L'esilio e la promessa

L'esilio e la promessa/8 - Non si “tradisce” solo per tornaconto, ma anche per amore senza verità

di Luigino Bruni

pubblicato su Avvenire il 30/12/2018

Ezechiele 08 rid«La parola è essenziale ed efficace solo quando nasce dal silenzio. Il silenzio schiude la fonte interiore da cui sgorga la parola»

Romano Guardini, Il testamento di Gesù

La lotta tra profezia e falsa profezia è una costante della storia umana. La ritroviamo al centro della politica, dell’economia, delle religioni, delle organizzazioni. Nelle comunità esistono persone alle quali viene riconosciuto un ruolo di "visione" perché portatori di un carisma, di una capacità di vedere diversamente e più lontano, di tracciare scenari presenti e futuri, di indicare vie di salvezza, di benessere, di crescita umana ed etica. I "profeti", però, non sono tutti uguali. Le sorti delle realtà sociali dipendono decisamente dalla capacità di individuare e seguire le voci oneste e vere e di diffidare di quelle false. La Bibbia ha individuato alcuni indicatori di vera e falsa profezia. Li ha raffinati nel tempo, li ha testati, poi li ha custoditi per noi perché li potessimo usare nei nostri discernimenti.

L'esilio e la promessa/14 - Un'altra mano, non la nostra, chiuderà per l'ultima volta i nostri occhi

di Luigino Bruni

pubblicato su Avvenireil 10/02/2019

Anche quando l’anima è angosciata, anche quando nessuna preghiera può uscirci di gola nel dolore, il puro riposo silente dello Shabbat ci porta nel regno di una pace senza fine. L’eternità indica un giorno. Shabbat

A.J. Heschel, Lo Shabbat

I disordini morali sono espressione di disordini spirituali. L’etica è seconda. Dietro una cattiveria verso l’altro si cela un malessere più radicale e profondo dentro l’anima. Offendere e oltraggiare il nome dell’altro è figlio di un oltraggio e di un’offesa al proprio nome. Ogni crisi morale si cura al centro, rimettendo il proprio cuore nell’unico luogo dove può riposare, ritrovarsi, sentirsi chiamare. Il primo movimento della cura delle malattie profonde della vita è teologico, perché riguarda la natura del nostro nome che non può chiamarsi ma può solo essere chiamato; come da bambini, quando scopriamo qual è il nostro nome perché lo sentiamo chiamare da chi ci vuole bene. Diventiamo cattivi quando non ci giriamo più se sentiamo pronunciare il nostro nome – o perché lo abbiamo dimenticato, o perché nessuno lo chiama più con sufficiente agape per poterlo riconoscere.

L'esilio e la promessa/5 - Mestiere del profeta è pure la "seconda preghiera"

di Luigino Bruni

pubblicato su Avvenire il 09/12/2018

Ezechiele 05 rid«La maldicenza uccide tre persone: colui che la diffonde, colui che l’ascolta e colui di cui si parla; ma chi l’ascolta ancor più di colui che la diffonde»

Mosé Maimonide, Norme di vita morale

Le religioni e le fedi sono anche luoghi di soddisfazione dei bisogni umani, perché nessuna religione ha trascurato la dimensione materiale e corporea della vita. Pesci, pane, manna, quaglie, acqua, focacce, schiacciate d’uva: la Bibbia potrebbe anche essere letta come una storia del cibo, della convivialità, dei beni. La terra promessa è una terra dove scorrono latte e miele. Ma anche per questa loro dimensione concreta e intera, le fedi hanno una tendenza intrinseca a rimpicciolirsi e ridursi a un mercato dove ogni bene domandato incontra la sua offerta pagando il relativo prezzo, trasformandosi così in idolatrie o magie. La preghiera autentica può vivere e crescere solo dentro un incontro di gratuità. La provvidenza non si compra, arriva come eccedenza sopra il nostro piccolo registro contrattuale. Il Dio biblico è il Dio del Patto, dove il vero bene offerto è una prossimità, una presenza. Come nelle comunità, che soddisfano bisogni essenziali (la sicurezza affettiva, il calore, anche bisogni concreti ed economici) se ciascuno sa attingere a una interiorità più profonda dei bisogni, dove si genera la parte più intima e bella delle comunità. I profeti sono gelosi custodi di questa bellezza più grande, che sa convivere con una indigenza che nutre il sogno e il bisogno di Dio.

L'esilio e la promessa/11 - La profezia su debito e interesse fonda un’etica altra da quella dell’ "impero"

di Luigino Bruni

pubblicato su Avvenire il 20/01/2019

«Io detesto, respingo le vostre feste solenni e non gradisco le vostre riunioni sacre. Lontano da me il frastuono dei vostri canti: il suono delle vostre arpe non posso sentirlo! Piuttosto come le acque scorra il diritto e la giustizia come un torrente perenne

Amos, 5,21-24

Nella Bibbia l’economia è qualcosa di tremendamente serio. È posta, non a caso, accanto al peccato di idolatria. La sua teologia diventa immediatamente antropologia, e quindi denaro, prestiti, interesse. È questa la bella laicità della Bibbia, dove Dio per parlarci di sé usa anche le parole dei nostri affari, innalzandoli fino a far loro bucare il cielo. E non dovremmo stupirci se quando qualcuno di noi giungerà in paradiso rivedrà in mezzo alla danza delle persone divine e dei beati il tornio, il cacciavite, mobili e vestiti. Se perdiamo questa co-essenzialità dell’asse verticale e di quello orizzontale non capiamo nulla dell’umanesimo biblico e di quello dei Vangeli. L’economia è parte della vita, e dobbiamo ricordarlo ancora di più oggi quando vuole debordare e diventare la vita intera. Ma, al tempo stesso, le relazioni economiche determinano la qualità e la giustizia di tutte le altre, e quindi sbagliare il rapporto con l’economia e con la finanza significa sbagliare anche il rapporto con Dio. La Bibbia ha voluto, ha dovuto tenere radicalmente legate l’oikonomia della salvezza con l’economia quotidiana degli affari e del denaro, e nel far questo ci ha lasciato un’eredità senza prezzo perché dal valore infinito.

L'esilio e la promessa/20 - La salvezza (anche politica ed economica) non può non venire

di Luigino Bruni

pubblicato su Avvenire il 24/03/2019

«Dopo aver pregato in casa sedevo sul divano, quando entra un uomo di magnifico aspetto, in abbigliamento da pastore. Mi saluta e io rispondo al suo saluto. Si mette subito a sedere accanto a me e mi dice: ‘Sono stato inviato dal più venerabile degli angeli per abitare con te i restanti giorni della mia vita’»

Il pastore di Erma, Rivelazione V

“Guai ai pastori d'Israele, che pascono se stessi! I pastori non dovrebbero forse pascere il gregge? Vi nutrite di latte, vi rivestite di lana, ammazzate le pecore più grasse, ma non pascolate il gregge” (Ezechiele 34,2-3).

Gerusalemme è caduta. Ezechiele, il profeta-sentinella, nella sua terra desolata dell’esilio avvista un gregge disperso per l’incuria dei suoi pastori: “Non avete reso forti le pecore deboli, non avete curato le inferme, non avete fasciato quelle ferite, non avete riportato le disperse. Non siete andati in cerca delle smarrite, ma le avete guidate con crudeltà e violenza. Per colpa del pastore si sono disperse e sono preda di tutte le bestie selvatiche: sono sbandate” (34,4-5). Non sono pastori ma ‘mercenari’ (Gv 10,12), perché sfruttano le pecore più grasse per trarne profitto.

L’esilio e la promessa/24 - Senza luoghi né recinti si impara ad adorare Dio "in spirito e verità"

di Luigino Bruni

pubblicato su Avvenire il 21/04/2019

«Per l’uomo religioso lo spazio non è omogeneo. Questa non omogeneità dello spazio si manifesta in una pratica contrapposizione tra lo spazio sacro, l’unica cosa reale, realmente esistente, e tutta la restante informe distesa che lo circonda

Mircea Eliade, Il sacro e il profano

Le grandi prove della vita sono spesso una purificazione della spiritualità e della morale, perché ci insegnano che le cose veramente necessarie per continuare a vivere e crescere sono poche e molto semplici. Nella buona evoluzione della vita spirituale, si parte semplici, si diventa complicati, si termina tornando di nuovo semplici, quando la saggezza del vecchio che siamo diventati si incontra con la purezza del giovane che eravamo, e in mezzo resta solo tanta riconoscenza. Nei lunghi attraversamenti dei deserti si impara che, oltre all’acqua e al pane, le cose davvero essenziali sono poche – è invece nei viaggi brevi e comodi che ci carichiamo di equipaggiamenti pesanti e in massima parte inutili. Il profeta Elia dovette ritrovarsi nel deserto, con in cuore il desiderio di morire, per scoprire che la voce di Dio si trovava in una «brezza leggera», dopo averlo immaginato e cercato invano nel terremoto e nel fuoco (1 Re 19,12). Assetati di vita e di paradiso, trascorriamo molti anni a cercare Dio nei templi e nei luoghi del sacro, per accorgerci, alla fine, che quanto cercavamo era, semplicemente, sotto casa.

L'esilio e la promessa/10 - Liberamente ci esponiamo, diventando vulnerabili, alla libertà dell'altro

di Luigino Bruni

pubblicato su Avvenire il 13/01/2019

«Se la donna non si fosse separata dall’uomo non sarebbe morta con l’uomo. La sua separazione segnò l’inizio della morte. Per questo è venuto il Cristo, per porre riparo alla separazione che vi era dal principio e per unirli nuovamente tutti e due, uomo e donna.»

Il vangelo di Filippo, 78-79

 L'amore umano è una realtà complessa. Nei rapporti più importanti, l’amore conosce dimensioni di incondizionalità, ha cioè la capacità di amare anche senza reciprocità. Una capacità essenziale per superare le crisi, per resistere nelle carestie di ritorni, per ricominciare davvero dopo i grandi tradimenti. Questa capacità, però, convive con il bisogno altrettanto radicale di mutualità e di comunione, di essere amati mentre si ama o dopo aver amato. Perché gli amori più importanti si svolgono all’interno di patti, che sono impegni collettivi e mutui. "Ama il prossimo tuo" fiorisce in "amatevi gli uni e gli altri", dove il comandamento all’io e al tu si allea con il comando al voi e al noi. E anche quando l’amore matura e raggiunge le note paradisiache dell’agape, non smette mai di essere anche eros e philia (amicizia), perché, fino alla fine, resta indigente dell’altro come l’eros e libero come la philia (l’agape può elevare soltanto "viscere" mosse e commosse da tutti gli amori umani). È in questa dinamica di libertà e di legame dove si incontrano le esperienze umane più sublimi e tremende. Ai patti affidiamo liberamente una parte di libertà, e una volta donata ne perdiamo la proprietà privata. Liberamente decidiamo di esporci alla libertà dell’altro, di diventare vulnerabili ai suoi cambiamenti del cuore, di legare la nostra vita a una corda di cui controlliamo soltanto un capo, e non quello più robusto.
La Bibbia, in alcune delle sue pagine più alte, ha preso le parole dell’amore umano più grande e serio e le ha donate a Dio perché potesse parlarci del suo amore: ahavah, hesed, dodim e, infine, agape. Perché nell’amore sponsale il primo dono è la reciprocità di parole meravigliose.

L'esilio e la promessa/2 -È l’intero corpo lo strumento con il quale il profeta suona le sue melodie di cielo e di terra. E il primo mutismo di Ezechiele ci dice cose importanti sulla vita e sulle vocazione.  

Di Luigino Bruni

Pubblicato su Avvenireil 17/11/2018

Ezechiele"Non ci sono più profeti? Non possiamo dirlo; l’importante è distinguere i falsi dai veri profeti, e questo vale per tutte le epoche. Forse l’elemento fondamentale per distinguerli è questo: il falso profeta si sente profeta e il vero profeta non si sente profeta"

Paolo De Benedetti, Elia

Chiunque si ritrova a scrivere per rispondere a una chiamata interiore ha sperimentato, almeno una volta nella vita, che quelle parole che scrive sono state prima ricevute e "mangiate". Le parole scritte che non sono vanitas nascono dal sangue e dalla carne, e così riescono a raggiungere il sangue e la carne di chi le legge, e lasciare il segno (in-segnano). Quando, ogni tanto, sentiamo che una parola diversa ci tocca, ci insegna e ci cambia (e se non ci è mai capitato non abbiamo ancora iniziato veramente a leggere), quella parola aveva già toccato e segnato il corpo di chi l’aveva scritta, perché era uscita da una ferita. La profezia è un evento di parola, di parole e di corpo. Perché tra la parola ricevuta e quella detta e scritta c’è il corpo del profeta. È l’intero suo corpo lo strumento con il quale il profeta suona le sue melodie di cielo e di terra. Tutti i profeti, soprattutto Ezechiele.

L'esilio e la promessa/13 - Quando ritroviamo muti, ci resta la parola estrema: la nostra carne

di Luigino Bruni

pubblicato su Avvenire il 03/02/2019

«Sono da secoli, o da un momento
fermo in un vuoto in cui tutto tace,
non so più dire da quanto sento
angoscia o pace»

Francesco Guccini Shomèr ma Mi-llailah

 In ogni autentico dialogo le parole di chi ci parla riescono a nascere se trovano in noi fiducia, in quelle parole e quindi e ancor prima nella persona che le dice. Nessuno parla in un dialogo senza che qualcun altro lo accolga, e quindi in questa sua dimensione originaria la fiducia è essenzialmente una faccenda di dono. Anche Dio ha avuto bisogno della fiducia dei profeti per poterci parlare – chissà quante parole profetiche autentiche si sono perse e si perdono perché chi le ha ascoltate non ha dato loro fiducia e non le ha credute e capite per quelle che erano. I profeti, però, mentre danno fiducia a YHWH e così facendo lo fanno parlare nel mondo, hanno bisogno anche della nostra fiducia affinché la loro parola trasmessa non cada nel nulla. Ogni parola vera è dialogo, è incontro di parole donate e ricevute. Il profeta è sentinella, e se nessuno raccoglie il suo allarme lanciato dalle mura di cinta, quel grido si spegne e diventa soffio di vento. Allora le prove "empiriche" della verità delle loro parole non si trovano né in cielo né in terra, ma nella fragile forza della fiducia, della fides, della fede. Ezechiele può continuare a parlarci se noi continuiamo a dargli credito, a credere in lui.

L'esilio e la promessa/23 - La vera (e biblica) energia alternativa: riscaldarsi con le armi bruciate

di Luigino Bruni

pubblicato su Avvenire il 14/04/2019

«Ecco che cos’è difficile in quest’epoca: gli ideali, i sogni e le belle aspettative non fanno neppure in tempo a nascere che già vengono colpiti e completamente devastati dalla realtà più crudele. È molto strano che io non abbia abbandonato tutti i miei sogni perché sembrano assurdi e irrealizzabili. Invece me li tengo stretti, nonostante tutto, perché credo tuttora all’intima bontà dell’uomo»

Anna Frank,Diario, Luglio 1944

 L’altro che ci attrae e ci fa paura è una costante che segna tutte le civiltà umane fin dai loro albori. Una ambivalenza radicale e tenace, espressione di quella “socievole insocievolezza” che per Kant caratterizza gli esseri umani. L’altro ci affascina in quanto diverso e portatore di un mondo sconosciuto, ma queste stesse diversità e non-conoscenza generano timore e diffidenza, che in molti momenti della storia umana hanno vinto e vincono il fascino e la bellezza dell’incontro con il diverso. L’altro è stato amato e combattuto, ma i combattimenti sono stati più frequenti e lunghi degli amori. Le grandi tradizioni religiose possono anche essere lette come dei sistemi etici e sociali per gestire questa ambivalenza antropologica fondamentale. Anche nella Bibbia l’altro è il nemico da cui proteggersi e il forestiero che la Torah comanda di accogliere come ospite sacro. In alcuni brani biblici il popolo straniero è portatore di una benedizione, in altri è immagine di dèi e di idoli nemici, che viene per distruggere il popolo eletto e il suo Dio vero. I primi due fratelli, l’uno mite e l’altro fratricida, dicono anche le due facce dell’umanesimo biblico e occidentale. Il cristianesimo, poi, alla morale fondata su “nessuno tocchi Caino” ha aggiunto “nessuno tocchi Abele”. Il segno di Caino, il commerciante e il cittadino, ha limitato la violenza come vendetta mimetica, e il segno di Abele, il buon pastore e l’uomo vulnerabile, ha posto l’etica delle mitezza e dell’amore-agape a fondamento di una civiltà diversa – che ancora attendiamo e non ci stanchiamo di attendere e di desiderare. Nonostante tutto.

L'esilio e la promessa/9 - La responsabilità morale e spirituale di ogni azione è sempre personale

di Luigino Bruni

pubblicato su Avvenire il 06/01/2019

«Come l’istinto del male cerca di sedurre l’uomo al peccato, così cerca di sedurlo a diventare troppo giusto»

Martin Buber, Storie e leggende chassidiche

Il discorso civile è ricco e buono quando riusciamo a dire "tu" a molte persone, che aumentano e diventano più vere con il crescere degli anni. Questa buona legge universale conosce però poche e decisive eccezioni, dove è necessario che il "tu" sia uno solo. I matrimoni, ad esempio, hanno inscritta nella loro natura la dimensione dell’unicità. Alcune pochissime ma essenziali parole del "cuore" si possono dire solo alla propria sposa, perché se le diciamo a più donne le svuotiamo della loro bellezza e verità. Quando la Bibbia ci dice che il rapporto con Dio va vissuto come Alleanza e patto, ci sta dicendo qualcosa di molto simile: se nel mio cuore dico le stesse parole a più divinità, non sto dicendo niente di vero a nessuno. Il Dio biblico sa parlare solo cuore-a-cuore, conosce solo il discorso a due, con noi cerca soltanto il dia-logo. La lotta anti-idolatrica dei profeti è allora il tentativo di salvare agli uomini e alle donne la possibilità di poter dare, veramente, del tu a Dio, senza ingannarci e senza ingannare.

L’esilio e la promessa/26 - La ricchezza prima di essere merito è dono. Siamo circondati da gratuità

di Luigino Bruni

pubblicato su Avvenire il 05/05/2019

«Non violerai il diritto dello straniero e dell'orfano e non prenderai in pegno la veste della vedova. Ricordati che sei stato schiavo in Egitto e che di là ti ha liberato il Signore, tuo Dio. Quando, facendo la mietitura nel tuo campo, vi avrai dimenticato qualche mannello, non tornerai indietro a prenderlo. Sarà per il forestiero, per l'orfano e per la vedova»

Libro del Deuteronomio, cap. 24

La parola di Ezechiele che diventa anche misure fiscali, ci offre una occasione propizia per riflettere sulla natura di reciprocità delle tasse, e sul rispetto con cui devono essere pensate e usate soprattutto da chi ha potere.

L'esilio e la promessa/17 - Il nome dell’angelo non è “economia”, ma la giusta via passa da qui

di Luigino Bruni

pubblicato su Avvenire il 03/03/2019

«Gran fonte delle guerre è il commercio. Egli è geloso, e la gelosia arma gli Uomini. Le guerre de’ Cartaginesi, e de’ Romani, de’ Veneziani, de’ Genovesi, de’ Pisani, de’ Portoghesi, e degli Olandesi, de’ Francesi, e degli Inglesi ne sono testimoni. Se due nazioni trafficano insieme per reciproci bisogni, sono questi bisogni che si oppongono alla guerra, non già lo spirito del commercio»

Antonio Genovesi, Commento a Lo Spirito delle leggi di Montesquieu, 1769

Nella Bibbia non c’è un’unica valutazione etica dell’economia. Nei vari libri biblici troviamo idee e giudizi diversi e in certi casi opposti sulla natura dei beni, delle ricchezze e dei commerci. Perché, semplicemente, la ricchezza è profondamente ambivalente. Così incontriamo brani e tradizioni dove i molti beni sono benedizione e segno di elezione, e poco dopo altri dove la ricerca di profitti e di ricchezza è pura vanitas. Leggiamo di poveri considerati maledetti, e di poveri chiamati beati. Fino alle parole tremende dette all’angelo della città di Laodicèa nel libro dell’Apocalisse: “Tu dici: Sono ricco, mi sono arricchito, non ho bisogno di nulla.” (3,17). Questa frase contiene la chiave di lettura di molta critica profetica ed evangelica alla ricchezza: ‘non ho bisogno di nulla’. Il grande inganno, l’illusione tremenda della ricchezza sta infatti nella sua seducente offerta di autosufficienza, di indipendenza, nell’illusione che grazie ad essa non avremo più bisogno di nessuno, e quindi, alla fine, neanche di Dio. Ci promette (quasi) le stessa terra promessa da Dio ad Abramo, che, non a caso, viene definita sulla base di beni: ‘latte e miele’.

L'esilio e la promessa/4 - Saper essere fedeli al «resto» vero del nostro cuore»

di Luigino Bruni

pubblicato su Avvenire il 02/12/2018

Ezechiele 04 rid«Col cercare le origini si diventa gamberi. Lo storico guarda a ritroso; e finisce anche per credere a ritroso»
Friedrich Nietzsche, Crepuscolo degli idoli

Sono i segni religiosi quelli che più incidono la terra e dicono il carattere di una cultura. Templi, altari, edicole, croci, steli separano nel territorio il sacro dal profano, rivelano e danno nomi e vocazioni alle terre, trasformano gli spazi in luoghi. La terra porta iscritte nelle sue ferite i nostri vizi e le nostre virtù. Accoglie mite le nostre tracce, si lascia, mansueta, associare alle nostre sorti, e con una sua misteriosa e reale reciprocità comunica con noi. Tra le note della profezia c’è anche la capacità di interpretate il linguaggio della creazione, di raccontarcelo, di parlare al nostro posto e in nostro nome. Cosa direbbero, oggi, i profeti di fronte piaghe che stiamo producendo nel nostro pianeta? Quali parole di fuoco pronunzierebbero di fronte alle nostre "alture" popolate di idoli? Come profetizzerebbero davanti alle nostre miopie e ai nostri egoismi collettivi? Forse griderebbero, comporrebbero nuovi poemi, canterebbero, cantano, Laudato si’.

Nell'ambito del Corso della Scuola di Economia Biblica che si svolgerà il 19 e 20 febbraio 2022, appuntamento con un ospite speciale

Il professor Sergio Premoli, psicanalista e amico di lunga data della SEB dialogherà con Luigino Bruni a conclusione della prima giornata del corso SEB «L'esilio e la promessa», sabato 19 febbraio a partire dalle ore 17:00 fino alle 18:00. Il dialogo avrà il titolo: «Colpa, perdono e guarigione nella Bibbia». Lo staff della SEB è lieto di rendere aperto a tutti questo momento così speciale: dalle 17:00 sarà possibile assistere al dialogo in streaming, sul canale YouTube del Polo Lionello Bonfanti.

La prima proposta 2022 della Scuola di Economia Biblica (SEB) è un corso online sul profeta Ezechiele, a partire dal libro di Luigino Bruni:

L’ Esilio e la promessa

Commento al libro di Ezechiele

Sabato 19 e domenica 20 febbraio 2022

L’esilio è una dimensione della condizione umana. Nascendo lasciamo un luogo familiare e sicuro per entrare in un altro sconosciuto, e senza due mani che ci accolgono e un corpo che ci riscalda e nutre non inizieremmo la nostra avventura sulla terra. I profeti biblici sono la madre che ci accoglie, ci nutre e ci accompagna negli esili della vita. Questo vale per tutti i profeti, ma soprattutto per Ezechiele, colui che riceve la sua vocazione durante l’esilio di Babilonia, nella prova più grande del suo popolo, e pronuncia le parole più alte per mantenere vivi la promessa e il patto, quando attorno tutto parla di dolore e di morte. La profezia è dono sempre, ma diventa bene essenziale quando la vita ci deporta in terre straniere, dopo che il grande sogno si è infranto, quando la speranza e la fede rischiano di spegnersi.

L'esilio e la promessa/16 - L’amore ci salva da quasi ogni male, ma non è l’albero della vita

di Luigino Bruni

pubblicato su Avvenireil 24/02/2019

«Dove sarà quella vita che avrei potuto vivere e non vissi...
Dove l’àncora e il mare,
dove l’oblio di essere chi sono?...
Inoltre penso
a quella mia compagna
Che mi aspettava
e che forse mi aspetta»

Jorge Luis Borges,Ciò che è perduto

Quando cade il velo delle illusioni e finalmente ci incontriamo con la nuda realtà, nostra e della vita, inizia un tempo di autentica provvidenza, quasi sempre nascosta sotto un involucro di dolore. Comincia un tu-a-tu intimo e immediato con la propria anima e con i suoi abitanti (inclusi i demoni). Tutte le ambivalenze, le ambiguità, i grandi e piccoli compromessi e peccati del passato si impongono con una loro forza propria e invincibile. Ci parlano e, con una autorità fino ad allora sconosciuta, ci chiedono e pretendono verità. Ci svegliamo improvvisamente da un sonno profondo nel quale eravamo caduti senza saperlo né volerlo, e si apre una nuova fase della vita, spesso migliore. Perché per toccare le salvezze vere occorre raggiungerle oltre le illusioni e consolazioni che schermano la condizione ordinaria della vita. In alcune esistenze questi momenti arrivano una volta sola, ed è quella decisiva, perché è l’ultimo appello. Lì siamo chiamati con il nostro primo nome; ci voltiamo di scatto e rispondiamo ancora, sapendo però che sarà l’ultima volta, perché quel primo nome sta morendo per risorgere.

L'esilio e la promessa/3 - Il compito di annunciare la dura prova e di seminare il futuro

di Luigino Bruni

pubblicato su Avvenire il 25/11/2018

Ezechiele 03 rid«Il fatto paradossale è che il sacro si manifesta, e di conseguenza si limita e cessa di essere assoluto. È questo il grande mistero, il mysterium tremendum: il fatto che il sacro accetta di limitarsi»

Mircea Eliade, Miti, sogni e misteri

Siamo cercatori instancabili di consolazioni. Ne abbiamo un tale bisogno che le barattiamo quasi sempre con le illusioni. La profezia è una grande generatrice di consolazioni vere, ma siccome non sono né scontate né in saldo, noi ci mettiamo in coda nei grandi magazzini dove abbondano le illusioni a buon mercato. Le consolazioni non illusorie dei profeti convivono infatti con una esigenza assoluta di verità, arrivano solo dentro questa verità offerta a prezzo-valore pieno.

“Figlio dell'uomo, prendi una tavoletta d'argilla, mettila dinanzi a te, incidici sopra una città, e disponi intorno ad essa l'assedio: rizza torri, costruisci terrapieni, schiera gli accampamenti e colloca intorno gli arieti” (Ezechiele 4,1-2). Dopo le prime visioni, Ezechiele ora riceve il comando di realizzare una sorta di plastico per rappresentare l’assedio di una città. E una volta terminata l’opera sotto gli occhi certamente sorpresi dei suoi connazionali non dice ‘questa è Babilonia’, come forse i suoi compagni esiliati si attendevano e speravano, ma “questa è Gerusalemme” (5,5). È proprio la città santa che sta per essere assediata dai babilonesi. Nessuna consolazione per chi, seguendo gli oracoli dei falsi profeti, voleva credere nella inespugnabilità della città di Davide, perché protetta dal suo Dio diverso.

L’esilio e la promessa/25 - Resistere alla tentazione della normalizzazione (ideologica) della profezia

di Luigino Bruni

pubblicato su Avvenire il 28/04/2019

Rabbi Giosuè ben Levi disse anche: «Quando esisteva il Tempio, se un uomo offriva un olocausto riceveva il merito di un olocausto; se un’oblazione, riceveva il merito di un’oblazione. Ma chi è umile di spirito, la Scrittura lo considera come se avesse offerto tutti i sacrifici»

Talmud Babilonese

La descrizione del tempio da parte di Ezechiele ci offre un ottimo esercizio per individuare alcuni tratti distintivi della prospettiva da cui i profeti guardano le religioni e il mondo, che è diversa da quella sacerdotale. Soprattutto in materia di gratuità e sacrifici

La religione dei profeti è diversa da quella dei sacerdoti. Nella Bibbia sono parte dello stesso popolo, sono dentro la stessa alleanza, venerano lo stesso Dio, dicono le stesse preghiere, leggono gli stessi libri sacri... Ma la prospettiva, le forme e i modi della fede dei profeti non sono quelli dei sacerdoti. I profeti dicono, ricordano e gridano che la giustizia e la salvezza dei singoli e dei popoli non dipendono dai meriti acquistati con le opere e con i sacrifici, che prima siamo salvati e dopo diventiamo pii, religiosi e magari buoni e santi. I profeti svuotano il tempio per poter vedere e farci vedere la presenza della gloria di YHWH, perché sanno che i templi pieni di oggetti sacri e di arredi religiosi non hanno sufficiente vuoto per contenere la gloria di Dio. Legge e spirito, meriti e grazia, Giacomo e Paolo, identità ed inclusione, purezza e meticciato. La dinamica profezia-sacerdozio, una costante biblica e della vita civile, non va letta in modo superficiale.

Il 17 giugno 2021, nell'ambito del Festival Biblico 2021, in diretta streaming dall' Auditorium Casa dei Carraresi di Treviso, presentazione del libro di Luigino Bruni: “L'esilio e la promessa" (Dehoniane, 2021). A partire dalla rilettura di Luigino Bruni del profeta Ezechiele, si è voluto evidenziare come la profezia, specialmente quella nata nel contesto drammatico dell’esilio in Babilonia, è capace di aprire – anche oggi – prospettive di fiducia e di speranza fondate sulla parola della promessa di Dio.

pubblicato il 17/06/2021 sul canale You Tube del Festival Biblico

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