I Commenti de «Il Sole 24 Ore» - Mind the Economy, la serie di articoli di Vittorio Pelligra sul Sole 24 ore.
di Vittorio Pelligra
Pubblicato su Il Sole 24 Ore il 10/02/2024
Il filosofo inglese e storico delle idee Isaiah Berlin è noto per la sua famosa discussione dei due concetti di libertà: quella “negativa” intesa come assenza di interferenza nelle scelte individuali e quella “positiva” che fa riferimento alla possibilità di autoimporsi autonomamente delle regole per il bene del singolo e della comunità. Ma, al di là di questa distinzione, la passione per libertà che Berlin tradurrà in pensiero e pratica lungo tutto il corso della sua vita, ha radici profonde. Nasce dalla consapevolezza dei limiti della nostra ragione e da ciò che egli definisce “pluralismo oggettivo dei valori”. Questa posizione si sviluppa nell’ambito dalla sua critica al monismo illuministico.
Contro il monismo illuministico
Scrive Berlin «Abbagliati dagli spettacolari successi delle scienze naturali nel loro secolo e in quelli che l’avevano preceduto, uomini come Helvétius, d’Holbach, d’Alembert e Condillac, e propagandisti di genio come Voltaire e Rousseau, si convinsero che una volta scoperto il metodo giusto sarebbe stato possibile portare alla luce la verità essenziale nel campo della vita sociale, politica, morale e personale (…) Al disotto di quest’idea stava una tesi più ampia: ossia che tutte le vere domande debbono ammettere una e una sola risposta vera (…) e una volta riunite insieme tutte le risposte giuste alle più profonde domande morali, sociali e politiche che occupano (o dovrebbero occupare) l’umanità, il risultato costituirà la soluzione finale di tutti i problemi dell’esistenza» (Il potere delle idee, Adelphi, 2003). Ecco il “pluralismo oggettivo dei valori” di Berlin nasce proprio in contrapposizione alla fede nella possibilità di una “soluzione finale”, di un’unica ricetta, di un unico modo di vita capace di risolvere tutti i problemi dell’esistenza umana. Il pluralismo, infatti, nasce dalla possibilità più che concreta che obiettivi e principi importanti come quelli di giustizia, equità, benessere, partecipazione, sviluppo, emancipazione, solo per fare qualche esempio, possano essere benché tutti egualmente buoni, eppure in potenziale conflitto tra loro; possano tra loro essere “incommensurabili”. Ciò significa ammettere non solo la possibilità di un conflitto tra valori, ma anche l’impossibilità di decidere in maniera razionale circa la priorità dell’uno sull’altro. Questa, allora, la radice della difesa della libertà: davanti ad una situazione nella quale non è possibile decidere oggettivamente e razionalmente quali valori siano migliori occorre avere la possibilità di scegliere, occorre essere lasciati liberi di scegliere senza costrizioni o interferenze, lasciati liberi anche, eventualmente, di sbagliare così come di cambiare idea. La posizione liberale di Berlin si costruisce, dunque, per contrasto con l’ideale illuministico secondo il quale sarebbe stato possibile attraverso l’uso della ragione comprendere la natura della verità e della virtù e usare tale conoscenza per orientare l’umanità verso la felicità. Come abbiamo visto nelle settimane precedenti tale ideale subisce colpi decisivi proprio dai suoi primi e più entusiasti interpreti, uno su tutti, il marchese di Condorcet. Questi dimostra, infatti, matematicamente l’impossibilità di una regola semplice come il voto a maggioranza di condurci ad una decisione collettiva soddisfacente. Gli studi inaugurati da Condorcet nella metà del ‘700 verranno portati avanti in anni più recenti da Kenneth Arrow e da Amartya Sen, assieme a molti altri. Ma anche in questo caso le cose non sembrano andar meglio.
Regole e preferenze individuali
Abbiamo visto nel Mind the Economy della settimana scorsa come proprio Arrow arriva a dimostrare l’impossibilità di una qualsiasi regola aggregativa delle preferenze individuali – un modo per sintetizzare le volontà individuali in una volontà generale – che riesca a rispettare alcuni semplici criteri di ragionevolezza e, contemporaneamente, produca risultati coerenti. Un secondo fondamentale risultato verrà presentato qualche anno dopo il teorema di Arrow, dall’economista e Nobel indiano Amartya Sen che nel 1970 proverà formalmente il cosiddetto “teorema di impossibilità del liberale paretiano”. Scrive Sen: «La finalità di questo saggio è quella di presentare un risultato di impossibilità che sembra avere conseguenze inquietanti per i principi della scelta sociale» (“The Impossibility of a Paretian Liberal”, Journal of Political Economy 78(1), pp. 152-157, 1970). Il punto di partenza è un’esplorazione della relazione tra una regola di decisione democratica e la libertà individuale. Un’obiezione che comunemente si pone al «metodo di decisione a maggioranza - afferma Sen, infatti - è che è illiberale. L’argomentazione assume la forma seguente: se preferisci avere muri rosa piuttosto che bianchi, allora la società dovrebbe permetterti di dipingere i muri di casa tua di rosa, anche se la maggioranza della comunità vorrebbe vedere i tuoi muri bianchi. Allo stesso modo, se dovessi decidere se dormire sulla schiena o sulla pancia, anche questa è una questione su cui la società dovrebbe concederti assoluta libertà, anche se la maggioranza della comunità è abbastanza ficcanaso da pensare che devi dormire sulla schiena.» Questo è il punto di partenza dal quale Sen prende l’avvio per descrivere, poi, in maniera ragionevole il concetto di libertà individuale e per procedere, infine, all’esplorazione delle conseguenze che ne derivano sul piano dell’efficienza. Il liberalismo assunto nel ragionamento di Sen è definito in maniera minimale: deve esistere almeno una coppia di alternative (X, Y), per ogni individuo, tale che se questo individuo preferisce X a Y, allora la società dovrebbe preferire X a Y, e se questo individuo preferisce Y a X, allora la società dovrebbe preferire Y a X. Detto in altri termini tale condizione prevede che ogni individuo abbia la libertà di determinare almeno una delle possibili scelte sociali attraverso l’espressione della sua volontà: se preferisce le sue pareti dipinte di rosa la società non dovrebbe costringerlo a dipingerle di bianco specialmente se tale decisione non ha alcun effetto su nessun altro aspetto della vita della comunità. Al ragionamento vengono imposte altre due condizioni molto blande e anche queste piuttosto ragionevoli. La prima, detta del “dominio illimitato”, prevede che ogni insieme logicamente possibile di ordinamenti individuali deve essere considerabile da una regola di decisione collettiva. Ciò significa che una tale regola di decisione dovrebbe poter prendere in considerazione tutte le possibili preferenze di ogni singolo individuo, nessuno escluso. La terza condizione descrive il cosiddetto “principio di Pareto”, dal nome di Vilfredo Pareto, l’economista italiano attivo a cavallo tra ‘800 e ‘900, tra gli artefici della rivoluzione marginalista e uno dei fondatori dell’economia neoclassica. La formulazione di Sen del principio paretiano dice che se tutti i membri di una data società preferiscono a livello individuale una qualsiasi alternativa X a un’altra alternativa Y, allora anche a livello sociale si dovrà preferire X a Y. Poste queste poche e poco restrittive condizioni proviamo ad andare alla ricerca di una “funzione di decisione sociale”, di una regola di scelta, cioè, capace di sintetizzare in una decisione collettiva le preferenze dei singoli individui, rispettando al contempo il dominio illimitato, il principio liberale e quello paretiano. L’argomentazione procede in maniera piuttosto tecnica con la dimostrazione di un primo teorema il cui enunciato recita: non esiste NESSUNA funzione di decisione sociale che possa soddisfare contemporaneamente le tre condizioni sopra indicate. Se non bastasse questo, Sen dimostra anche un secondo teorema ancora più forte che giunge allo stesso risultato anche nel caso in cui il principio di Pareto venga considerato non rispetto a tutti gli individui, ma anche solo ad un loro sottoinsieme.
L’esperimento sociale
Proviamo ad immaginare attraverso un esempio quali sono le implicazioni di questo risultato di impossibilità. Consideriamo proprio il caso che Sen propone ai suoi lettori. Immaginiamo una società costituita da due soli individui. Questi hanno preferenze di diverso tipo e in particolare si distinguono per i loro gusti letterari: il primo potrebbe essere ritenuto un “puritano”, mentre il secondo, invece, ha gusti “libertini”. Immaginiamo ora che il secondo voglia leggere lo scandaloso romanzo di D. H. Lawrence L’amante di Lady Chatterley. Al riguardo possono succedere varie cose, ma per semplicità consideriamone solo tre: la prima, che il puritano legga il libro (opzione X); la seconda, che il libro venga letto dal libertino (opzione Y); infine, la terza possibilità è che nessuno dei due legga il libro (opzione Z). Queste tre possibilità vengono valutate in maniera differente dal libertino e dal puritano, proprio in virtù della diversità delle loro preferenze. Per il primo, infatti, l’opzione preferita è la X, che il libro venga letto dal puritano, così si scandalizza con grande divertimento del libertino; la seconda opzione è la Y nella quale il libertino legge il libro e infine, l’opzione Z, che nessuno legga il libro. L’ordinamento di preferenze del libertino è, dunque, XYZ. Le preferenze del puritano sono naturalmente differenti: egli preferisce l’opzione Z, poi quella X – è disposto a sacrificarsi pur di evitare al libertino il turbamento derivante dalla lettura scabrosa - e infine, la peggiore di tutte, quella Y. Le preferenze del puritano sono ordinate, quindi, in questo modo: ZXY.
Proviamo ora a considerare diversi scenari. Tra X e Z, a livello sociale, cosa dovremmo preferire, una situazione nella quale il puritano legge il libro o una nella quale nessuno lo legge? Se volessimo dare peso alla libertà di scelta individuale dovremmo certamente preferire vedere ogni individuo, puritano o libertino, fare quello che preferisce. In questo caso, quindi, sarebbe meglio Z di X: Il puritano non è obbligato a leggere un libro scandaloso che non desidera leggere. Analogamente, gli stessi valori liberali dovrebbero farci preferire la situazione Y, nella quale il libertino può leggere il libro che vuole leggere ad una come la situazione Z, nella quale questo gli viene impedito. Per questo dovremmo preferire Y a Z. In una società liberale, quindi, occorrerebbe avere un ordinamento nel quale Y prevale su Z e Z su X. Dovremmo lasciare al libertino la libertà di leggere il libro che vuole leggere con buona pace del puritano. Il problema però è che dal punto di vista de principio paretiano questa opzione non può essere la preferita. Infatti, sia il puritano che il libertino preferiscono qualcos’altro all’opzione Y. Il puritano preferisce Z a Y e il libertino X a Y. Ogni possibile e immaginabile soluzione, afferma Sen, può essere migliorata da qualche altra soluzione.
Ecco che scopriamo come i due principi di libertà e di efficienza paretiana sono costantemente destinati a scontrarsi e a contraddirsi a vicenda, generando scelte incoerenti. «Qual è la morale? – si chiede allora Sen - Il fatto è che, in un senso molto basilare, i valori liberali sono in conflitto con il principio di Pareto. Se qualcuno prende sul serio il principio di Pareto, come sembrano fare gli economisti, allora deve affrontare problemi di coerenza nel coltivare i valori liberali (…). O, per guardarla in un altro modo, se qualcuno ha certi valori liberali, allora potrebbe dover evitare di aderire all’ottimalità paretiana. Sebbene il criterio di Pareto sia stato considerato un’espressione della libertà individuale, sembra che nelle scelte che coinvolgono più di due alternative possa avere conseguenze che sono, di fatto, profondamente illiberali». La questione è molto interessante perché il principio di Pareto è un criterio di efficienza economica. Normalmente un’allocazione di risorse, di beni, opportunità o diritti, è definita pareto-efficiente, quando non è possibile migliorare la posizione di qualcuno senza peggiorare quella di nessun altro. Il criterio paretiano viene per questo utilizzato per misurare l’efficienza dei mercati nei termini della quantità di benessere che riescono a produrre. Lo stesso criterio viene anche utilizzato per giustificare varie forme di intervento pubblico nei mercati: le attività antitrust a protezione della concorrenza e contro monopoli e cartelli, l’imposizione di tasse e sussidi in presenza di esternalità, obblighi e divieti quando abbiamo a che fare con asimmetrie informative, e molte altre. Alla luce del risultato di Sen sembra quasi che le nostre democrazie liberali fondate sull’economia di mercato stiano navigando in un grande mare ignoto utilizzando due bussole – efficienza e libertà - che a volte puntano in direzioni differenti generando così una buona dose di disorientamento. Nel suo ultimo saggio filosofico, Un’idea di giustizia (Mondadori, 2010), Sen torna sul tema del liberale paretiano riconoscendo come tale risultato abbia innescato varie discussioni «sulla necessità che gli individui rispettino i reciproci diritti sulle loro vite, perché l’esito di impossibilità fa leva anche su una condizione denominata «dominio universale», che riconosce a qualsiasi insieme di preferenze individuali pari ammissibilità. Se, per esempio, emerge che, per salvaguardare la libertà di tutti, dobbiamo coltivare la tolleranza reciproca dei nostri valori, allora la riflessione pubblica trova un fondamento per giustificare la promozione della tolleranza.»
Ritorniamo così da dove eravamo partiti, dal “contro-illuminismo” di Berlin e del suo eroe intellettuale Gianbattista Vico. Anche il teorema di impossibilità del liberale paretiano sta lì, dunque, a ricordarci la fallibilità della nostra ragione, l’incommensurabilità dei nostri valori e l’impossibilità e la pericolosità del razionalismo politico. Un monito e contemporaneamente un inno alla nostra libertà. Libertà che abbiamo conquistato nei secoli a caro prezzo e che, oggi, siamo troppo spesso disposti a gettare sul piatto della bilancia, pronti a barattarla in cambio di vuote ma sempre nuove e sbrilluccicanti illusioni.
Credits foto: © Diego Sarà