Fino al 24 notte custodiamo l'attesa, non corriamo troppo velocemente al 25 mattina: preghiamo Gesù di tornare.
di Luigino Bruni
Mi piace molto il presepe nei giorni tra l'Immacolata e la notte di Natale. Sono i giorni della culla vuota, i giorni dell'attesa. Quel vuoto parla, chiama. È icona del popolo che attendeva il Messia, dell'umanità che attende ancora e sempre una salvezza che deve venire, di noi che ogni anno ci mettiamo di fronte a quella culla vuota e preghiamo: vieni Gesù, torna davvero, perché devi tornare ora, oggi, dentro la mia casa.
È bella la grotta con gli animali, antichi amici dell'uomo e presenza dei profeti (Isaia), con una madre, un padre, che attendono un bambino. Come tante donne, come tante famiglie. Una grotta senza il bambino che ci invita a desiderare quel bambino, a sognarlo, a chiamarlo. Che oggi più di ieri è simbolo della nostra società, che ha sloggiato Gesù dal presepe, che ha sloggiato Gesù dalla nostra vita. E invece guardando quella grotta possiamo pensare che quella culla vuota è solo il tempo dell'attesa: non c'è non perché è andato via, perché non c'è ancora, ma arriverà. Ma fino al 24 notte custodiamo questa attesa, non corriamo troppo velocemente al 25 mattina: preghiamolo di tornare, e così il suo arrivo ci sorprenderà, come fosse la prima volta, come sorprende i bambini. E anche questa volta sarà Natale.