I Commenti de «Il Sole 24 Ore» - Mind the Economy, la serie di articoli di Vittorio Pelligra sul Sole 24 ore.
di Vittorio Pelligra
Pubblicato su Il Sole 24 Ore il 03/03/2024
La teoria della giustizia di John Rawls si pone come “alternativa praticabile” all’utilitarismo e all’intuizionismo. Vuol essere, cioè, una teoria capace di fornire indicazioni operative sulle procedure e sui principi da utilizzare ed applicare concretamente in una società ben ordinata, equa e giusta. Il problema principale che Rawls cerca di risolvere è quello di trovare un criterio per la giusta distribuzione dei benefici che derivano dalla vita in comune. La capacità umana di fare le cose insieme cooperando ci mette nelle condizioni di raggiungere risultati che altrimenti da soli non saremmo in grado di raggiungere. I benefici eccedenti ottenuti in questo modo dovranno poi essere distribuiti tra tutti coloro che hanno preso parte alla loro determinazione. Ed è proprio qui che nasce l’attesa di giustizia. Nel punto in cui si manifesta il conflitto tra i singoli, i quali, in una prospettiva di mutuo disinteresse - come viene definito - desiderano ottenere la quota maggiore possibile di benefici e, contemporaneamente, quella minore possibile di costi. Anche dando per scontata, come fa Rawls, la nostra naturale tendenza alla cooperazione questa da sola non è sufficiente a indicare un criterio soddisfacente per la ripartizione dei benefici che essa stessa genera.
Divisione dei vantaggi
Abbiamo bisogno di individuare un insieme di principi attraverso i quali scegliere, tra i possibili assetti sociali che determinano questa divisione dei vantaggi, quello migliore, capace di mettere d’accordo le parti. “Questi principi – scrive Rawls - sono i principi della giustizia sociale: essi forniscono un metodo per assegnare diritti e doveri nelle istituzioni fondamentali della società, e definiscono la distribuzione appropriata dei benefici e degli oneri della cooperazione sociale.” Il ragionamento del filosofo non riguarda solo i singoli individui ma, piuttosto, ciò che lui chiama la “struttura di base”, cioè le principali istituzioni sociali: la costituzione, le forme di proprietà, la libertà di pensiero, il mercato e la famiglia, tra gli altri. “La giustizia – scrive al riguardo - è la prima virtù dei sistemi sociali, così come la verità lo è dei sistemi di pensiero. Una teoria, per quanto semplice ed elegante, deve essere abbandonata o modificata se non è vera. Allo stesso modo, leggi e istituzioni, non importa quanto efficienti e ben congegnate, devono essere riformate o abolite se sono ingiuste”.
Si nota qui il radicale allontanamento dalle posizioni utilitaristiche allora dominanti. Perché l’efficienza non può in nessun modo prevalere sulla giustizia. Per gli utilitaristi, al contrario, l’efficienza è la giustizia stessa. È giusta, cioè, quella regola, quella condotta o quell’istituzione che massimizza il benessere sociale inteso come somma delle utilità individuali. E se per far aumentare il benessere complessivo è necessario sacrificare quello di un singolo, allora tale sacrificio sarà considerato giusto. Rawls, al contrario, è convinto che “ogni persona possiede un’inviolabilità fondata sulla giustizia su cui neppure il benessere della società nel suo complesso può prevalere”. Non si può in alcun modo giustificare, per esempio, la riduzione della libertà di un singolo anche se tale riduzione dovesse generare maggiori benefici per altri. Per questo, in una società, giusta, sono date per scontate eguali libertà di cittadinanza che sono inviolabili, cioè non possono essere oggetto della contrattazione politica. Ma dare per scontate tali libertà non è sufficiente. Occorre procedere con una ricostruzione razionale delle ragioni che ne giustificano l’adozione. Solo in questo modo, giustificando il primato della libertà e dell’uguaglianza come esito di un processo decisionale collettivo portato avanti da individui razionali, si può sperare di ottenere un consenso diffuso intorno alla necessità di tali principi. In un mondo conflittuale, infatti, solo “una concezione condivisa di giustizia stabilisce legami di convivenza civile”.
Giustizia al centro
Quello dei criteri di giustizia non è naturalmente l’unico problema che una comunità deve risolvere per poter diventare una società ben ordinata. Ma tutti i principali problemi che nell’impianto rawlsiano riguardano la coordinazione, l’efficienza e la stabilità, sono comunque connessi al tema della giustizia. Il primo riguarda il fatto che in una società ben ordinata i piani d’azione individuali devono essere compatibili tra di loro, devono potersi coordinare per evitare che “le legittime aspettative di alcuno vengano gravemente disattese”. Se io desidero studiare, ci dev’essere qualcuno che desidera insegnare. Se ho bisogno di cure ci dev’essere qualcuno altro disposto a fornire tali cure. Tali piani devono non solo essere compatibili, devono anche essere portati avanti in modo efficiente in favorendo il consolidamento di ordine sociale stabile. Questi tre problemi sociali fondamentali sono, come si diceva, tutti connessi al tema della giustizia. In assenza, infatti, di un accordo diffuso su cosa debba essere considerato giusto o ingiusto, risulterebbe molto complicato ottenere la coordinazione delle azioni attraverso la limitazione delle scelte individuali, qualora tali limitazioni non venissero considerate legittime e necessarie da parte di chi le subisce. Le differenti concezioni di giustizia influenzano poi anche i criteri con i quali valutiamo le diverse forme di efficienza e infine solo una società nella quale ogni membro si sente trattato con giustizia può aspirare ad un livello soddisfacente di stabilità istituzionale. Per queste ragioni, continua Rawls “Non possiamo determinare una concezione della giustizia soltanto sulla base del suo ruolo distributivo per quanto questo ruolo possa essere utile nell’identificare il concetto di giustizia. Dobbiamo prendere in considerazione le sue implicazioni più ampie: poiché anche se la giustizia, essendo la più importante virtù delle istituzioni, ha una certa priorità, è pur vero che, a parità di condizioni, una concezione della giustizia è preferibile a un’altra quando le sue conseguenze più ampie sono maggiormente desiderabili”.
Come abbiamo visto, dunque, i criteri di giustizia si applicano prioritariamente alla “struttura fondamentale” della società e non tanto alle azioni dei singoli. La ragione di questa preferenza per la connotazione sociale della giustizia sta nel fatto che sono “Le istituzioni maggiori [che] definiscono i diritti e i doveri degli uomini e influenzano i loro prospetti di vita, ciò che essi possono attendersi e le loro speranze di riuscita”, scrive Rawls. Comprendere quali sono le caratteristiche di una struttura di base giusta è fondamentale perché questa influenzerà in maniera radicale le traiettorie di vita dei singoli. Questi saranno naturalmente differenti tra loro in base alle situazioni di partenza e tali differenze andranno a definire le opportunità iniziali di cui ciascun individuo potrà godere. Differenze, che, come dice Rawls, “non possono essere giustificate da un ipotetico richiamo alle nozioni di merito o di valore morale”. Sono queste diseguaglianze l’oggetto primo dei principi di giustizia sociale e una teoria della giustizia non è altro che uno schema di interpretazione del ruolo che tali principi hanno nell’assegnare diritti e doveri e nel definire una corretta ripartizione dei vantaggi della vita in comune.
Come individuare questi principi, dunque? L’idea di Rawls è quella di immaginare una “posizione originaria” nella quale cittadini razionali e autonomi contrattano sulle caratteristiche da assegnare alle istituzioni che definiranno i criteri per spartirsi i benefici della cooperazione. Da questo processo di contrattazione emergeranno i principi “che persone libere e razionali, preoccupate di perseguire i propri interessi, accetterebbero in una posizione iniziale di uguaglianza per definire i termini fondamentali della loro associazione”. Saranno questi i principi che andranno a regolare tutte le transazioni e gli accordi nel tempo successivo alla stipula del contratto sociale. E saranno ancora tali principi a definire le forme di governo che potranno essere adottate e i limiti a cui le istituzioni dovranno essere assoggettate. “Chiamerò giustizia come equità - scrive Rawls - questo modo di considerare i principi di giustizia”.
«Giustizia come equità»
Definiremo nei Mind the Economy delle prossime settimane, le caratteristiche della “posizione originaria”, il concetto di “velo di ignoranza”, la natura innovativa del neo-contrattualismo di Rawls e discuteremo i due principi, quello di libertà e quello di differenza, che andranno a comporre la sua concezione di “giustizia come equità”.
Per ora non ci rimane che sottolineare ancora una volta la distanza della posizione rawlsiana dall’utilitarismo dominante in quegli anni. Egli è molto esplicito nell’affermare come “il principio di utilità sia incompatibile con la concezione della cooperazione sociale tra uguali con lo scopo del reciproco vantaggio”. Tale principio appare assolutamente incoerente con l’idea di reciprocità che sta alla base di una società ben ordinata. La libertà e l’opzione privilegiata per i più svantaggiati, sono i due pilastri su cui tale società potrà reggersi. Ma questa è la conclusione alla quale Rawls ci condurrà, non la premessa del suo discorso.
Credits foto: © Diego Sarà