I Commenti de «Il Sole 24 Ore» - Mind the Economy, la serie di articoli di Vittorio Pelligra sul Sole 24 ore.
di Vittorio Pelligra
Pubblicato su Il Sole 24 Ore il 18/02/2024
Le sue Lezioni di storia della filosofia politica iniziano affrontando il pensiero di Thomas Hobbes. Si parte da lì perché “secondo me – dice l’autore - e secondo molti altri il Leviatano è il più grande libro di filosofia politica che sia mai stato scritto in lingua inglese”, e poi si continua con altri giganti come Locke, Hume, Rousseau, Mill fino a concludersi con un’analisi approfondita e originale del pensiero di Karl Marx, critico del liberalismo. Se a questa carrellata di storia del pensiero politico occidentale dovessimo aggiungere un ulteriore capitolo, certamente il protagonista non potrebbe essere che l’autore stesso di quelle lezioni e cioè John Rawls, il più importante filosofo politico del ventesimo secolo. E così cerchiamo di fare anche noi. Dopo non pochi articoli dedicati a Marx e una parentesi nella quale ci siamo interessati ai due concetti di libertà di Berlin e ai teoremi di impossibilità di Sen e Arrow, con il Mind the Economy di oggi iniziamo ad affrontare il lavoro di Rawls, che di Kenneth Arrow, tra l’altro, fu successore ad Harvard nella prestigiosa cattedra intitolata a James Bryant Conant.
A Theory of Justice
L’opera più famosa di Rawls è certamente A Theory of Justice pubblicata nel 1971. Un’opera alla quale Rawls lavorerà, tra composizione, rivisitazioni e sintesi, per cinquant’anni. Questo libro ha venduto circa quattrocentomila copie solo nell’edizione inglese ed è stato tradotto in ventotto lingue, diventando un punto di riferimento imprescindibile per ogni studente e studioso non solo di filosofia, ma anche di economia, politica e diritto. Uno dei pregi principali del lavoro di Rawls, come scrive Thomas Pogge, suo allievo, negli ultimi anni di insegnamento, è stato quello di stimolare “illustri filosofi, economisti, giuristi e scienziati politici a contribuire alla teoria politica e ha attirato molti giovani in questi campi per unirsi ai dibattiti avviati”. Anche in me il “mostro verde”, come veniva chiamato il libro facendo riferimento al colore della copertina della prima edizione, suscitò a suo tempo una fortissima impressione. Un misto tra il timore reverenziale e un fascino irresistibile, lo stesso che ha coinvolto tanti e tanti ha indotto allo studio dei temi della giustizia sociale. Ricordo come fosse oggi quando, arrampicato in cima ad una scala, scoprii una copia della traduzione italiana nell’ultimo ripiano di uno scaffale della libreria universitaria; era il 1994 ed io ero un giovane studente di economia.
Un nuovo modo di fare filosofia politica
Ma oltre che per Una teoria della giustizia Rawls deve essere ricordato anche per aver imposto, con il rigore di un uomo schivo e umile, un nuovo modo di fare filosofia politica. Per la sua intera vita ha lavorato intorno a due questioni essenziali: cosa significa che un ordine istituzionale è giusto e quali sono le condizioni che rendono una vita umana degna di essere vissuta. Altrettanto fondamentale si è rivelata la sua visione del ruolo della filosofia politica per la società. Nelle su Lezioni inizia chiedendosi e chiedendo ai suoi studenti: “Qual è l’uditorio della filosofia politica? A chi si rivolge?”. La risposta è semplice e disarmante per un filosofo di professione. La filosofia politica in una democrazia liberale, infatti, afferma Rawls, si deve rivolgere a tutti i cittadini. Non agli specialisti, ai dotti, ai professionisti, ma a tutti. E il fatto che in una società democratica la filosofia politica si debba rivolgere a tutti, non è uno slogan populista, ma è un fatto che genera conseguenze importanti. “Significa, tanto per cominciare – continua Rawls - che una filosofia politica liberale, che naturalmente accetta e difende l’idea della democrazia costituzionale, non può essere vista come una teoria (…). Coloro che si occupano di questa dottrina non devono essere visti come esperti di un tema particolare, come può succedere nel caso delle scienze. La filosofia politica non ha alcun accesso speciale a verità fondamentali o a idee ragionevoli sulla giustizia e sul bene comune, o ad altre nozioni basilari. Il suo merito, se ne ha uno, consiste nel fatto che attraverso lo studio e la riflessione può elaborare concezioni più profonde e illuminanti delle idee politiche fondamentali, che ci aiutino a chiarire i nostri giudizi sulle istituzioni e sulle politiche di un regime democratico”.
Il filosofo non è un tecnico
Ecco, il filosofo non è un tecnico, come può esserlo un fisico o un economista, il filosofo pone questioni che possono aiutare tutti i cittadini a guardare con sguardo più chiaro e limpido alle istituzioni che li governano e a giudicare meglio e con maggiore cognizione le politiche che queste decidono di implementare. Il filosofo non è per Rawls, dunque, il sapiente platonico che dall’alto delle sue conoscenze si trova in una posizione privilegiata per governare. Egli, piuttosto, deve indirizzare lo sguardo dei cittadini verso le questioni più importanti che riguardano la loro vita in comune, le istituzioni e le regole di base della democrazia e, al contempo, deve pulire le lenti dei loro gli occhiali, per così dire, affinché con questi possano vedere più chiaramente tali questioni ed emettere giudizi ragionati. Quali sono, dunque, le questioni fondamentali che la filosofia, con questo scopo, deve affrontare? Qual è la prospettiva che occorre elaborare? “Una visione politica è una visione sulla giustizia politica e sul bene comune – continua Rawls (…) I cittadini devono in qualche modo acquisire e comprendere queste idee se devono essere capaci di formare dei giudizi sui diritti e sulle libertà fondamentali. Così chiediamoci: quali concezioni fondamentali della persona e della società politica, e quali ideali di libertà e di eguaglianza, di giustizia e di cittadinanza, i cittadini apportano inizialmente alla politica democratica? Come fanno ad affezionarsi a quelle concezioni e a quegli ideali, e quali forme di pensiero sostengono questi attaccamenti? In che modo imparano ciò che riguarda il governo e che visione di esso acquisiscono?”. Da dove nasce la nostra formazione politica e come maturano le nostre preferenze elettorali? Attraverso una riflessione che parte dai presupposti di libertà ed uguaglianza e si articola attraverso l’esercizio della ragione pubblica o limitandosi all’idea secondo cui ognuno vota per proteggere e promuovere i propri interessi individuali o di gruppo dove le divisioni di classe, religiose ed etniche, determinano una gerarchia in base alla quale alcune persone sono viste come inferiori?
Il compito della filosofia politica
È compito della filosofia politica quello di creare una cultura diffusa che direttamente e indirettamente faccia prevalere la prima visione sulla seconda anche perché solo in questo modo – ne è convinto Rawls – le istituzioni democratiche potranno contare su basi solide e durature. “Sembrerebbe che un regime costituzionale non possa durare a lungo a meno che prima i suoi cittadini non si avvicinino alla politica democratica animati da concezioni e ideali fondamentali che convalidano e rafforzano le sue istituzioni politiche di base. Inoltre, queste istituzioni sono più salde quando a loro volta sostengono le concezioni e gli ideali in questione”. La filosofia politica, quindi, non può essere intesa come un sapere specialistico ed esclusivo che riguarda pochi adepti, quanto, piuttosto il mezzo attraverso il quale costruire quella “cultura di sfondo generale” capace di fondare i “principi e gli ideali politici essenziali” di una comunità. Per questo il ruolo del filosofo politico è essenziale nel rafforzare e curare le radici del pensiero e del vivere democratico. E questo avviene attraverso un processo che si articola lungo quattro linee principali d’azione concreta. La prima è quella legata alla risoluzione dei conflitti divisivi. Con sguardo acuto e distaccato il filosofo deve andare alla ricerca di ciò che unisce al di là delle apparenti differenze, di un possibile consenso sottostante o quanto meno della possibilità di un avvicinamento delle posizioni, tale da garantire comunque un livello accettabile di cooperazione sociale. Il secondo compito riguarda l’armonizzazione delle storie individuali dei singoli cittadini, dei loro interessi, dei loro propositi con quelli delle istituzioni alle quali appartengono, alla nazione alla quale appartengono, in particolare, con la sua storia e le sue tradizioni. Il terzo compito riguarda la “riconciliazione” per usare il termine che Rawls riprende dalla Filosofia del diritto di Hegel. Tale riconciliazione fa riferimento al rapporto tra i cittadini e le istituzioni che storicamente ne regolano la vita e deve portare al riconoscimento della realtà esistente come il luogo più appropriato alla manifestazione della nostra libertà. Tale operazione può essere soggetta al rischio del conservatorismo e della preferenza per lo statu quo.
Il quarto compito della filosofia politica
Al contrario, afferma Rawls, occorre superare la rassegnazione per scoprire come il nostro mondo sociale e le sue istituzioni stanno alla base della possibilità di maturazione della nostra dignità e della nostra libertà. Infine, il quarto compito della filosofia politica attiene ai limiti della politica praticabile. In questa veste il filosofo deve farsi interprete delle “utopie realistiche”, del desiderio e degli sforzi concreti necessari per raggiungere un ordine politico decente ed una società ben ordinata. Per far questo occorre chiedersi “come sarebbe una società democratica giusta in condizioni ragionevolmente favorevoli, ma pur sempre storiche, cioè nelle condizioni che sono permesse dalle leggi e dalle tendenze del mondo sociale? Quali ideali e quali principi cercherebbe di realizzare una tale società, date le circostanze di giustizia di una società democratica, per come le conosciamo?”.
Il tema dell’“utopia realistica”
Il tema dell’“utopia realistica” è un tema centrale nella riflessione del filosofo americano. Una questione legata a filo doppio ad alcuni accadimenti cruciali della sua vita. Il giovane Rawls nutriva un profondo spirito religioso fino al punto di considerare di intraprendere gli studi di teologia che l’avrebbero poi avviato al sacerdozio. Nel 1943 si laurea in filosofia summa cum laude proprio con una tesi sulla religione. Quello stesso anno si arruola nell’esercito e viene inviato sul fronte del Pacifico. In questo periodo, a seguito di tre avvenimenti ben precisi, la sua fede, però, inizia a vacillare. Il primo “evento” riguarda un pastore luterano che incita le truppe americane ad uccidere quanti più giapponesi possibile. La cosa fa un’impressone fortissima su Ralws che non riesca a comprendere il senso di una fede che non è amore. Il secondo episodio riguarda la morte di un compagno che viene ucciso sul campo di battaglia mentre occupava per caso una posizione che avrebbe dovuto essere occupata dallo stesso Rawls. Il terzo fatto decisivo fu la scoperta dell’Olocausto che in quei giorni iniziava a disvelarsi in tutta le sue tragiche dimensioni. Questi avvenimenti lasciarono una traccia profonda nel giovane filosofo che iniziò a “porre in discussione la possibilità stessa della preghiera (…) e a rifiutare l’idea di una supremazia del volere divino” - come lui stesso racconta in un breve scritto intitolato On my Religion. Nonostante questo distacco traumatico da una visione e da una pratica religiosa di stampo tradizionale, Rawls continuerà a credere nella possibilità di una “utopia realistica”, nell’idea cioè, che la giustizia può trovare compimento su questa terra perché essa è una virtù umana e rappresenta, nonostante tutto, un ideale alla portata di esseri umani dotati di ragione e capaci di amore.
Credits foto: © Diego Sarà