I Commenti de «Il Sole 24 Ore» - Mind the Economy, la serie di articoli di Vittorio Pelligra sul Sole 24 ore.
di Vittorio Pelligra
Pubblicato su Il Sole 24 Ore il 03/02/2024
L’ideale illuministico del monismo ambiva a legare attraverso un’unica catena inestricabile, la verità, la virtù e la felicità, secondo la famosa espressione del Marchese di Condorcet. L’obiettivo era quello di favorire, in questo modo, l’emancipazione della vita politica e sociale dall’indebito arbitrio e dall’instabilità umorale delle passioni. Una delle vie che i philosophes perseguirono con maggiore determinazione fu quella della definizione, attraverso strumenti matematici, di meccanismi capaci di aggregare le preferenze individuali per dar vita a scelte sociali razionali ed efficaci. Si cercava di comprendere come fosse possibile distillare la volontà generale a partire dalle singole volontà individuali.
La teoria della scelta sociale
Si svilupparono così i primi germogli della teoria delle votazioni e di quella che due secoli dopo prenderà il nome di teoria della scelta sociale. Il progetto era ambizioso e i primi problemi emersero quasi subito. Un colpo durissimo arrivò proprio da Condorcet, il quale si scoprì, suo malgrado, che anche la regola più semplice che possiamo immaginare per addivenire ad una decisione collettiva, la votazione a maggioranza, poteva portare ad esiti nefasti. Il “paradosso di Condorcet” che abbiamo discusso a lungo la settimana scorsa, mostra, infatti, come attraverso una votazione a maggioranza è possibile che venga preferita l’alternativa A a quella B, quella B all’alternativa C e, cosa piuttosto bizzarra, anche l’alternativa C a quella A. Condorcet corre ai ripari escogitando un metodo di votazione alternativo e più sofisticato che però non convince tutti. In particolare, non convince un altro studioso francese, Jean-Charles de Borda, matematico e illuminista anch’egli, che in polemica con Condorcet, metterà a punto una regola elettorale alternativa, nota come il “metodo Borda”.
A questi primi lavori seguiranno molti anni dopo quelli dell’economista scozzese Duncan Black e del logico inglese Charles Lutwidge Dodgson, noto al grande pubblico con lo pseudonimo Lewis Carroll, l’autore di Alice nel Paese delle Meraviglie. L’ambizione e l’ambito di applicazione del progetto illuminista sono nel frattempo cresciuti enormemente. A metà del secolo scorso, dopo la Seconda Guerra Mondiale, anche la teoria della scelta sociale, come tutte le scienze sociali formalizzate, vive una stagione d’oro. Ci si accinge ad affrontare questioni fondamentali alcune delle quali vengono sintetizzate in questo modo da Amartya Sen: «Quando possiamo dire che la volontà della maggioranza produce decisioni inequivocabili e coerenti? Come possiamo giudicare la qualità di una società nel suo insieme alla luce degli interessi disparati dei suoi diversi membri? Come misuriamo la povertà aggregata date le difficoltà e la miseria delle diverse persone che compongono una certa società? Come possiamo rendere compatibili i diritti e le libertà delle persone dando al tempo stesso un adeguato riconoscimento alle loro preferenze? Come possiamo attribuire un valore sociale a beni pubblici come l’ambiente naturale o la sicurezza sanitaria?» (“The Possibility of Social Choice”, American Economic Review 89, pp. 349- 378, 1999).
Kenneth Arrow, il padre fondatore
Il personaggio chiave nell’evoluzione della teoria della scelta sociale è certamente l’americano Kenneth Arrow, uno dei giganti della moderna teoria economica e vincitore del Nobel nel 1972. Assieme a Duncan Black, Arrow scopre sotto quali condizioni è possibile superare le difficoltà connesse al “paradosso di Condorcet” e ottenere decisioni a maggioranza che siano coerenti e transitive. Condizioni così restrittive, però, è bene sottolinearlo, che non verrebbero soddisfatte in moltissime delle applicazioni concrete di una procedura elettorale. Arrow può a buon diritto essere considerato il padre fondatore della moderna teoria della scelta sociale, che raccoglie l’eredità del progetto illuministico, di una scienza razionale delle decisioni collettive. Il contributo principale di Arrow, in quest’ambito, è un teorema di impossibilità. Un teorema, cioè, che prova matematicamente l’impossibilità di un ordinamento sociale che rispetti criteri minimi di ragionevolezza. Il “teorema di impossibilità” o “Teorema generale delle possibilità” viene dimostrato nel 1951 e costituisce la prova tanto elegante quanto profonda del fatto che una regola di aggregazione, una funzione, cioè, che associa un ordinamento di preferenze sociale ad ogni possibile combinazione di ordinamenti individuali, non è in grado di soddisfare alcune basilari condizioni di ragionevolezza e portare, contemporaneamente, ad una scelta collettiva soddisfacente. Immaginiamo di dover procedere, attraverso una qualche procedura, ad aggregare le preferenze di un certo numero di membri di una comunità per poter esprimere una decisione collettiva in merito ad una data questione.
Quattro condizioni
Quali condizioni dovrebbe rispettare questa procedura? Arrow ne identifica quattro. Quattro “assiomi” che esprimono alcuni semplici requisiti che, in maniera del tutto evidente, ogni procedura di scelta dovrebbe soddisfare. La prima condizione è detta di “non-dittatorialità”. Quando tante persone esprimono le loro preferenze su diverse alternative, per esempio attraverso una votazione, il risultato della votazione non dovrebbe coincidere in tutto e per tutto con le preferenze di un singolo individuo e non tener conto delle preferenze degli altri membri della comunità. Se questo singolo avesse il potere di determinare in maniera univoca l’esito della decisione sarebbe appunto un “dittatore” e questo non è certamente auspicabile secondo i nostri standard democratici. Per questo ogni buona regola decisionale dovrebbe rispettare la “non-dittatorialità”.
La seconda condizione è detta “principio paretiano”, dal nome dell’economista Vilfredo Pareto. Si assume semplicemente che se tutti gli individui, nessuno escluso, preferiscono A a B, allora anche l’esito della decisione sociale dovrebbe dare la priorità ad A rispetto a B. Il terzo assioma è definito da Arrow come la condizione di “razionalità collettiva”. Questo assioma prevede che l’ordinamento sociale delle preferenze abbia le stesse caratteristiche di coerenza dell’ordinamento delle preferenze individuali. Tali preferenze, per esempio, devono essere complete; ciò significa che tra due opzioni A e B, si deve sempre poter affermare che A è preferita a B o che B è preferita ad A o che esiste indifferenza tra le due opzioni. Inoltre, tali preferenze devono essere transitive. Cioè se A fosse preferita a B e B a C, allora dovremmo avere che A è preferita a C. Infine, l’ultima condizione prevede l’“indipendenza dalle alternative irrilevanti”. Dovendo decidere collettivamente se l’alternativa A è preferita all’alternativa B, tale scelta non dovrà essere influenzata da ciò che le persone pensano di una qualunque altra alternativa C su cui non si sta votando. Violare tale condizione sarebbe come se in un’elezione dove abbiamo il candidato X e quello Y, dovessimo tener conto oltre che delle preferenze degli elettori per X e Y anche le loro preferenze per un eventuale altro soggetto Z che però non è candidato.
Il paradosso
Date queste semplici e ragionevoli condizioni ciò che Arrow dimostra è che non esiste nessuna regola di aggregazione sociale, che lui definisce “costituzione”, che fornisca risultati coerenti e, contemporaneamente, soddisfi i requisiti che abbiamo indicato. Si potrebbe trovare una via d’uscita ma questa prevederebbe la “dittatorialità”, cioè la presenza di un soggetto unico che decida per tutti. Conclude Arrow: “Questi quattro requisiti apparentemente ragionevoli sono contraddittori. Cioè, se concepiamo una costituzione, allora è sempre possibile trovare una serie di ordinamenti individuali che faranno sì che la costituzione violi una di queste condizioni” (Nobel Memorial Lecture, 12 dicembre 1972). Non è possibile, quindi, individuare un meccanismo che traduca in volontà generale le preferenze dei singoli e che rispetti contemporaneamente i quattro assiomi di ragionevolezza. Solo una dittatura eviterebbe le incoerenze. Ciò implicherebbe nessuna partecipazione al processo decisionale e nessuna capacità di questo processo di tener conto delle diverse sensibilità e preferenze presenti a livello sociale. Sembrerebbe proprio il fallimento totale del progetto illuministico di una società guidata dalla volontà generale individuata attraverso procedure razionali e rispettose delle singole individualità. Arrow si rende perfettamente conto delle conseguenze devastanti di questa dimostrazione.
Vent’anni dopo la sua scoperta affermerà nella sua Nobel lecture che “Le implicazioni filosofiche e distributive del paradosso della scelta sociale non sono ancora chiare. Certamente non esiste una via d’uscita semplice. Spero che altri prendano questo paradosso come una sfida piuttosto che come una barriera scoraggiante”. E infatti molti si sono scoraggiati ma non tutti, per fortuna. Il teorema di impossibilità di Arrow, nella sua rigorosa perentorietà, ha avuto, infatti, il grande merito di rinvigorire - si parla di vera e propria “fondazione” – a partire dalla metà del ‘900 gli studi intorno alla teoria della scelta sociale. Nel tentativo di confutare il suo “teorema” e trovare controesempi alle sue conclusioni moltissimi studiosi hanno elaborato soluzioni alternative ed esplorato vie trasversali, contribuendo in maniera decisiva alla definizione dei limiti del problema.
La prospettiva oferta da Amartya Sen
Per comprendere più a fondo il significato dei risultati di impossibilità, quello di Arrow e quello del liberale paretiano, che discuteremo nel prossimo Mind the Economy, può essere utile analizzare un’interessante prospettiva che viene proposta da Amartya Sen: «Quando un insieme di assiomi riguardanti la scelta sociale – scrive Sen – possono essere tutti simultaneamente soddisfatti, ci sono di solito diverse possibili procedure che funzionano e tra le quali dobbiamo scegliere. Per poter scegliere tra le diverse procedure alternative definite da diverse combinazioni di assiomi, dobbiamo introdurre ulteriori assiomi, finché non rimane una sola procedura possibile (…) Dobbiamo continuare a eliminare le diverse alternative, muovendoci implicitamente verso un risultato di impossibilità, per poi fermarci appena prima che tutte le possibilità siano eliminate, vale a dire quando rimane una ed una sola opzione». L’impossibilità, dunque - sta suggerendo Sen - emerge proprio lì dove finisce la possibilità. Un passo oltre la barriera dell’ultimo assioma. «Una piena determinazione assiomatica di una particolare procedura di scelta sociale deve inevitabilmente trovarsi accanto a un’impossibilità – anzi, appena prima di essa. È quindi naturale che la strada della teoria della scelta sociale tenda ad essere lastricata di risultati di impossibilità. Da questa vicinanza [tra possibilità e impossibilità] – continua Sen - non emerge alcuna conclusione sulla fragilità della teoria stessa (…) La vera questione non è, quindi, l’ubiquità dell’impossibilità, ma la portata e la ragionevolezza degli assiomi da utilizzare» (“The Possibility of Social Choice”. American Economic Review 89(3), pp. 349- 378, 1999).
Questa prospettiva apre orizzonti molto interessanti perché sposta l’attenzione dall’impossibilità stessa alle condizioni che possono portare al suo superamento. Il significato del dibattito sui risultati di impossibilità sta proprio qui, dunque, esattamente nel punto da cui siamo partiti. La critica al monismo illuministico, il valore della libertà e la definizione dei limiti di tale libertà attraverso l’individuazione di procedure di scelta collettiva efficaci e che, al contempo, soddisfino requisiti condivisi di ragionevolezza. L’ottimismo di Amartya Sen nasce dal pessimismo costruttivo di Kenneth Arrow ed è legato alla possibilità di smontare l’impossibilità dimostrata da quest’ultimo grazie alla creazione di un quadro informativo più ricco. Non è un caso che anche i philosophes fossero politicamente impegnati nella costruzione di tale quadro. Lo stesso Condorcet lottò per l’accesso paritario all’istruzione pubblica e per l’estensione del diritto di voto alle donne. Misure attraverso cui si intendeva favorire la nascita di una cittadinanza informata e capace di partecipare attivamente alla vita della sognata repubblica. Conoscenza e partecipazione sono le precondizioni per ogni democrazia evoluta, intesa come “esercizio della ragione pubblica” e il teorema di impossibilità di Arrow è il monito che sta qui a ricordarcelo con tutta la forza del suo rigore.
Credits foto: © Diego Sarà