ediciclo editore), la storia di Yvon Chouinard, fondatore di un’azienda controcorrente
di Giampietro Parolin
pubblicato su Città Nuova l'11/02/2019
Alla fine degli anni ’50, guidato dalla grande passione per l’arrampicata su roccia, Yvon Chouinard inizia la produzione di attrezzatura: i suoi chiodi e moschettoni si rivelano ottimi prodotti tanto che, dopo averli venduti direttamente sotto le falesie o le grandi pareti (big wall) nordamericane, nel 1964 inizia la vendita per corrispondenza.
Arrampicatore, surfista, kayakista, sciatore e fabbro, si ritrova suo malgrado imprenditore, producendo attrezzature e vestiti sportivi funzionali e di qualità. Al contempo produttore e consumatore dei prodotti della sua azienda, questo imprenditore “ribelle” innesta ogni idea e decisione su un grande amore per la natura e un immenso impegno per promuoverne rispetto e tutela. È questa sensibilità che orienta il suo percorso aziendale alla sostenibilità in senso lato – ambientale prima di tutto, e di conseguenza sociale –, motivando la ricerca continua dell’innovazione e del miglioramento dei prodotti e dei processi produttivi.
Perché tutto nasce dalla passione e dalla fiducia… è scalando che Yvon si rende conto che i chiodi rovinano la roccia: per questo, inventa l’arrampicata pulita, sostenuta cioè da dadi e blocchetti che, inseriti nelle fessure, possano garantire sicurezza senza deturpare l’ambiente. Passione e fiducia condivisa da dipendenti e clienti, disponibili anche a lunghi tempi di attesa nella stagione estiva, perché Yvon e i suoi collaboratori sono impegnati nelle scalate e agli inizi dell’avventura imprenditoriale si mettono alla forgia solo nei giorni di brutto tempo!
Nel 1972 Chouinard introduce le maglie da rugby e lancia così la linea di abbigliamento, prima referenza di quella che sarà Patagonia: seguiranno poi gli short, i berretti, le giacche anti-pioggia, i piumini, i sacchi a pelo… tutti prodotti ideati, rivisitati, riprogettati nel design e nei materiali per combinare funzionalità e cura. Perché Patagonia vuole funzionare come un ecosistema sano, quando tutti gli elementi che li compongono lavorano in armonia.
Con la crescita dell’azienda e l’aumento dell’età arrivano i figli e le sfide della conciliazione del lavoro con la famiglia: Malinda, moglie di Yvon, sviluppa una delle prime esperienze di asilo nido aziendale, che sarà imitato da altre aziende e diventerà la base per la legislazione federale americana su questo servizio.
Come ogni azienda anche Patagonia ha passato momenti di crisi. Nel 1991 la sfida più grande, la riduzione del personale e la rivisitazione dell’ambito produttivo: ma anche in quella ripartenza, Yvon coglie l’occasione per ripensarsi, per cambiare in modo autentico. Focalizzandosi sull’impatto ambientale dei propri prodotti Patagonia ripensa la propria filiera produttiva a partire dai campi di cotone che forniscono la materia prima: la consapevolezza dei danni provocati sulla natura e sull’uomo dai pesticidi spinge l’azienda alla scelta del cotone biologico, attingendo alla manciata di fattorie che ancora lo producono in California e Texas, per poi selezionare fornitori equo solidali nei vari contesti internazionali. Il percorso è impegnativo, passa dalla revisione delle tecnologie produttive alla comunicazione chiara e trasparente con i clienti delle nuove scelte sui prodotti, viene focalizzata nella codifica e condivisione della filosofia e dei valori che ispirano l’azienda, quella mappa orientante le decisioni in un mondo in continuo cambiamento.
E così, nell’impegno a realizzare tali valori, Patagonia anticipa quella che sarebbe diventata l’economia circolare, e incentiva la riparazione dei propri capi, insegnando ai consumatori come fare e garantendo il servizio presso i propri centri specializzati. Rispetto e riuso portano all’impegno verso il riciclo: per questo, l’ultima frontiera su cui si sfa confrontando Patagonia è una collezione i cui materiali derivano dalla lana e dal goretex riciclati.
Certo la struttura proprietaria conta nella libertà e la pazienza di mantenere la rotta, anche a scapito dei tempi in cui tali scelte si ripagano a livello finanziario. La famiglia Chouinard ancora resiste agli acquirenti che fanno la fila, ogni settimana, per quotarla in borsa. Dal 2012 la finanziaria di controllo, la Lost Arrow corporation, si è registrata come Benefit Corporation: una scelta coerente con quella del 2001 di donare l’1% delle vendite a sostegno della preservazione e del ripristino ambientale. È della fine del 2018 la notizia che Patagonia ha donato i 10 milioni di dollari risparmiati dalle recenti riduzioni fiscali decise da Donald Trump ai gruppi di protezione ambientale. «Il nostro pianeta ne ha più bisogno di noi» ha commentato il capo azienda Rose Marcario.