Persone e imprese
che attivano processi di comunione.
Idee e pratiche per un agire economico
improntato alla reciprocità e all’accoglienza.
Un ambito di dialogo e di azione per chiunque voglia impegnarsi per una civiltà più fraterna guardando il mondo a partire dagli esclusi e dalle vittimescopri di più...
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Gruppi aperti di persone con un interesse comune che si incontrano periodicamente online per condividere la vita e discutere un argomento specifico. scopri di più...
Economia di Comunione
Persone e imprese che attivano processi di comunione.
Idee e pratiche per un agire economico improntato alla reciprocità e all’accoglienza.
Un ambito di dialogo e di azione per chiunque voglia impegnarsi per una civiltà più fraterna guardando il mondo a partire dagli esclusi e dalle vittime.
La Danimarca sarebbe il Paese più felice al mondo secondo un Rapporto elaborato in occasione della Giornata Mondiale della Felicità promossa dall’Onu per il 20 marzo. Il Burundi è l'ultimo in classifica.
Nei 10 primi posti compaiono, oltre alla Danimarca, Svizzera, Islanda, Norvegia, Finlandia, Canada, Paesi Bassi, Nuova Zelanda, Australia e Svezia. L'Italia è al 50.mo posto, gli Stati Uniti al 13.mo, il Regno Unito al 23.mo, la Francia al 32.mo. Alla stesura del Rapporto hanno partecipato economisti, psicologi ed esperti di statistica. L'obiettivo è quello di costruire nuovi indicatori di benesse con il fine di orientare le scelte di politica economica, nell'ottica della promozione integrale del benessere della persona. Dai dati della ricerca emerge, tra l'altro, come molti appartenenti alle fasce di reddito più elevate dedichino poco tempo alle relazioni umane, con effetti negativi sulla felicità individuale. Sulla base di queste considerazioni, alcuni Paesi africani, come la Nigeria, sono risultati più felici di quelli europei. L'economista Luigino Bruni, docente di economia alla Lumsa, fa parte del gruppo di esperti che ha collaborato al Rapporto. Ascoltiamolo al microfono di Luca Collodi:
R. – Questi studi si basano sulla felicità soggettiva delle persone, non tanto sul 'Pil' o su aspetti più oggettivi legati ad indicatori come l’ambiente, la qualità dei servizi. E' uno studio abbastanza recente che si basa su questionari rivolti a dei campioni di cittadini rappresentativi e dà, quindi, un’idea della percezione del benessere delle persone, cioè, di come un Paese si senta bene o male, in un certo momento, in un anno. Quindi come percepisce l’incertezza, la fiducia. Quello che viene fuori è che, in tutti i Paesi, ciò che conta molto per la felicità della persona non è tanto il reddito ma la qualità dei rapporti sociali. I beni relazionali sono i beni più preziosi per la felicità umana a tutte le latitudini, in tutte le regioni.
D. – Se sono felice, chi mi è vicino percepisce questo stato d'animo. Ciò può far bene anche allo sviluppo economico di un Paese?
R. – Certo. Perché le persone che stanno bene, che coltivano rapporti positivi, che hanno una vita relazionale sana, lavorano meglio, sono più “produttivi”. Basta pensare a quanto soffriamo negli uffici, nei luoghi di lavoro per i conflitti relazionali, per gente scontenta o depressa, che evidentemente porta con sé il malessere da casa in ufficio e viceversa, perché spesso anche l’ufficio produce depressioni e malessere che poi ci portiamo a casa. Quindi, investire sulla qualità dei rapporti sociali, fare in modo che la gente stia più insieme e guardi meno la televisione, che ci sia più incontro, più comunità, è un messaggio che emerge forte anche da questo tipo di studi sulla felicità.
D. – Come si può misurare la felicità umana con un dato concreto come l’economia, lo sviluppo e il progresso?
R. – Innanzitutto, da 40 anni, si è deciso di fare una semplice domanda alle persone: “Prendi la tua vita nel suo insieme oggi e valutala con un numero che va da 0 a 10”. E’ un’operazione molto semplice, ma quando la si fa per tanti anni e la si confronta con altri numeri – tipo l'inflazione, la disoccupazione, il reddito, vengono fuori cose interessanti. Il punto di partenza è molto semplice, talmente semplice che nessuno ci aveva mai pensato prima di qualche decennio fa, cioè domandare alla gente: “Bene, hai reddito, hai servizi pubblici, hai un certo tipo di ambiente circostante, ma tu come stai?”. Questa domanda è fondamentale, il chiedere alle persone, ed è stata alla base di una vera e propria rivoluzione a cui hanno lavorato anche Premi Nobel in economia. Ma ciò che poi importa è quello che comincia dopo la felicità: da cosa dipende il benessere delle persone, il malessere, quanto pesa il lavoro, quanto pesa un divorzio. Ad esempio, è interessante scoprire che una separazione, in termini di felicità, pesi come il peggioramento di un reddito che va dai 100 a 200mila euro. La gente, cioè, dà un valore enorme ai rapporti sociali, soprattutto quando finiscono. Si scoprono, quindi, delle cose su cui poi si interviene anche con politiche economiche. La gente soffre molto per aspetti legati ai lutti, alle depressioni. La depressione è la fonte principale di malessere che c’è al mondo e quindi, forse, proprio grazie a questi studi sulla felicità, potremmo investire di più nel prevenire le depressione rispetto ai centri commerciali o magari al gioco d’azzardo, che sono fonti di malessere e depressione.
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