#EoF: le storie - Start-up della Costa d’Avorio utilizza gli scarti della pianta di banano per produrla
di Maria Gaglione
pubblicato su Avvenire l' 11/09/2020
Scarti che diventano risorse. Sono sempre di più gli istituti di ricerca e le aziende che nel mondo contribuiscono allo sviluppo di biopolimeri ottenuti da scarti agroalimentari. Quando ottenuta da fonti rinnovabili infatti, la bioplastica non entra in competizione con le filiere alimentari, garantisce le medesime proprietà delle plastiche tradizionali e presenta i vantaggi di essere biodegradabile. «Le novità più recenti sembrano oggi interessare un prodotto di scarto correlato al frutto più consumato al mondo: la banana» ci spiega Salimata Toh, una giovane ivoriana di 29 anni, originaria di Dabou, città situata a sud della Costa d’Avorio.
Appassionata di ambiente ed ecologia, Salimata fa parte, fin da ragazzina, di una ong che lotta contro il riscaldamento globale. Laureata in Scienze della Terra e specializzata con un master, in Qualità, Igiene, Sicurezza, Salimata comincia a lavorare come assistente e poi coordinatrice del controllo qualità. Un lavoro non sufficiente per il desiderio di impegno di Salimata: ha bisogno di un’altra forma di concretezza per sentire che si sta davvero prendendo cura della sua amata terra. Nel 2019 l’inizio di una nuova avventura con il progetto Agri Banana Bio: una start up che si occupa della trasformazione dei rifiuti vegetali derivati dalla coltivazione delle banane. «Alcuni ricercatori e in particolare un gruppo dell’Università del New South Wales a Sydney, hanno escogitato un metodo per trasformare i rifiuti agricoli dell’industria delle banane in bioplastica biodegradabile. Il frutto del banano – ci spiega Salimata – costituisce solo il 12% della pianta, con il resto scartato come rifiuto. Ciò rende la coltura di questo frutto interessante anche per usi alternativi, sia per ridurre gli sprechi sia per fornire una scorta di materie prime per la produzione industriale di bioplastiche. L’attività di coltivazione delle banane è particolarmente dispendiosa perché la pianta muore dopo ogni raccolto. Ogni pianta di banane entra in produzione soltanto dopo 14 mesi e ogni ceppo produce un solo casco alla volta, perciò una volta raccolte le banane si procede al taglio del fusto, che viene lasciato in campo come fertilizzante organico».
E non solo. Le idee non mancano. L’approccio che sta alla base è quello della vera economia circolare: non si butta nulla e tutto può divenire preziosa risorsa. Con il suo progetto, Salimata vince nel 2019 il 2° premio "categoria startup" al concorso Agreen organizzato da Digital Africa in collaborazione con l’AFD e il Ministero ivoriano dell’Agricoltura. Nello stesso anno il progetto arriva in semifinale nel concorso Breizh Africa. «L’inquinamento da plastica è diventato uno dei temi ambientali più pressanti – sottolinea l’attivista ivoriana, oggi giovane imprenditrice –. La produzione di oggetti in plastica usa e getta sta superando la nostra capacità di gestirla. Questo tipo di inquinamento è più evidente nelle nazioni in via di sviluppo dell’Asia e dell’Africa, dove i sistemi di raccolta dei rifiuti sono spesso inefficienti o inesistenti».
Oggi Salimata con la sua startup Agri Banana Bio, produce buste da imballaggio biodegradabili e riciclabili e contribuisce ad abbassare il tasso di deforestazione nel suo paese, con lo sguardo rivolto alle generazioni future. «Il mio sogno – conclude – è rendere la Startup Agri Banana Bio un’azienda eco-cittadina per soluzioni sostenibili e innovative per la mia comunità. Da giovane attivista e imprenditrice ho "dovuto" rispondere alla chiamata del Papa: costruire l’economia della vita, del futuro, amica dell’uomo e del pianeta».