Tornare (o andare) oggi all’economia di Francesco significa prendere sul serio l’«agape», l'amore disinteressato. La sua fraternità non è quella del sangue, ma l’incontro di due o più «agape».
di Luigino Bruni
pubblicato su Il Messaggero di Sant'Antonio il 28/10/2020
L’amore è uno, ma gli amori sono molti. Lo sappiamo tutti, almeno sul piano dell’esperienza. Amiamo molte persone e molte cose, siamo amati da molti, ma in modi diversi. Amiamo i genitori, i figli, le fidanzate e le mogli, fratelli e sorelle, maestre, nonni e cugini, poeti e artisti. E amiamo, molto, gli amici e le amiche. Moltissimo i fratelli, forse ancora di più le sorelle. L’amore umano poi non si limita agli esseri umani. Raggiunge gli animali, tocca la natura intera, sfiora Dio. Il mondo greco, per dire amore aveva due parole principali, eros e philia, che non esaurivano le sue molte forme, ma che offrivano un registro semantico più ricco del nostro per declinare questa parola fondamentale della vita. Quel lessico era capace di distinguere il «ti voglio bene» detto alla donna amata dal «ti voglio bene» detto a un amico, e allo stesso tempo riconoscere che il secondo non era né inferiore né meno vero del primo.
Il cristianesimo, poi, ha aggiunto una terza parola greca per dire un’altra tonalità dello stesso amore, già presente nella Bibbia ebraica (nella traduzione greca dei Settanta) e, soprattutto, già presente nella vita. Questa terza, stupenda, parola è agape, l’amore che sa amare chi non è desiderabile e il non-amico, un amore che sembra poter fare a meno anche della reciprocità. Tre dimensioni dell’amore che, spesso, si trovano insieme nei rapporti veri e importanti. Certamente nell’amicizia, dove la philia non è mai sola, perché è lei la prima ad avere bisogno di amici. È accompagnata dal desiderio-passione per l’amico ed è irrorata dall’agape perché le consente di poter durare per sempre, di farci risorgere dai nostri fallimenti e dalle nostre fragilità. Un’amicizia che è solo philia non è abbastanza calda e forte per non lasciarci soli sulle salite delle nostre strade. Al tempo stesso è la philia che lega l’eros e l’agape tra di loro e li affratella – anche Gesù ha avuto bisogno del registro della philia per dirci il suo amore –.
In quelle pochissime amicizie che ci accompagnano per lunghi tratti di vita, a volte fino alla fine, la philia racchiude in sé anche i colori e i sapori dell’eros e dell’agape. Sono quegli amici che abbiamo perdonato e che ci hanno perdonato settanta volte sette, quelli che quando non tornavano sono stati attesi e desiderati come una sposa o un figlio. Quelli che abbiamo abbracciato, baciato come e diversamente da altri abbracci e da altri baci, quelli con i quali abbiamo mischiato molte volte le lacrime fino a fonderle nella stessa goccia salata. Pochi dolori sono poi più grandi di quello per la morte di un amico: in quel giorno, un pezzo di cuore smette di battere, e non ricomincia più. La Bibbia usa la stessa parola – ahavah – per descrivere l’amore tra padre e figlio, l’amore erotico e sensuale tra un giovane e una giovane, e anche l’amore tra due amici.
L’economia si è costruita unicamente sul registro dell’eros, cioè su una forma di amore senza gratuità. Ha tentato qualche esperimento di philia, soprattutto nel grande movimento cooperativo. Non ha conosciuto, se non in quantità omeopatiche e a livello quasi esclusivamente individuale, l’economia dell’agape. Tornare (o andare) oggi all’economia di Francesco significa prendere sul serio l’agape anche in economia. La sua fraternità non è quella del sangue, ma l’incontro di due o più agape. Una economia agapica e francescana non l’avremo mai se prima non la desideriamo, se non iniziamo almeno a sognarla.