Mind the economy

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Locke e la fiducia come fondamento del potere politico

I Commenti de «Il Sole 24 Ore» - Mind the Economy, la serie di articoli di Vittorio Pelligra sul Sole 24 ore.

di Vittorio Pelligra

Pubblicato su Il Sole 24 Ore il 28/05/2023

«Senza fiducia non potremmo neanche alzarsi dal letto la mattina. Verremmo assaliti da una paura indeterminata e da un panico paralizzante». Con questa vivida immagine il sociologo Niklas Luhmann (Fiducia, Il Mulino, 2002, p.5) descrive la centralità che la fiducia interpersonale gioca nella società contemporanea. La filosofa Annette Baier, anche lei interessata al ruolo sociale della fiducia, utilizza un'altra immagine per indicare non solo quanto essa sia preziosa ma quanto possa essere fragile.

«Abitiamo in un clima di fiducia come abitiamo un'atmosfera - scrive in un saggio del 1986 la Baier - e ci rendiamo conto della fiducia così come ci rendiamo conto dell'aria che respiriamo, quando è essa scarsa inquinata».

Il filosofo politico John Rawls arriva a sostenere che la capacità di fidarci reciprocamente l'un l'altro è una delle precondizioni per lo sviluppo di quel sentimento naturale che, a sua volta, costituisce la base dell'idea stessa di giustizia politica. È questa fiducia reciproca tra i membri di una società giusta e la loro fiducia nelle strutture e nelle istituzioni politiche di quella stessa società che tengono unite le nostre comunità (“The Sense of JusticePhilosophical Review, 72 (1963), pp. 281-305).

La fiducia nella dimensione istituzionale

L'idea che alla base della stabilità del potere politico ci siano relazioni di natura fiduciarie, naturalmente, non è nuova, ma certamente più recente di quanto ci si aspetti. Diventa centrale nel discorso politico con l'opera di John Locke, sul finire del XVII secolo.

Questo, naturalmente, non significa che i legami fiduciari non fossero presenti ed importanti nelle società antiche o feudali, anzi, proprio l'assenza di istituzioni centralizzate e dotate di potere di controllo, e la dimensione principalmente locale degli scambi rendeva la coltivazione della reputazione da parte dei mercanti, per esempio, un elemento necessario per l'esistenza stessa del sistema economico.

La questione, però, a cui ci riferiamo più propriamente non è tanto quella relativa all'esistenza e all'importanza di legami fiduciari tra cittadini quanto, piuttosto, all'estensione dei rapporti fiduciari nella loro dimensione istituzionale, tra cittadini e i loro governanti.

Questo elemento sembra emergere nei fatti, in particolare, tra la metà del ‘500 e del ‘600 in Inghilterra, dove la sfiducia crescente nei confronti del potere politico porterà alla Gloriosa Rivoluzione e, nel discorso politico, sempre in Inghilterra, con Hobbes ma soprattutto qualche decennio dopo, appunto, con John Locke (Levack, B., Distrust of Institutions in Early Modern Britain and America. Oxford University Press, 2018).

Come abbiamo visto nei Mind the Economy delle settimane scorse, uno dei punti centrali del pensiero di Locke che egli esplicita nel secondo dei Due Trattati sul Governo era la limitatezza e la limitabilità del potere di governo. Alla base di questo principio sta proprio la natura fiduciaria del rapporto tra cittadini, parlamento e governo. È questo atto di fiducia da parte dei cittadini che dona legittimità all'azione di governo così come è il tradimento di questa fiducia che fonda il loro diritto di ribellarsi, rovesciare il re e designarne un altro al suo posto.

Patto di reciproche responsabilità

Distanziandosi dal pensiero hobbesiano, Locke attribuisce, in questo modo, alla fiducia un ruolo essenziale. Mentre Hobbes, infatti, poneva le basi di una convivenza pacifica nel contratto sociale e soprattutto nella nascita del Leviatano, la creazione, cioè, di un potere assoluto, Locke usa l'idea di «patto sociale», di compact, come lo chiama per distinguerlo esplicitamente dal contract hobbesiano, proprio per sottolineare la limitatezza e la limitabilità del potere assoluto.

Come sottolinea Brunella Casalini nella sua introduzione ad una recente edizione dei Due Trattati, “Il termine contract implicava un accordo che comportava reciproche responsabilità tra i contraenti, ma limitatamente ad uno specifico oggetto, come in un affare tra privati. Il compact era un accordo che coinvolgeva in qualche modo un'intera comunità nel suo complesso (…)-

La radice etimologica della parola compact, dal latino compactus, participio passato di compingo, rimanda all'idea di mettere insieme in modo stretto le parti al fine di costituire un'unità o comunità”. Una comunità costruita sulla fiducia, dunque, e non sulla paura. Da questa nuova impostazione deriva una differenza fondamentale rispetto alla concezione del ruolo del potere politico.

Hobbes riteneva che il sovrano, e lo stato di diritto che esso garantiva, fossero essi stessi il presupposto essenziale per la fiducia reciproca tra i cittadini, Locke, al contrario, sosteneva che era la fiducia tra i cittadini il vero vinculum societatis che il sovrano aveva il dovere di proteggere, rinsaldare, onorare e mai tradire.

Il tradimento della fiducia del popolo, infatti, da parte del sovrano costituiva nella sua visione, la legittimazione del diritto alla ribellione. Non dobbiamo dimenticare che i Due Trattati vennero pubblicati nel 1690, poco dopo la Gloriosa Rivoluzione. E la posizione di Locke secondo cui ogni governo ha necessariamente una natura fiduciaria nasce proprio come risposta alla crescente diffidenza nei confronti della monarchia inglese, prima con Carlo I e successivamente con Carlo II e Giacomo II.

La teoria della giusta rivoluzione

Fu questa esperienza, al tempo stesso individuale e collettiva, che portò Locke a concepire il principio in base al quale ogni governo e ogni Parlamento dovrebbero essere fondati sulla fiducia e che ogni tradimento di tale fiducia dovrebbe legittimare un rovesciamento di quegli stessi poteri. L'intero ultimo capitolo del Secondo Trattato è dedicato a fondare in questo modo la sua teoria della giusta rivoluzione.

«Quando il legislativo trasgredisce questa regola fondamentale della società - scrive Locke - e per ambizione, paura, follia, o corruzione, tenta di assumere o di mettere nelle mani di altri un potere assoluto sulla vita, sulla libertà e sulla proprietà del popolo; con questo tradimento del proprio mandato, perde il potere che il popolo aveva riposto nelle sue mani per fini molto diversi.

Il potere ritorna allora al popolo, che ha il diritto di riassumere la propria libertà originaria, e con la costituzione di un nuovo legislativo (come lo ritiene meglio adatto) provvede alla propria salvezza e sicurezza, che è il fine in vista del quale si costituisce in società.

Quanto ho detto qui a proposito della libertà in generale è vero anche per il supremo esecutore, che avendo nelle sue mani un duplice mandato, di aver parte nel legislativo e nell'esecuzione della legge, agisce contro entrambi quando tenta di imporre la sua volontà arbitraria come legge della società». (Due trattati sul governo, Edizioni PLUS, 2007, p. 320).

«Ammetto senza difficoltà - continua Locke - che il governo civile è il giusto rimedio per gli inconvenienti dello stato di natura (…) Vorrei, tuttavia, che chi avanza questa obiezione ricordasse che i monarchi assoluti non sono altro che uomini. Se il governo deve essere il rimedio ai mali che necessariamente seguono dal fatto che gli uomini siano giudici nelle loro stesse cause, e per questo lo stato di natura non deve durare, desidero sapere che governo è, e quanto è meglio dello stato di na-tura, quello in cui un uomo, al comando di una moltitudine, ha il diritto di essere giudice di se stesso, e può fare a tutti i suoi sudditi tutto quello che vuole, senza la minima libertà da parte di alcuno di discutere o controllare coloro che eseguono il suo volere» (pag. 195).

Il dovere morale di agire in modo onesto e sincero

Ma qual è la natura della fiducia che secondo Locke fonda il potere politico? Un concetto tanto centrale quanto difficile da cogliere nella sua complessità. Per il filosofo inglese il dovere morale più importante di ogni individuo era quello agire nei confronti degli altri in modo onesto e sincero e che mantenesse le sue promesse.

Come scrive John Dunn è, quindi, l'idea di affidabilità, “intesa come la capacità di soddisfare le legittime aspettative degli altri”, a conferire ad una scelta fiduciaria la sua dimensione morale. Se ne conclude che è tale affidabilità, cioè l'obbligo morale di mantenere le promesse la “virtù costitutiva e la precondizione causale per l'esistenza di qualsiasi società” («The Concept of Trust in the Politics of John Locke», in Rorty, R. et al., Philosophy in History. Cambridge, 1984).

Ciò che di nuovo troviamo nell'idea di fiducia di Locke e che lo differenzia da Hobbes, il quale anche aveva sottolineato l'importanza della fiducia e l'azione disgregante della diffidenza reciproca, è la traslazione dei rapporti di fiducia dall'ambito sociale a quello politico, da rapporti che primariamente si instaurano tra cittadino e cittadino a quelli che, invece, riguardano i cittadini e le istituzioni cui gli stessi affidano il potere di governarli. In ogni caso si corre un rischio.

Giudizio giorno per giorno sulla legittimità del governo

Così anche per promuovere la nascita di una società pacifica e prospera occorre affidarsi all'azione di un soggetto terzo. Su questo sia Hobbes che Locke concordano. Sono in disaccordo, invece, circa la natura del soggetto a cui è necessario affidarsi. Al riguardo Hobbes immagina i cittadini come soggetti passivi che vengono protetti da un sovrano assoluto mentre Locke sostiene che essi devono impegnarsi attivamente e devono, soprattutto, poter giudicare se il governo ripaga degnamente la fiducia ricevuta.

Con Locke assistiamo ad un passo avanti estremamente importante, alla definizione di un potere politico che non può essere immaginato come illimitato; una delega in bianco irrevocabile. Si delinea l'idea di un potere deve guadagnarsi la sua legittimità giorno dopo giorno nei fatti, mostrandosi degno della fiducia ricevuta dai cittadini, mai bastante e sé stesso, mai piegato su sé stesso perché il diritto alla ribellione è sempre lì a ricordare ai governanti la natura fiduciaria del mandato che i cittadini gli hanno affidato.

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