L’interesse della letteratura per "i conti" esiste da sempre, perché permette agli autori di svelare i contesti e i volti dei loro personaggi
di Luigino Bruni
Estratto dal libro «Il campo dei Miracoli» Marsilio editore in uscita oggi in libreria, pubblicato su Agorà di Avvenire il 05/09/2024
Economia non è la prima parola che associamo a letteratura, tanto meno alla grande letteratura. Gli economisti di professione non si sono occupati, né si occupano, di letteratura; non sono andati a cercare, per studiarle, le dimensioni economiche dei romanzi e delle poesie. Qualche importante economista del passato ha anche scritto alcune pagine in buona prosa, ma non le inseriremmo in nessuna raccolta di testi letterari.
In realtà, nei primi tempi della scienza economica non era difficile trovare tra gli economisti anche dei buoni scrittori. Per restare in Italia, penso ad Antonio Genovesi, Pietro Verri, poi a Francesco Fuoco, Carlo Cattaneo, fino ad arrivare, nel primo Novecento, ad Achille Loria e quindi a Luigi Einaudi: tutti loro hanno scritto dei testi di economia con alcune belle pagine. Certi economisti accademici sono stati persino poeti.
Da più di un secolo, però, l’economia ha fatto una scelta radicale nel metodo e nel linguaggio. I nuovi maestri della disciplina hanno lasciato le parole e la prosa per iniziare a parlare quasi esclusivamente con i numeri e con la matematica. E in una scienza fatta di numeri, dati e algoritmi, la letteratura e la poesia non hanno posto. C’è comunque una buona notizia. L’indifferenza degli economisti verso la letteratura è stata ricambiata solo parzialmente dagli scrittori. Perché se da una parte gli scrittori «di mestiere» non hanno cercato intenzionalmente e sistematicamente un dialogo con gli economisti, alcuni letterati si sono comunque interessati di economia, inclusi coloro che questo libro presenta e commenta.
E lo hanno fatto perché sapevano che l’economia è componente essenziale della condizione materiale della gente, è la sostanza della vita concreta delle persone. E così, quando la letteratura ha voluto parlare della vita vera, non ha potuto non incontrare il lavoro, il consumo, il risparmio, le fabbriche, le migrazioni, la cura, gli ospedali, la scuola, i campi, le banche, gli uffici, le tasse. Omero, Virgilio, Esiodo, Isaia parlavano anche di economia. Perché è stato sempre molto difficile, forse impossibile, parlare delle passioni, delle emozioni, della felicità e del dolore senza parlare anche di cose economiche. È il mancato, o insufficiente, dialogo tra economia e letteratura il dato di partenza nel pensare a questo libro, che è un incontro fra un economista accademico e alcuni testi classici, da cui sono nati alcuni primi materiali per una possibile storia letteraria dell’economia. È un dialogo più con i testi che con i loro autori.
Ma gli autori sono anche – quasi sempre – meno interessanti e geniali delle loro opere e dei loro personaggi, perché ogni opera è la creatura meravigliosa, quella dove le scorie diventano diamanti, dove tutti i materiali di risulta si trasformano in mattoni per edificare case, qualche volta cattedrali. Senza la bellezza di Bach non avremmo la bellezza della Passione secondo Matteo, ma quella Passione è più grande di Bach, l’opera è diamante puro, l’autore è la miniera impolverata.
In questo libro ho deciso pertanto di dialogare con i personaggi, non con i loro autori; ho parlato con i burattini, non con i burattinai, ma solo se e quando ho capito che il burattino era scappato dal suo padrone, ed era diventato un essere libero e autonomo. Perché nei pochi romanzi davvero grandi, i personaggi sfuggono di mano al loro autore e iniziano a vivere un’esistenza propria libera, ed è così che fanno immense le opere dei loro creatori.
Nei libri medi e piccoli lo scrittore è il dio delle sue creature, è l’artigiano delle sue marionette che, inerti, eseguono perfettamente i comandi delle sue dita. Questi personaggi-burattini non insegnano nulla al loro scrittore (in quanto già presenti nella sua mente prima di iniziare il lavoro) e quindi insegnano poco anche a noi, perché le conclusioni del racconto sono già inscritte nelle intenzioni dell’autore. Nei libri immensi, invece, una volta messo al mondo, il personaggio lascia la sua casa e inizia a correre libero e a fare cose che il suo autore non voleva né pensava. Solo alla fine ho capito che le opere che commentavo erano capaci di dire da sole tutto ciò che si deve dire di essenziale sulla giustizia, sul dolore, sulla vita, sul dono, e quindi anche sull’economia – questo «tutto sull’economia» lo dicevano anche prima di incontrare le mie domande, potevano farne tranquillamente a meno. Ma l’ho capito dopo: all’inizio c’era soltanto la loro bellezza, non c’era la loro morale. L’interesse della letteratura per l’economia è allora davvero una bella notizia, un’ottima «buona novella». Perché la letteratura è anche la grande svelatrice degli spiriti di un tempo.